L'Attico

Il silenzio

Mi sono accorto di non aver mai spiegato i motivi della riapertura.
Le ragioni sono due.
La prima è che non ce ne sono. Non davvero.
Niente storie del cesso, da queste parti.

La seconda è che la sto prendendo come una terapia.
A differenza di molti, non ho patito il 2020. Anzi, fino a un circa la metà è stato un anno buono. Questo perché vivo in quarantena da una vita.
La gente non mi piace, non amo la compagnia, non amo chiacchierare: sono un ombroso misantropo con la passione per la narrazione, gli orologi e la cucina.
Oh sì, e le apocalissi.

Nel 2020 ho perso degli amici. Che si sono rivelati le più cocenti delusioni della mia vita.
Ma anche questo passa in secondo piano.
Erano importanti, ma la vita subentra in continuazione a ridefinire il significato e la portata degli eventi, rendendoli quasi insignificanti al cospetto di altro.
Quindi, diciamo che certe amicizie sono finite. E anche sticazzi.

Ho assistito all’ondata di panico della pandemia, al menefreghismo e, in generale, alla follia della gente incapace di accettare che la realtà era cambiata.
Siamo sempre lì, il cambiamento è la più naturale e insieme la più difficile delle cose.

Il 2020 è stato un anno buono, nonostante virus e mascherine.
Fino a quella mattina di fine Agosto in cui mia madre, per la prima volta, non ha risposto al telefono.

Eccolo, il cambiamento.
Questa volta aveva bussato alla mia porta. E sì, non devo stare a spiegarvi perché il fatto che non rispondesse mi avesse agitato così tanto. Avevo le mie ragioni.
In quei momenti febbrili, in cui dicevo a me stesso “vedrai, adesso risponde, era solo occupata a fare altro”, ho avuto il momento di lucidità.
Il momento in cui la mia mente, o forse il bambino nel mio dito, Tony, mi ha mostrato il futuro: malattia e dolore. Lutto.
Qualcosa di mai sperimentato prima. No, nemmeno quando era toccato a mio padre. Non con questa intensità, tale da distruggermi.
Sono un uomo muscoloso, robusto, forte e deciso. Sono stato ridotto a poltiglia.

Poi, come in un risucchio, Tony mi ha lasciato andare, e sono ritornato alla realtà, al telefono che continuava a squillare a vuoto.

Così, nei mesi successivi, mentre certe amicizie si allontanavano sempre più, inspiegabilmente, e il mondo collassava a colpi di complottismo demente e malagestione, io affrontavo – da solo, almeno fisicamente – il male del mondo.
Incarnato nella perdita di mia madre.
Lunga e sofferta. Combattuta. Fino allo strazio.
E forse lo sto scrivendo perché deve essere ben chiaro a tutti voi che leggete che io non sono come gli altri migliaia online. Non voglio vendervi nulla che non vogliate acquistare, non voglio convincervi a leggermi e a condividere le mie idee, non voglio promuovere la mia immagine di scrittore del cazzo.
Io sono Germano. Scrivo storie.
Ho una fidanzata (sì, ecco perché – per fortuna – non ero solo) e un gatto. Tutto il resto non conta, non per me.

E no, non non è passata per niente, se ve lo state chiedendo.
Sì, sto meglio e ho di nuovo iniziato a ridere e scherzare, dopo non esserne stato capace – fisicamente – per mesi.
I problemi all’orizzonte sono ancora molti e giganteschi, e il solo pensarci mi fa mancare il fiato.
Mi sono rifugiato nella lettura, ho letto tantissimo, mi sono allontanato dal caos e dal rumore di internet e dal malessere stolido riversato in rete da chiunque.
Ho lavorato tanto, assorbendo i problemi e i sogni dalle storie degli altri, scrivendone di mie. Ho conosciuto persone nuove e confermato vecchie conoscenze.
Ho affrontato la surrealtà che circonda la malattia e la morte ai tempi della pandemia.
Gli ospedali che ti cacciano via quando stai ancora male perché c’è sempre bisogno di posti letto e perché “non è un problema loro”.
La cattiveria che porta le bare a essere sigillate senza nemmeno che ti venga concesso un ultimo sguardo, un ultimo saluto.
La gente meschina al cimitero, ché da te vuole solo soldi. Tutti quelli che può spillarti. E tu in quei momenti vorresti anche soltanto dargliele, quelle maledette banconote, pur di toglierti di torno tutti quegli esseri squallidi.
E, tra i tanti parenti che ti hanno dimostrato affetto sincero e t’hanno aiutato, anche quei pochi idioti che hanno perso, una volta in più, l’occasione di tacere.

E alla fine ho dato uno sguardo a questo posto, la cui riapertura – stavolta – è stata ritardata per più di sei mesi proprio a causa di quel maledetto, maledetto Agosto 2020.
È un bel posto, puro e istintivo, non ancora corrotto. Da nessuno.
Non ho fatto favori a nessuno, in questi undici anni, tramite questo blog. Ecco perché mi vogliono così tanto bene. Dovreste saperlo.

Sull’utilità di questa riapertura quando tutto il mondo vuole mostrare la sua brutta e noiosa faccia su Instagram… Bah, mi son detto che io in fondo lavoro con le parole, quindi sarebbe stato surreale pretendere di vendere libri chiacchierando in video.
E poi, come detto, odio le chiacchiere. Le odiava anche mia madre. No, amava parlare, ma non amava perdere tempo, girare intorno alle cose, ecco. Probabilmente è lei che mi ha trasmesso l’intemperanza, la fiducia e tutti gli altri dettagli che mi rendono ciò che sono. Nel bene e nel male.

Noi altri, intanto, vediamo di andare avanti.
E intanto ricordate, se avete bisogno di un editing, ma non di zuccherini, io sono a vostra disposizione, scrivetemi.
Per cui eccoci, volevate le ragioni, eccole qui.

L’altra notte l’ho sognata, mia mamma, era insieme a mio papà. Mi mancate.


  • questo articolo, oltre che a Silvia, per i motivi che sa, è dedicato alla mia amica Lucia. Ché lei era al telefono con me, quando io, sulla panchina fuori dell’ospedale, credevo che le cose si stessero risolvendo per il meglio e mi sentivo pure in colpa, ché a lei era andata peggio che a me.
    Ma alla vita, si sa, piace essere imprevedibile e spietata.
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