Cinema

Infinity Pool e il ‘bad behavior’

A still from Infinity Pool by Brandon Cronenberg, an official selection of the Midnight section at the 2023 Sundance Film Festival. Courtesy of Sundance Institute.

Ho una predilezione per i Cronenberg, padre e figlio, ormai dovreste averlo capito. Parlo di cinema quando ne vale davvero la pena, e con loro due è quasi sempre il caso.
C’è un modo facile di intendere, a mio avviso, Infinity Pooi, ovvero fissare il focus dell’analisi sulle classiche tematiche cronenberghiane: l’orrore incentrato sul corpo umano, sul quale si abbatte il conflitto innescato da società distopiche e soffocanti per l’individuo. La morale insita nella clonazione: la spartizione dell’io, dell’unicità dell’individuo che diventa così copia, di una copia, di una copia…

Infinity Pool riprende le tematiche classiche di Cronenberg.
A Brandon riconosco una capacità forse superiore al padre di innestare le sue realtà ucroniche in modo più sottile rispetto alla mano paterna. Nel film iniziamo a intuire che la realtà in esso rappresentata non è proprio la nostra allorché scorgiamo la necessità di recintare il resort tropicale di quest’isola sperduta da qualche parte in chissà quale oceano con rete metallica coronata da filo spinato.
Eppure dovrebbe essere un semplice resort: un luogo di vacanza lontano da pensieri di sorta.

Alexander Skarsgård è un ignavo, il classico scrittore che non scrive, preferendo restare adagiato – grazie anche ai quattrini della moglie – nell’illusione di un impeto creativo che non arriverà mai. Insieme a sua moglie viene avvicinato da Mia Goth, e dal marito di quest’ultima, per una scampagnata su una spiaggetta solitaria e caratteristica dell’isola. Al ritorno ci sarà un incidente che imporrà allo scrittore una scelta esiziale: la sua morte o la morte del suo doppio.

Perché la nazione che li ospita offre ai condannati un’alternativa: la clonazione. I loro cloni moriranno in modo atroce, di solito uccisi dai familiari delle vittime, al loro posto.
La clonazione è il modo facile, dicevo, di guardare Infinity Pool. Implica, in effetti, una serie di riflessioni piuttosto intriganti, la prima è la più urgente delle quali viene sollevata all’interno dei film stesso: i ritornanti non possono essere sicuri di essere gli originali o le copie. Non so dirmi cosa implicherebbe una considerazione come questa, cosa si potrebbe provare a sapere di non essere l’originale, ma il risultato di una copia del DNA. Probabilmente, all’atto pratico, non cambierebbe nulla. Ma l’io dei condannati si frammenta, quindi, insieme alla loro identità, tant’è che ben presto lo scrittore si unisce a un gruppo di suoi simili, tra cui Mia Goth, e inizia a sfruttare il singolare sistema legale dell’isola per la soddisfazione dei propri bisogni più estremi: morte, uccisione, abbandono all’istinto criminale. Eterno ritorno garantito, non importa quale crimine si voglia commettere.

Perché i cloni vengano giustiziati al loro posto, infatti, è sufficiente pagare una somma di denaro per generarli. E i ritornati sono tutti abbienti.
Ed ecco, l’altro aspetto di Infinity Pool: la critica sociale attraverso la metafora dei ritornati, che tanto metafora non è, che altro non rappresentano se non la cupidigia e la strafottenza mista all’arroganza degli Stati Uniti nel rapportarsi con l’estero: ovvero il resto del mondo.

I protagonisti sono consci che, finché dureranno le loro ricchezze, loro godranno di un’assoluta impunità, e il fatto che, per regolamento, essi siano costretti a guardarsi morire non è motivo sufficiente per fermarli.
Brandon Cronenberg mette in scena la disgregazione dell’io sociale attraverso la frammentazione di quello dei protagonisti. Entrambi godono di ricchezza, privilegi, entrambi abusano di leggi e ecosistemi, entrambi troveranno sempre, al ritorno, un porto sicuro dove riprendere a comportarsi come la norma stabilisce.

Non so se Brandon Cronenberg, a differenza di David, non riesca a mantenere la freddezza e il distacco necessari a trattare di individui così perniciosi e detestabili, e se al contrario lui non nasconda il fatto di disprezzarli e, in questo, di giudicarli. Non importa poi molto: impossibile, infatti, parteggiare per loro, neanche un po’.
Infinity Pool ha una messa in scena sobria, scorrevole e intrigante, coinvolgente, esteticamente ineccepibile, laddove Brandon continua a confermare una sua visione autonoma e soprattutto un’estetica più netta, pulita, rispetto alla caoticità carnale paterna. Con una colonna sonora di pregio.
Da goderne.

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec