Uno degli aspetti del sogno che riesce sempre a sorprendermi è la sensazione del volo.
Ovviamente, non ho mai volato in vita mia, a parte un paio di volte, in aereo, ma non conta: nessuno di noi ha mai volato, come Superman. Però forse vi è capitato di sognarlo.
La meraviglia di quei sogni, mentre sfrecciavo tra grattacieli sui quali si rifletteva il sole, era la sensazione di aver vinto la gravità, una leggerezza che il mio corpo non aveva mai provato, che può essere in qualche maniera paragonata alla sensazione di galleggiare in acqua. Solo che l’aria offre minor resistenza.
Quindi, cosa accade? Il mio cervello computa, inviandomi il sogno, la differenza tra aria e acqua e mi offre un’esperienza di galleggiamento migliorata? O cos’altro?
Come si può sognare qualcosa di cui non si ha esperienza?
Quello dei sogni è uno dei campi di ricerca più affascinanti. Perché i sogni stessi sono un fenomeno sconsciuto e, sembra sempre più probabile, nemmeno esclusivo della specie umana: dal momento che si suppone con una certa enfasi che gli animali, almeno tutti i mammiferi, siano in grado di sognare. Persiste qualche dubbio circa questa capacità nei pesci e negli uccelli, ma si stanno studiando.
Ma non soltanto il volo: nei miei sogni corro restando fermo, mi arrampico (o discendo) palazzi saltando di balcone in balcone, mentre vengo inseguito, litigo con gente sconosciuta, faccio l’amore con donne sconosciute (sì, ok, anche con qualche attrice famosa, lo ammetto). E le sensazioni sono quasi sempre vivide, reali.
Mi è capitato, a volte, di riuscire a imporre un certo controllo sui miei sogni: è il cosiddetto sogno lucido, che presuppone una capacità di compiere azioni di senso compiuto e di gestire le situazioni che ci vengono presentate in sogno.
Ma la natura del sogno oscilla tra il messaggio degli dei (o degli spiriti malvagi) nelle culture antiche, alla rielaborazione dei dati del nostro cervello: un’attività di catalogazione che avviene sempre, anche quando non ne abbiamo ricordo e, da studi recentissimi, anche in coloro che hanno subito profondi danni cerebrali.
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Molte culture antiche, quella nativa americana, cinese, persino la nostra europea, fissavano la natura del sogno come una sorta di passeggiata notturna. Una dislocazione della nostra anima, o essenza incorporea, comunque vogliate chiamarla, che in effetti vive altrove quelle esperienze che a noi restano sotto forma di sogni: quindi in teoria, io avrei volato, fatto sesso con *CENSORED*, fatto a botte con avversari situati chissà dove, sarei stato inseguito da ragazze indemoniate stile Esorcista.
Al confronto, la nostra realtà è ben misera cosa. E talmente ricchi e realistici sono i sogni, specie quelli che apparentemente contengono fenomeni di precognizione della realtà, che taluni filosofi sono arrivati a dubitare dell’esistenza stessa del mondo che noi percepiamo in stato di “veglia”.
Discorso intrigante, che ovviamente si può prestare a ogni sorta di abuso e speculazione. Ma in realtà, ridotto ai minimi termini, tutto si riconduce a due fattori, la limitatezza dei nostri organi di senso, che non ci permette di vedere ogni cosa, e la capacità, del nostro cervello, di supplire a questa limitatezza, inviandoci scorci di mondi mai visti.
Interessante dicotomia, a pensarci.
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Sognamo in fase REM, ovvero quando l’attività del nostro cervello è simile allo stato di veglia, e gli occhi riproducono un movimento casuale, proprio come quando siamo svegli. Altro dato inquietante, se ci pensate.
E finora, si credeva che le aree maggiormente responsabili dell’attività onirica fossero quelle della corteccia, la parte superiore del cervello, dove risiede la nostra capacità analitica e la nostra creatività.
Uno studio recente, citato in questo articolo sul Los Angeles Times e apparso su Brain, presenta risultati notevoli: quelli di una sperimentazione su tredici pazienti affetti da Auto Activation Deficit, abbreviato in AAD, ovvero l’incapacità assoluta di avere pensieri autonomi e/o creativi a meno di non essere stimolati dall’esterno (da un interlocutore o altro), in conseguenza di gravi danni localizzati nelle aree superiori del cervello, quelle appena citate.
Il risultato dei test smentisce la teoria del sogno più accreditata, dato che persino i pazienti affetti da AAD, per lo meno quattro su tredici, hanno riportato esperienze oniriche.
Dato ancora più sconvolgente è che i sogni di costoro mancano della ricchezza e della vividezza tipica degli individui in perfetta salute. Gli affetti da AAD sognano azioni semplici: radersi, incontrare un parente, camminare. Eppure sognano, e lo fanno con la parte interna del cervello, quella che controlla il nostro istinto e i movimenti automatici (la respirazione, per interderci, tra le altre cose).
Apparentemente il sogno è un fenomeno persistente, soltanto arricchito dalla nostra creatività. In teoria, sempre in teoria quindi, a meno di non credere ai messaggi divini e alle passeggiate dell’anima, la complessità dei nostri sogni è opera nostra, e nostra soltanto.
E qui, volendo, ci si potrebbe ricollegare a quel famoso assunto che vuole ogni cosa pensata essere possibile… con tutte le conseguenze e le implicazioni.
Se credo di poter volare senza aeroplano? No… ma la logica vorrebbe che… Capite quello che intendo?
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E quindi gli incubi sarebbero in realtà espressione del nostro disagio? Ci facciamo del male da soli, quando dormiamo? Confessiamo le nostre peggiori paure, la nostra angoscia? (E qui vi rimando a un altro articolo sul medesimo argomento).
O è Freddy Kruger che ci viene a trovare, di tanto in tanto, per divertirsti alle nostre spalle?
I più ritengono che sia possibile, come nel caso del sogno lucido, esercitarsi a sognare, e quindi sviluppare un controllo sulle azioni e persino sui contenuti dei nostri sogni. Se gli incubi fossero, quindi, espressione della nostra debolezza, potremmo riuscire a cancellarli volontariamente: basterebbe riuscire a controllare i nostri sogni esattamente come gestiamo i pensieri coscienti.
Tornando alla sperimentazione, che rafforza l’idea che i sogni siano facoltà del nostro encefalo, esiste un solo caso documentato di cessazione totale dell’attività onirica: quelli di pazienti sottoposti a lobotomia. Che riportano la totale assenza di sogni.
Un po’ come se rinunciassimo (o fossimo costretti a rinunciare per eventi incoercibili) al nostro terzo occhio. Quello che talvolta ci porta benessere, che talvolta ci consente di trovare la soluzione a problemi del mondo conscio, tramite l’intuizione di una verità che è sempre apparsa celata, come la soluzione a un problema matematico.
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Da bambino avevo un sogno ricorrente. Niente di che, un tavolo di metallo posto nel mezzo di un incrocio di strade. Nei pressi c’era un cartello coi nomi delle vie e il senso si percorrenza. E sul tavolo c’era un vaso con un geranio, o comunque un fiore rosso.
L’avrò sognato forse cinquanta volte, sempre lo stesso, e sempre mi svegliavo urlando, perché in qualche maniera riuscivo a percepire ciò che si trovata intorno, fuori dal campo visivo: era gente che soffriva.
Poi, così com’è arrivato, decine di volte, sempre identico, è andato via, lasciandomi solo il ricordo di tante notti insonni.
Secondo Jung, ho trascurato una questione irrisolta con me stesso, che domandava attenzione. Secondo gli antichi, una qualche divinità stava sussurrando a me bambino di qualche sciagura, o uno spirito maligno stava semplicemente esercitando la sua natura…
Secondo la medicina è semplicemente l’indice che il mio cervello era ed è sano.
Ma preferisco credere che, per qualche istante, mi sia stato concesso di vedere altrove: una vista terribile.
E voi che sogni fate?