La Stanza Bianca

Il tempo di Kentaro Miura

Sto scrivendo questo pezzo con l’ost di Berserk nelle orecchie. Azzeccatissima.
Non vuole essere – il qui presente – un’ode a Miura, di cui ho parlato di recente, esaltando l’incipit della sua opera principale, di cui sono stato accanito lettore solo fino a un certo punto, per poi distaccarmene, anni fa. Il fatto è che Kentaro Miura è morto a 54 anni. Aveva solo dieci anni più di me, essendo nato nel 1966.
È successo il 6 Maggio scorso, la notizia è stata resa pubblica solo ieri.

È morto per lo stress e il superlavoro.
È morto per fatalità, perché era malato.
È morto per chissà cosa, e quella cosa ha causato la dissezione aortica acuta che l’ha messo a riposo.


L’unica cosa certa è la dissezione.
Sui motivi che l’hanno provocata, chissà… se ne diranno tante. Se ne dicono già, ipotesi miste a agiografie e a critiche dei fan, che ironizzano sul fatto che il nostro abbia trovato la scusa migliore per non terminare la sua opera: morire.
Fioccano paragoni macabri con altre celebri personalità che faticano a chiudere con le loro creazioni. Non è il caso che faccia nomi, tanto vi stanno venendo in mente in questo istante, mentre leggete. Di sicuro un paio. Sapete a chi sto pensando.
È che, certe volte, per un autore è impossibile chiudere. Tutto qua.
Le motivazioni possono essere tante: dalla depressione alla semplice mancanza di voglia di concretizzare, al disamoramento per la storia e i personaggi.
Perso l’interesse, persa anche la storia. È così che va.

Di sicuro, Miura aveva le sue ragioni che gli impedivano di finire. Quali siano state non si sa. Non con assoluta certezza.
Ciò che è certo è sempre e solo la dissezione.
È una patologia imprevedibile, quella che conduce alla dissezione aortica, a quanto ne so, e senza adeguati e mirati – e tempestivi – controlli medici, quasi impossibile da diagnosticare prima che divenga sintomatica. E quando diventa sintomatica è quasi sempre troppo tardi per rimediare.

La vita dei mangaka è orribile, e questo si sa da tanti, troppi anni, e si fa finta di nulla, primo perché siamo in Occidente, e di quello che combinano in Giappone ne sappiamo poco nonostante internet, e poi perché sono battaglie alle quali non possiamo partecipare, o non vogliamo, perché ciò che vogliamo è leggere sempre nuovi albi.
Una vita infernale, quella del mangaka, solitaria, a dispetto di quanto ci possa sembrare romantica l’idea di campare disegnando le storie del nostro supereroe preferito.
Miura, dai primi anni Novanta ai Duemila, ha rilasciato via via dichiarazioni sempre più preoccupanti sull’impossibilità di dormire, di riposare, sul fatto di aver accusato malori e collassi imputabili al superlavoro, sulla realtà di non avere una vita. Un uomo che può concedersi un giorno, due di vacanza all’anno non è un lavoratore, ma uno schiavo.
È anche vero che la produzione di Berserk era calata sempre più, fino alla pubblicazione saltuaria, senza alcuna scadenza. E di conseguenza anche la mole di lavoro che gravava su Miura, almeno per quanto riguardava Berkerk.
Chissà se questo ennesimo evento tragico contribuirà a migliorare le condizioni di vita di questi artisti.

Una morte iniqua causata da un lavoro iniquo, parrebbe.
Cui segue la seconda considerazione: l’opera incompiuta.



Perché l’autore è morto prima di potervi mettere fine.
Forse ha lasciato appunti per i suoi colleghi, riguardanti la storia di Berserk, forse no.
E anche se l’avesse fatto, sono solo appunti: la loro natura intrinseca è volatile. Sono dei canovacci su cui si imbastisce un intreccio, e che possono cambiare in corso d’opera.
La vera conclusione di Berserk come la voleva Miura non la conosceremo mai, perché non sarà lui a realizzarla di suo pugno. È un fatto.
Ed è una realtà che fa male, ma che è ineluttabile.
Miura non è il primo artista che se ne va anzitempo, lasciando le cose a metà.
E con questo non voglio assolutamente esprimere giudizi sulla vita di Miura, che non conosco e che non mi compete. Ha vissuto come ha potuto, questo è indubbio.
E di sicuro ha lasciato, nonostante il finale monco, un immaginario iconico.
Il finale mancante non impedirà a Miura di continuare a esistere, perché ciò che ha fatto fino a oggi ha lasciato il solco nella storia. In quel piccolo cantuccio di storia che gli compete. E che ci appassiona.
L’immortalità è sua, nonostante tutto.

A titolo personale, mi piace l’idea assurda che abbia trovato un Bejelit, e che quel Bejelit l’abbia spedito nel palmo della Mano di Dio. E che adesso rida di noi.

Il tempo… il tempo è l’unica cosa che abbiamo. Nemmeno per sempre.

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