C’è un momento, in It Follows, in cui si respira quiete.
E che, al di là degli esiti del film, e del meccanismo stesso che sottende alla storia, può offrire la chiave per un’interpretazione esistenzialista di questa metafora orrorifica.
È la scena che preferisco. Forse la preferita di molti, non posso saperlo. È quella in cui Jay (Maika Monroe) uscita col ragazzo che le passerà la maledizione, è sdraiata sul sedile posteriore, portiera aperta, e giocherella con gli steli d’erba, riflettendo a voce alta su vita, sesso, amore, destino.
È la realtà sospesa, quel momentum che, presto o tardi, abbiamo provato tutti. È l’istante in cui sussurri a te stesso che le cose, quel che vadano, sono buone. Sei preda di un senso di benessere profondo, di soddisfazione, che proviene da una piccola realtà, intima, quale può essere, nel caso, il sedile di una vecchia auto.
La vita è perfetta.
Ed è allora che dici a te stesso che… non durerà.
Il momento perfetto ha una durata effimera. Il resto è uno stanco trascinarsi.
Lo diceva anche T.S. Eliot, ne Il Canto dell’Amore di J. Alffred Prufrock, poesia che sembra contenere l’ispirazione a It Follows; la strofa conclusiva recita:
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
Che è secco, brutale, veritiero. Interessante, poi, il percorso che ha portato i protagonisti di questa poesia alle camere del mare.
Come in effetti i protagonisti di It Follows.
Il film è, tecnicamente, la storia di una fuga. Una ragazza inseguita fugge per salvarsi la vita.
Solo che non c’è mai fine all’inseguimento, perché, in una sorta di gioco infantile, però allo stesso tempo adulto, la maledizione, che lascia un’impronta invisibile sulla vittima, impronta che attira il demone, viene passata con un tocco.
E sì, nel film quel “tocco” prelude al sesso, è rapporto carnale, neppure romantico, semplice accoppiamento bestiale, che reca, coi fluidi corporei, una specie di virus. Metafora delle malattie sessualmente trasmissibili?
Jay esce con un ragazzo, fa sesso, e si becca la maledizione di un demone che non la mollerà mai più. A meno che, il demone non venga distratto, accoppiandosi con un altro.
Interessante, per due ragioni:
1) perché nell’horror, il sesso è uno degli elementi fondamentali (come Wes Craven insegna). È l’intimità che segna il passo, che cambia la prospettiva, che quasi sempre, scatena la pulsione dell’assassino. Sesso uguale morte.
E, infatti, subito dopo il sesso, Jay viene minacciata di morte. Una minaccia costante, duratura, finché avrà vita. La stessa cosa è capitata a tutti coloro che sono stati inseguiti prima di lei.
Con una differenza fondamentale, rispetto all’horror inteso in senso classico, qui il sesso è ambivalente, è sia dannazione che liberazione. Infatti è sufficiente rifarlo, con un nuovo partner, perché il demone insegua l’altro.
2) il sesso è evoluzione esistenziale. Progresso, diversità.
E qui, mi riallaccio alla scena evocativa citata poc’anzi. Fino a quel momento, la vita di Jay è mediocre, intesa come perfettamente nella media, con felicità e infelicità ben calibrate, equilibrate, inquadrate. È la vita sognante di una ragazza che, in contatto con l’immanenza della soddisfazione sessuale, identifica il suo momento perfetto, per poi essere travolta.
Il demone è la vita che ci corre dietro per farcela pagare, è mille volti estranei che, per semplici ragioni di moto e spazio, ci vengono incontro, schiacciandoci.
Jay, da quel momento, diviene centro della scena, letteralmente. La fotografia si inchina e la mette al centro dello schermo, in una serie di sequenze statiche, ipercromatiche (che segnano col rosso e col rosa l’imminente comparsa del demone), che la elevano a un ruolo superiore a quello dell’adolescente protagonista di un horror convenzionale, per quanto molto ben costruito.
È elevazione a potenza, a simbolo: la parabola della protagonista è segnata da perfezione illusoria e caduca, evoluzione, cambiamento, caduta e riassestamento.
Un percorso di vita, quasi un romanzo di formazione, It Follows, pulito delle parti drammatico-riflessive che, ai più, risultano indigeste, perché sempre infarcite di lirismo.
Il centro dell’azione, del dramma, della fotografia è la protagonista e la sua evoluzione nella disperata accettazione di sé e della consapevolezza che l’influenza contraria che lei, come noi tutti, può esercitare sulla propria vita, tramite il controllo e la gestione degli eventi, è assolutamente limitata.
Alla fine, i due ragazzi che passeggiano tranquilli, ancora inseguiti, insieme, dal demone identifica proprio gli stessi protagonisti di Eliot, attardatisi nelle camere del mare, svegliati dalle voci, accortisi di essere annegati.
Si cresce.
È quello che facciamo tutti.