Antologia del Cinema

In a lonely place

C’è chi viene al mondo, postumo.
Rubo una frase di un pensatore alla quale, e al quale, molti si sono sforzati di dare un significato. È da un po’ di giorni, infatti, che è nella mia testa. Frutto di vecchie e agguerrite letture extra-scolastiche. Capita a tutti, di fare certe letture. Ma già è più raro che si acquisisca la consapevolezza di essere in ritardo sulla vita. Un ritardo spaventoso. Mi si addice, quella frase, pur nell’accezione personale, e vile, che io posso attribuirle. Sono nato postumo perché tutto ciò che amo alla follia è nel passato.
Non è una scelta. Ma uno stato ineluttabile.
Vivo ed esisto, nel presente, come tutti. Mi piace il progresso, la scienza e la fantascienza. Mi piace pensare che in questa vita avrò l’occasione di vedere il primo contatto. Mi piace sognare. E amare.
Eppure guardo al passato. Uno sguardo costante. E non si tratta di nostalgia, perché paradossale. Né tanto meno di passione malinconica e un po’ nerd. Ecco, quest’ultima è una parola con la quale non avrei voluto sporcare un post come questo: nerd.
Sì, è vero, ci ballo intorno, al nerd. Ci scherzo. Me ne attribuisco la qualifica. Ma chissà se lo sono davvero.
Difficile descrivere quello che provo guardando il silver screen. Sarebbe lo schermo d’argento, letteralmente. Oppure il bianco e nero, come preferisco chiamarlo io. Ed è una delle anime di questo blog.
Perché niente mi dona maggior meraviglia di quel colore. Spero ne trasmetta un po’ anche a voi.
Giusto per non sentirsi soli tra la moltitudine muta.
Sapete, la folgorazione? Quel sentimento che ti permette di stare ore e ore a guardare film che oggi farebbero sbadigliare, o ridere, e che invece sanno ancora appassionarmi, farmi sgranare gli occhi. Perché è la vera estasi dell’arte quella che provo. Pura. Su un binario preciso e netto.
Per cui, sì, sono venuto al mondo postumo di circa cinquant’anni. Meglio avrei fatto a nascere intorno agli anni ’20. Così da essere me stesso, finalmente, negli adorati fifties. I Cinquanta. L’ultimo respiro della Golden Age.

***

Un posto solitario

È un articolo su un film del 1950 intitolato Il diritto d’uccidere. Come sempre, e senza intento polemico, giudico quest’ultimo un titolo errato. Gli ho preferito, lassù in alto, l’originale inglese, In a lonely place. Diretto da Nicholas Ray, protagonisti Humphrey Bogart e Gloria Grahame.
Magari il nome del regista vi dice poco o nulla. Come quello di Gloria, una diva del silver screen. Ma, di sicuro, conoscete quello di Bogart.
E non importa davvero che siate appassionati di cinema. Che sappiate cosa sia Casablanca o che non sopportiate finanche la vista di questi vecchi film. Humphrey Bogart è un nome che avete sentito almeno una volta nella vita. E magari l’avete anche visto, in foto, o in qualche spezzone in onda su Blob, o a tarda notte, una sigaretta in mano, un bicchiere pieno di whisky nell’altra. E l’aria di chi la sa lunga. Di colui che ha visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare.
Se mai c’è stato, o ci sarà mai, un vero replicante, quello avrà la faccia di Bogart.
Quindi, questo film non l’avete visto. Anche se è in chiaro, gratis, sul Tubo. Però, magia del cinema, sapete di chi sto parlando e state riuscendo a immaginarvi la sua faccia.
E io? Lo spettatore che sono adesso si stupisce di quanto sia cambiato. Il me stesso a diciassette anni d’età, cresciuto a cartoni, fumetti e anni ’80, probabilmente mi avrebbe pisciato addosso ridendo dei miei attuali gusti. Meno male che i paradossi temporali non esistono.
“In a lonely place” dicono sia un noir. E, concordo con voi, è atipico di questo blog. Ma allo stesso tempo è raro. Per cui non lo voglio sciupare.
È anche una condizione, quel luogo solitario. Tipica di un film che, perfetto così com’è stato creato, trascende lo scopo immediato della sua percezione e si attribuisce, complice la cultura e la sensibilità dello spettatore, ulteriori e imprevisti significati.

***

Intreccio

Dixon Steele (Bogart) è uno sceneggiatore che vive e lavora a Hollywood. È anche in crisi e non riesce più a creare nulla di valido. Ha un temperamento acceso e facile alla rissa. Una sera come tante egli convince Mildred, la cameriera di un night, a seguirlo a casa sua per dargli una mano, lui che è così stanco, a leggere un libro. La ragazza, più tardi, dopo aver lasciato la sua casa, sarà uccisa. Steele è il primo sospettato, considerando i suoi trascorsi.
Laurel Gray (Grahame), sua vicina di casa, dapprima lo scagiona dalle accuse fornendogli un alibi e successivamente, essendone attratta, si abbandona a una relazione con Dixon.
Legame funestato a più riprese sia dal carattere violento dell’uomo che dai sospetti sulla sua integrità che cominciano a sorgere nella mente di Laurel dopo aver assistito a un violento pestaggio che Steele ha riservato a un automobilista, reo di aver protestato dopo un lieve incidente d’auto che Dixon stesso aveva provocato.
Mentre le indagini sull’omicidio continuano, la relazione tra i due diviene morbosa e senza via d’uscita che non appaia tragica.

***

Vita re(g)ale

Ho letto parecchio, stasera, per documentarmi su questo film. È stato scritto che “In a lonely place” sia un ritratto di Hollywood, degli inganni, delle illusioni e delle delusioni del mondo dorato.
Tutto questo è sommamente riduttivo, ma può anche essere vero. Non lo nego. Tuttavia, il film ha dovuto fare i conti con lo spettatore moderno, io, e con la mentalità moderna. E ha vinto.
In alcune scene è persino disturbante e riesce a comunicare molta tensione, persino eccessiva rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi da qualcosa di così vecchio.
Due aneddoti voglio citarvi, circa il dietro le quinte. Perché li ritengo fondamentali per capire che Hollywood, o il mondo dello spettacolo, non è che sia diventato corrotto, falso e problematico solo adesso. Lo è stato da sempre. Fin dal silver screen. Luccicante, lucido e perfetto, come la pelle levigata delle attrici e ai confini della realtà dalla parte opposta, quella che non viene ripresa.
Gloria Grahame, a quel tempo, era la moglie del regista, Nicholas Ray. Starete pensando, ecco, ci siamo, la solita raccomandata… In realtà fu scelta perché veramente magnifica. Solo per questo. La vita privata dei due stava andando in pezzi già da prima, tant’è che, per salvaguardare il film, in un impeto dittatoriale distopico e oggi anacronistico, in un’epoca nella quale, evidentemente, si poteva disporre della libertà altrui, si pretese e ottenne che Gloria, moglie del regista, firmasse un contratto che prevedeva questo:

“my husband [Ray] shall be entitled to direct, control, advise, instruct and even command my actions during the hours from 9 AM to 6 PM, every day except Sunday…I acknowledge that in every conceivable situations his will and judgment shall be considered superior to mine and shall prevail.”

“mio marito [Ray] ha il diritto di dirigere, controllare, consigliare, istruire ed anche comandare le mie azioni dalle ore 09:00 alle 18:00, ogni giorno tranne la Domenica … Ho preso atto che in tutte le situazioni immaginabili la sua volontà e giudizio debba essere considerata superiore e che prevalga rispetto alla mia.”

E ancora, per contratto, le fu proibito di:

“cajole, tease or in any other feminine fashion seek to distract or influence him.”

“blandirlo, stuzzicarlo o in qualsiasi altro modo femminile cercare di distrarlo o influenzarlo.”

Non è certamente questo, il fascino di quest’epoca al quale spesso mi riferisco. Non è questo quello che mi piace. Non potrebbe essere altrimenti. Ma è piuttosto utile, in quanto indicativo e brutale. Mostra al meglio quale inferno dovesse essere il cinema. Magari lo è ancora oggi.
Ma non pensate che Gloria Grahame fosse una vittima indifesa. La sua biografia farebbe arrossire anche i lettori più freddi e disillusi. Perfetta incarnazione della star, la sua vita di eccessi la portò a divorziare da Ray, ma non a causa del suddetto contratto, no, piuttosto perché lei lo tradì nel 1952 con il figlio di quest’ultimo, Anthony, di appena tredici anni, avuto da un precedente matrimonio. Figliastro che, qualche anno dopo, Gloria sposò.
Sconvolti?
Direi di sì. Ma stiamo parlando di una donna che morì a cinquantotto anni perché non accettò la realtà di essere malata di cancro allo stomaco, rifiutando di conseguenza tutte le cure.

***

Mostri

Bogart è eccellente. Non c’è altro da aggiungere a una performance come questa. Dispensa brividi sottili quando, per indurlo a tradirsi rispetto al crimine del quale è sospettato, gli viene chiesto di immaginarsi la scena di un omicidio a bordo di un’auto: come si possa uccidere una donna sul sedile del passeggero continuando a guidare, senza fermarsi. Il gioco di luci che altera le ombre sul suo viso è complice della morbosità della sequenza. Ma l’idea, poi riproposta successivamente, che per uccidere basti abbracciare la propria ignara compagna e stringere forte attorno al suo collo, è nera.
Gloria Grahame è straordinaria nell’incarnare la vittima di una relazione che sfugge a ogni controllo. Troppo impaurita dal carattere burrascoso del suo compagno per opporre un rifiuto, troppo indecisa se sottrarsi comunque fuggendo lontano e temendo, a ogni istante, di essere scoperta.
Il finale tragico, con lui che, da essere ignobile e violento, la strangola per non farla scappare, per non perderla, sa fin troppo di squallida attualità fatta di vittime innocenti e persecutori vigliacchi. All’epoca dovette essere percepito come autentica profanazione. Ragion per cui si optò per una soluzione meno drammatica, ma lo stesso di forte impatto. Tale da consegnare questo film direttamente alla storia del cinema.

***

Quel posto che conosciamo tutti

“In a lonely place” diviene così quel posto solitario in cui noi tutti, di tanto in tanto, ci troviamo. Fatto di incomprensioni, di attese, di sogni. Non so se mi sarebbe piaciuto vivere in quegli anni che lo produssero. Conoscere e trascorrere del tempo accanto a tali individui. Chissà. Il desiderio è una cosa che, per restare di eguale intensità, non deve mai appagarsi del tutto.
Gloria Grahame è una dea. Non certo la Gloria vera, reale, vissuta, la cui storia scuote e lascia allibiti. Bensì quella che traggo dalle vecchie foto sbiadite, dalle immagini statiche, e da quelle che scorrono, restaurate e splendide. Adoro la sua figura e la sua  straordinaria bravura.
Appena l’ho vista sono rimasto folgorato. E mi piace come se potessi davvero incontrarla. Magie del tempo che passa, del cinema che rende immortali e ci illude, dell’internet e della sua diffusione culturale.
Solo una passione che non si spegne mai, perché non si soddisfa. Non può in nessun caso. Non ha mai potuto. Ma non credo di essere più folle di molti altri, coltivandola e indulgendo in essa.

Fonti e approfondimenti:

In a lonely place (1950) su Wikipedia En
Il diritto d’uccidere (1950) su IMDb
Humphrey Bogart su Wikipedia En
Nicholas Ray su Wikipedia En
Gloria Grahame su Wikipedia En
Live fast, die young su Gloria Grahame
Suite101.com su Gloria Grahame
Hollywood Dreamland su Gloria Grahame

Altre recensioni QUI

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • […] Altre recensioni QUI In a lonely place […]

  • Così: 😳

    Ovvero, togliendo le parentesi: :[oops]:

    😈

    • 13 anni ago

    …*sense of wonder*…
    Come si fa l’emoticon che arrossisce? 😀

  • Thanks!
    La meraviglia è un tema ricorrente in questo blog. Lo preparo volentieri.

    😉

  • Non ho visto il film e non immaginavo che in quel periodo potessero succedere tutte quelle cose.

    Di Bogart ho presente bene “La regina d’Africa”, ma si tratta di un film a colori.
    Non so cosa dire… ma ti prego di preparare nel più breve tempo possibile un post dal titolo “Il senso della meraviglia”
    Sento nell’aria che hai una gran voglia di stupirci…
    Mi piace come dicono in facebook

  • Oh, due referrer al volo. Sono online in questo momento:

    tutine attillate milf palestra

    emily deschanel imbavagliata

    Volevo far notare che Emily è la sorella di Zooey, alias Keyem. E ho detto tutto.

    Feromoni… tsk, tsk. 😆

  • Personalmente non avrei mai immaginato di quell’epoca e dei suoi personaggi, nemmeno il 10% di quello scritto in questo articolo…
    Comunque questi tuoi articoli e il work in progress, mi stanno facendo venire voglia di sperimentare qualche opera del periodo.

    • Ok, c’è persino Norys! Può davvero iniziare la Notte della Taranta! OLÈ!

      @ Orlok
      E che ti devo dire? Aria elettrica è dire poco. Qualcuno deve aver rotto una fialetta di feromoni… 😀
      Tornando seri per un attimo…
      Grazie per i complimenti. No, dire che Bogart faccia lo stalker non è esatto. Non è un persecutore, anche se devo ammettere che in certi momenti, quando insiste a voler entrare a casa di Gloria, qualche brivido l’ha dato persino a me. Questo per farti capire che razza di attore coi controcoglioni fosse…
      Più che altro, però, il suo personaggio mi ha ricordato molto fatti di cronaca nera recentissimi: uomini stupidi e violenti con le donne a causa dei loro stessi fallimenti. Insomma, dal punto di vista sociologico, un capolavoro d’attualità che fa riflettere, girato, però, sessanta anni fa. Mica male.
      No, Samantha Fox è bocciatissima. E non ve ne uscite con Sabrina Salerno.

      @ Alex
      Bogart lo conoscono tutti. È davvero incredibile. Come Marilyn. Credo che loro due siano vere icone.
      Ho chiamato in causa la nostalgia perché ho letto alcuni commenti su altri blog che liquidavano queste nostre incursioni nel passato con quella parola, spesso in senso spregiativo.
      E invece non può essere nostalgia, ma allo stesso tempo non è solo gusto. Per quanto mi riguarda è, se vogliamo chiamarlo così, sense of wonder.
      Ora, non è che non creda più al futuro. L’abbiamo atteso con ansia tutti l’annuncio della NASA, mi pare. Basta poco per entusiasmarci e per farci sognare su Marte e oltre l’infinito. Ma… il guaio è che le miserie umane contemporanee, e nessuno può negare che ci siano e siano tante, forse, ci tagliano le ali.
      Spero che questo periodo finisca presto.
      E poi i tuoi pareri non sono mai da due soldi.

      @ Norys
      Quando ho letto la biografia di Gloria ho capito che, al confronto, le nostre veline che pippano coca nei cessi dei nightclub sono delle collegiali. Non superano le dive dell’epoca manco negli scandali. Patetiche.

    • 13 anni ago

    E’ dal post su 300, dall’altro ieri quindi, che c’è una strana elettricità nell’aria virtuale di questo blog. Sarà sicuramente un caso…
    Detto questo anche per me si tratta di un film sconosciuto, per cui non posso commentare su di esso. Volevo però farti i complimenti per l’articolo, che si fa leggere. Credo sia importante.
    Le biografie dei vecchi divi hollywoodiani sono sempre magiche, anche in questo caso quando abbondano di perversioni.
    Da come l’hai descritto, sembra che il ruolo di Bogart in questo film si avvicini a un moderno stalker, da qui gli evidenti richiami al modernismo.
    Condivido il piacere di guardare il bianco e nero. Io impazzisco per le fotografie. Secondo me sono sempre le più eleganti.

    arrivederci

    ps: Samantha Fox?

  • “In a lonely place” non lo conosco (Bogart ovviamente sì) perciò mi concentro sulla tua bella introduzione all’articolo.

    Guardare al passato: qualcuno lo fa. Io, te, molti altri. Lo si deduce dai nostri blog: tu con le recensione dei film degli anni ’50 e ’80, io coi miei post novecenteschi e ottocenteschi.
    Io sono la dimostrazione pratica che non è solo nostalgia, visto che nelle due guerre mondiali non c’ero 🙂
    Allora di che si tratta?
    Forse di epoche in cui c’era ancora un senso di meraviglia e di aspettativa. Non conoscevamo ancora tutto di questo nostro triste mondo e l’ignoto ci riservava il fascino dell’ignoto e della scoperta.
    Discorso che vale in molteplici campi: dall’arte, alla tecnologia, alla geografia, alla politica. Tutto era mutevole, tutto era possibile.
    Il presente è fantastico di par suo (internet… cosa c’è di più incredibile?) ma è a suo modo scialbo. E il futuro non ci risulta più così pieno di sense of wonder.

    Il cinema? Oramai siamo abituati a vedere draghi, vampiri, astronavi etc etc. Il tutto realizzato con effetti speciali stratosferici, così realistici che alla fine… diventano banali.

    Parere da due soldi, eh, ma col cuore.

    • 13 anni ago

    Mi raccomando tu e Keyem invitatemi al matrimonio
    LOL.

    • 13 anni ago

    No Falli pure.
    Non voglio mettere naso però io proporrei Cyb,Keyem e la zietta.
    Secondo me sarebbero perfette.
    A meno che di non considerare Uschi Digart e Candy Samples(lo ammetto Russ Mayer è uno dei miei miti anni ’70-sono un perverso lo so,lo so).

    • @ KM god-mode on
      Allora, mai mettere piace e casino nella stessa frase. Non qui. Con me che imperverso…

      shit happens if you party naked (edit)

      Anyway…
      le divinità si venerano. Per te, e per il tuo avatar, nutro interessi più terreni. AHAHAHAHAHAH!

      😆

      @ Nick pervert-mode on
      Mi bastava Amanda…
      Però devo ammettere che stasera mi hai mostrato nuovi orizzonti.

      😀

    • 13 anni ago

    A me piacciono un CASINO! 😛
    Però sono un pò delusa da te, caro El. Pensavo di essere una candidata naturale alla divinità. Mi hai illusa. Cattivo! 😀

  • A questo proposito mi sa che faccio un nuovo sondaggio, ché è passato troppo tempo dall’ultimo e una nuova pagina statica denominata “PANTHEON”.

    Mi servono almeno altri quattro nomi.

    Ora, però, vorrei sinceramente sapere se questo tipo di articoli e di film interessano.
    Se sì, non ne farò spesso perché sono difficili, ma ricapiteranno.
    Se no, li farò lo stesso, perché piacciono a me, ma con luuunghi intervalli l’uno dall’altro…

    🙂

    • 13 anni ago

    Una terza Dea?
    Che ne dici di Amanda Pays?

  • Mica sono il lupo cattivo che devi commentare accompagnata!
    O forse sì… lo sono. 😈

    Ok.
    Ogni volta che esploro qualche nuova strada per questo blog sono un po’ in agitazione come fosse un debutto.
    Che ne dite?

    È bene dire che, dato il film particolarmente sconosciuto, non è che mi aspettassi una caterva di interventi…

    Entrambi avete fatto osservazioni interessanti.
    Tu, Nick, hai colto tutto il fascino che quel dannato silver screen esercita su di me. Unito ai vestiti, le automobili, i locali, le acconciature, la musica, etc, etc…
    Poi, basta documentarsi un po’ per capire che i fifties erano un periodo estremo e estremista. Quella che passava sugli schermi era una visione utopica di un mondo sognato.
    E infatti io guardo a quegli anni come a un’utopia. Perciò stesso ideale.

    Tu, Keyem, l’altra questione. Quella degli scandali. Che, in effetti, rendono il tutto umano troppo umano. E di conseguenza fantastico come potrebbe essere, che so, un’ambientazione uscita dalla penna di un qualche scrittore.
    Una Gloria Grahame madre di famiglia, devota al marito e con undici figli, parrà strano, ma non avrebbe avuto lo stesso fascino di quella vera, eccessiva e folle.

    Per la cronaca, dal primo marito Gloria ebbe un figlio, e ben due dal secondo, figlio del primo marito.

    WOW 😯

    Ma, al di là delle vicende personali e dei suoi trascorsi, è la seconda dea di questo blog.
    Ci manca la terza, magari anni ottanta.
    Si accettano suggerimenti.

    • Ah, dimenticavo!
      Un piccolo omaggio alla mia bella in bianco e nero.
      Non c’entra nulla, ma la canzone mi piace…

      GLORIA (by THEM)

    • 13 anni ago

    Avevo quasi paura a intervenire!
    Meno male che c’è Nick! 😉
    Mi è piaciuto molto questo post. Sei riuscito a comunicare tutto il fascino dell’epoca, quello che tu riesci a percepire e allo stesso tempo le vicende scandalose che avvenivano dietro le quinte. Non vorrei essere fraintesa ma penso che parte di quello stesso fascino che descrivi così bene derivi anche dai guai personali di quelle stelle. Senza sarebbero state meno brillanti.

    • 13 anni ago

    Gloria Grahame era bellissima,non stupisce il fatto che ancora oggi noi possiamo essere prigionieri della sua presenza magnetica in fondo attrici come lei rappresentano la bellezza,il fascino algido del silver screen.
    Non la condanno per la sua storia d’amore anche se posso non condividerla e del resto chi sono io per giudicare?
    Il bianco e nero di quei film ci faceva immaginare quegli anni più magici di quello che in effetti sono stati:L’America degli anni 40 o 50 rappresenta quasi l’ultima Thule ma non solo.Quanti di noi sognatori irriducibili non vorrebbero avere la macchina del tempo per tornare ad esempio alla Roma o alla Parigi di fine anni’60.
    I sogni in fondo si nutrono del bianco e nero.