Il primo periodo è per il signor gugle, così mi indicizza a dovere: questa è la recensione del film Kick-Ass 2 (pare infatti che bisogna scrivere come imbecilli, per far sì che i contenuti di un blog vengano considerati “di qualità” dal motore di ricerca, e così…
Il secondo (riga ufficiale) è per i saluti: ciao, sono tornato. Ma magari ci salutiamo meglio col post di domani, che ne dite?
E ora parliamo del film, Kick-Ass 2.
La regia è di Jeff Wadlow, che subentra a Matthew Vaughn del primo Kick-Ass. Ritornano Aaron Taylor-Johnson (Kick-Ass), Chloë Grace Moretz (Hit-Girl) e Christopher Mintz-Plasse (ex-Red Mist, ora The Motherfucker). Nel cast anche Jim Carrey, nel ruolo del Colonel Stars and Stripes.
Son passati tre anni e nel frattempo non ho recuperato il fumetto. Grave errore, lo so.
Quindi la recensione si riferisce solo ed esclusivamente al film, senza tirare in ballo il grado di fedeltà all’opera originale. Peraltro, ipotizzo che si sia conservato il livello di infedeltà precedente, edulcorandone i contenuti più drammatici.
Ecco, Kick-Ass è un caso strano, sul quale si potrebbe discutere per ore, argomenti stimolanti, circa il rapporto con la realtà dell’opera a fumetti, il tentativo di renderla realistica, pur mantenendo, e qui Kick-Ass si distingue, la sua parvenza (ed esigenza) irreale. Ne ho discusso molte volte, qui sul blog, mi riferisco alla sospensione dell’incredulità che occorre all’ingresso in scena di un super-eroe, in costume color pastello, che conciona su argomenti seri, quali droga, violenza, prostituzione. Che poi, correggetemi se sbaglio, era l’ambizione primaria della versione a fumetti di Mark Millar.
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Il risultato, ancor più che nel primo capitolo, è ambivalente, perché riesce, Kick-Ass 2, a mantenere intatto l’impianto narrativo, serbando una credibilità di fondo necessaria a essere preso sul serio: mi riferisco più che altro all’incontro unione di Kick-Ass con il gruppo di Supereroi. Difficile tenere in scena gente vestita come Batman & Robin anni Sessanta (e i riferimenti al dynamic duo si sprecano) e non perdere efficacia o un minimo di serietà.
Quindi si assiste a momenti in cui quasi si è spinti a credere che la fusione, se non perfetta, tra fumetto (e meccanismi tipici) e realtà (e meccanismi tipici, dramma in primis) sia stata finalmente attuata con profitto, ed altri in cui si ricorre ai mezzi della commedia demenziale, ovvero strappare la risata con gli sketch a base di caccapupù e vomito. Triviale. Ancor più se si pensa che a essere protagoniste di tali emissioni sono giovani ragazze d’età scolare.
È una strana mescolanza, quindi, tra situazioni al limite della commedia degli equivoci, tutto il rapporto tra Kick-Ass e Hit-Girl e tra quest’ultima e il patrigno e dall’altra situazioni ultraviolente, che non risparmiano sbudellamenti e atrocità assortite, in un certo modo però filtrate, consentitemi l’accostamento azzardato, dagli occhi del fanciullino.
Forte è infatti il filtro che a tali eventi si sovrappone, quello dei ragazzi protagonisti. Il risultato è che si discerne di violenza, scontri, criminalità e rapporti conflittuali, ma in modo spensierato.
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Per dirne una, Hit-Girl punisce i cattivi in modo non meno violento del film precedente, e lo fa col sorriso sulle labbra. Inquietante, in effetti.
Anche perché poi, a scena drammatica non corrisponde adeguata conseguenza: Hit-Girl mozza la mano a un criminale in un vicolo, il patrigno la sospetta responsabile dell’accaduto e entrambi rientrano velocemente a casa per continuare la messainscena la prima (che nega ogni addebito), per scoprire la verità il secondo. La verità viene a galla e finisce lì, con la ragazzina messa in castigo in camera sua… un po’ superficiale, no?
Altro esempio calzante, c’è un personaggio che muore. Scena tragica, perché muore di morte violenta e simbolica, visto che si tratta di una morte strumentale Si arriva alla resa dei conti e la questione sembra passare in secondo piano, o messa definitivamente in un cantuccio. È come se i colori verde e giallo del costume di Kick-Ass sottraessero serietà e credibilità all’evento drammatico per eccellenza.
Anche qui la questione si presta a svariate interpretazioni: perché o siamo di fronte a un distacco fra dramma e contenuto, per esigenze di genere, ovvero, il fumetto (cosa che però sarebbe in contraddizione, visto il tentativo di fusione accennato poc’anzi), oppure siamo di fronte a una dichiarazione involontaria di irresponsabilità, stile Tarantino: la morte al cinema è divertente. E io sono pure d’accordo con lui, se non ché Tarantino ha almeno il buon gusto di non foderarla di scene da funerale che generino empatia. Tarantino ci scherza sopra, alla morte, Wadlow invece la maschera di ipocrisia. C’è differenza, di stile se non altro.
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Perché il grande problema delle maschere è questo, il non voler essere credibili proprio per risultare credibili. Ne abbiamo già parlato.
Si chiama Kick-Ass 2, ma avrebbe dovuto intitolarsi Hit-Girl, visto che fra i tre spezzoni narrativi, Kick-Ass, The Motherfucker (con la nascita del primo super-criminale che messaggia su twitter) e Hit-Girl, il filone principale e meglio sviluppato, che di solito si attribuisce al protagonista, è quello dedicato alla ragazza, in fase di crescita, nel tentativo di recuperare un’identità sociale normale, evitando di pensare al prossimo come a un criminale da abbattere nella maniera più rapida e efficace possibile. Ruole che, per inciso, trovo perfetto per Chloe Moretz.
Il film dura 100 minuti. E no, non mi sembrano troppi, sono anzi giusti, ben gestiti (se si escludono i siparietti volgarissimi già citati), considerando i difetti/rischi impliciti in questo tipo di operazione, ovvero rinunciare alla fase di presentazione/conoscenza dei personaggi in luogo di uno sviluppo (che deve essere obbligatorio) orizzontale della narrazione che (presumibilmente) conoscerà un altro capitolo, così da soddisfare i requisiti della trilogia. C’è però il fatto che al botteghino sta andando maluccio, e parliamo degli States, mica di queste parti. Ma comunque mi ha divertito.
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(foto color seppia presa da QUI)