L'Attico

Il signore delle mosche

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Ieri mi è capitato di rivedere Il Signore delle Mosche (1990).
Cos’è il Signore delle Mosche, in breve?

Tratta di un gruppo di ragazzini naufragati su un’isola disabitata che, a dispetto dell’iniziale volontà di regolamentare la loro neonata società coi dettami del vivere civile, si lascia sopraffare dalla prepotenza, dalla superstizione, dalla paura, precipitando, nel giro di poche settimane, a uno stato d’esistenza selvaggio e violento.

Cose che succedono.
Non mi dilungherò sulla bellezza del film, su quella ancora superiore del romanzo di Golding, anche se ammetto di avere l’intenzione di recuperare il film del 1963 e, magari, di trattarlo qui sul blog alla vecchia maniera.

Sta di fatto che ieri, per la prima volta, mentre osservavo l’escalation di violenza folle che inonda le giovani menti, fino al cieco furore, non ho potuto non instaurare un paragone immediato con internet e le sue lande selvagge.

Come dice Silvia, Il Signore delle Mosche è, in nuce, un’analisi del bullismo, nei minuti iniziali, in cui Piggy, il ragazzino ciccione e occhialuto, diviene bersaglio “naturale” del prepotente di turno, il belloccio Jack, subito spalleggiato dalla cricca di gregari dalla personalità informe, che si limita a fare massa.
Solo dopo, l’opera diventa analisi assoluta della specie umana.
Una specie selvaggia, manipolabile, violenta e suggestionabile.
Complimentoni.

Ma torniamo al bullismo. Esso presuppone due estremi, prepotente e vittima, e in terza istanza la massa, che congiunge i primi due, il pubblico necessario affinché il bulletto possa farsi bello ai danni del brutto e paffuto. E il pubblico riderà delle azioni del primo e delle lacrime del secondo.

Tra l’altro, per fini puramente estetici, è intrigante notare come, alla prima assemblea indetta sull’isola, tramite suono della conchiglia (il temporaneo possesso della quale garantisce libertà d’espressione), il primo dei ragazzi che rinuncia alla sua uniforme (e quindi, simbolicamente, ai vestiti, al simbolo stesso del vivere sociale), sia proprio Jack (Jack, o meglio Chris Furrh, che si ritirò dalla scene proprio nel 1990, finendo poi per aprire un anonimo profilo facebook, come tutti, dove figura ipertatuato; ma questa è un’altra storia).

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La violenza sull’isola va di pari passo col sonno della ragione. Il sonno della ragione genera mostri (cit.).
Il Signore delle Mosche, dall’essere un mero corpo in decomposizione, diviene creatura mitologica che acquisisce i contorni leggendari del mito, quando gli stessi individui che, settimane prima, ancora incontaminati dalla paura, avrebbero riconosciuto in lui un semplice essere umano, ne fanno idolo totemico, spirito, mostro (monstrum = prodigio).
La giungla si popola di mostri.
La ragione si spegne.
L’isola, da essere una semplice isola, comincia a fare paura per la propria stessa natura (“Non la trovi strana, quest’isola? Non ti fa paura?”).

La portata di questo ragionamento si riesce soltanto a intuire, considerando la giovane età dei protagonisti della vicenda. Menti meno razionali, meno lucide, e quindi destinate a regredire con velocità, sotto i colpi di un leader arrogante.
Vecchia, vecchissima storia. È sempre quella.

E se la violenza letale si manifesta dapprima nel delirio generalizzato, quando i ragazzini uccidono uno dei loro, colpevole di non essersi fatto riconoscere subito, e poi nel consapevole abbattimento dell’ultimo residuo di civilizzazione (la suddetta conchiglia), tramite una roccia scagliata sulla testa di Piggy, in internet il fenomeno si ripropone attraverso schermi e tastiere, nelle medesime forme.

C’è il bulletto che fa la voce grossa. Di solito un blogger.
C’è la vittima.
C’è il pubblico, che provvede senso e significato al tutto. Insieme artefice e destinatario del fenomeno, che si esalta lasciando commenti infuocati.
E c’è il sonno della ragione.

E credetemi, la ragione dorme, quando si augura a qualcuno la morte tramite internet, tramite malattie incurabili e altre delicatezze di sorta.

Manca, a noi altri, soltanto il Signore delle Mosche. Ci manca un simbolo. Qualcosa che venga reinterpretato (o meglio frainteso) e caricato di significati esoterici, qualcosa che scuota le nostre menti per poi intorpidirle.
O forse c’è già, lo adoriamo tutti. Chissà…

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Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 10 anni ago

    La rete non ha inventato nulla, ha solo reso più evidente quello che già c’era. Ci crediamo tanto evoluti ma è tutta un’apparenza, siamo gli stessi di qualche secolo se non millennio fa, solo seguiamo la moda del XXI secolo e ci comportiamo a tono, quindi niente roghi di streghe niente occhio per occhio e se si riesce si cerca di attenerci alle buone maniere, intanto però dietro nuove ideologie si nascondono i vecchi rancori i vecchi odi i vecchi pregiudizi di ieri, anche le paure e le superstizioni si aggiornano ai tempi, e tutto questo la rete lo moltiplica lo rende visibile.
    Ma anche la rete farà la fine di tutte le nuove terre, prima i pionieri, poi i sognatori e dietro di loro la “dura gente della frontiera”, con cercatori di fortuna predicatori e venditori di elisir miracolosi, alla fine seguirà il “cavallo di ferro” poi strade superstrade e la civiltà, e quello che resterà del passato sarà qualche vecchio pronto a ricordare i “bei vecchi tempi”, quando sulla rete c’era la libertà e le dispute si affrontavano da “uomini” con le colt… oops con i commenti diretti e le flameware.
    E allora tutto sembrerà risolto e sistemato, ma in realtà sarà di nuovo ben nascosto.

      • 10 anni ago

      I bei tempi andati li ricordiamo già, me per primo, e son passati solo cinque anni da che sono sbarcato in internet.
      Analisi molto bella, la tua, e molto veritiera.

    • 10 anni ago

    La forma moderna del bullismo è proprio il cybergbullismo, piaga dilagante del mondo internettiano. E la gravità del fenomeno sta proprio nel fatto che i suddetti bulli si nascondono dietro una tastiera, torturano letteralmente persone rovinandone l’esistenza. Ci sono ragazzini morti a causa di continui soprusi sul web. Non so voi, ma ciò mi terrorizza, soprattutto nella prospettiva di diventare (se gli dei vorranno) madre.

      • 10 anni ago

      Non riesco nemmeno a mettermi nei panni di quei genitori…

    • 10 anni ago

    Non ho mai visto il film, ma il libro è tra i miei preferiti di sempre.
    Molto interessante – e inquietante in quanto azzeccata – l’analisi comparata con la situazione che si vive in Internet. 😉

      • 10 anni ago

      Tempi diversi, campi d’azione diversi. Uguale comportamento. 😉

    • 10 anni ago

    Bella metafora! XD
    Tenendo conto che Piggy rappresenta la ragione sopraffatta dallo Stato di Natura, Piggy, internettianamente parlando, lo possiamo assimilare proprio al blogger(?) che sul suo spazio dice cose giuste e ponderate, ma viene assalito e triturato dalla massa contraria inebetita e inebriata; il tutto a suon di parolacce, vaffanculi, stronzo e pezzodimmerda. Senza argomentare, ovviamente…

      • 10 anni ago

      Esatto, ho rivisto in Piggy una serie di commentatori/blogger dalla piccola voce che urlano inutilmente contro i barbari. 😀