“Puoi dipingerlo, disegnarlo o scriverlo, poi lo passi a qualcuno, lui legge quello che dici e ci ricava una nuova esperienza. E’ la sola connessione che hai con quel luogo, capisci? Non puoi riscrivere, perché riscrivere è mentire, ingannare; tradiresti i tuoi stessi pensieri: voler ripensare il flusso, il ritmo e il succedersi delle parole… è un tradimento. E’ il sacrilegio, Martin, il sacrilegio.”
“Non sono in disaccordo con la tua interpretazione cattolica della mia forte… necessità di riscrivere ogni singola parola almeno cento volte. Quello che tu chiami […], quello che tu chiami sacrilegio è la coscienza. E’ sacrilegio il non riscrivere il meglio possibile, il non voler riconsiderare da ogni possibile angolazione il tutto, soppesarne ogni aspetto.”
“Ah, sì? E che mi dici del rischio di poter ricensurare i tuoi pensieri migliori? I tuoi più onesti, primitivi, reali pensieri. E’ a questo che porta il tuo laborioso riscrivere, Martin.”
Buffo, ma il passo precedente mi ricorda le simpatiche discussioni sulla spontaneità della scrittura e me da una parte e le armate di J. Evans Prichard dall’altra…
Questo vuol dire che i nostri discorsi sono frutto di viaggi lisergici, che parliamo con i nostri PC, che scriviamo per loro rapporti e che ci accoppiamo con insetti giganti e carnosi? Chissà. Magari T’Pol è un insetto che si fa percepire da me con aspetto voluttuoso. Che mi seduce. Che mi controlla la mente iniettandomi nelle vene polvere gialla anti-scarafaggi…
Non avete capito niente, vero?
Be’, vi assicuro che questo è un impatto simile a quello che provereste se guardaste questo film, Il Pasto Nudo (1991) di David Cronenberg, tratto dal romanzo omonimo Naked Lunch di William S. Burroughs, un romanzo vomitato sulla carta, composto di frasi sconnesse, senza senso, come piace a me. Certo, è un caso limite, ma anche qualcosa di più. E’ l’estremo opposto, il nadir del caos, a suo modo perfetto nella sua incompiutezza. Capace di instupidirti, mesmerizzarti, oppure di farsi buttare nella pattumiera. Il suo merito è che alla sua lettura fa corrispondere sempre una reazione.
Il film è altrettanto sconnesso, visionario, folle, incompiuto e labirintico. Ah, quanti bellissimi aggettivi! Fiuuu…
Peter Weller è Bill Lee, uno sterminatore di insetti. Nel suo lavoro egli adopera una polvere gialla di cui è sempre a corto perché sia lui che sua moglie Joan (Judy Davis) hanno l’abitudine di spararsela nelle vene… Bill, soprattutto, è noto per aver assunto qualsiasi tipo di sostanza nata allo scopo.
Vittima di allucinazioni, forse, che si mostrano a lui sotto forma di insetti parlanti, in un momento di svago, Bill, emulando Guglielmo Tell, uccide la moglie sparandole alla testa. Egli è costretto, quindi, a lasciare la città, per emigrare in una località estera che rievoca i fumosi quartieri della Tangeri anni ’50… prima di partire, però, è contattato da un altro di quegli strani insetti che lo inizia ad una sorta di gioco di spionaggio, invitandolo a comprare una macchina per scrivere e a stilare rapporti, a cominciare da quello relativo alla morte di sua moglie.
Inizia, così, un momento lisergico che dura fino alla fine del film, tra macchine per scrivere-insettoidi che godono a farsi di roba e farsi schiacchiare i tasti, che si attaccano e si divorano l’un l’altra perché esponenti di opposte agenzie, fobie, in particolare omofobie, rispetto a determinate pratiche sessuali che paiono valorizzare, al contrario, l’individuo che le esercita agli occhi delle entità occulte che tramano nell’ombra, macchine per scrivere rapite e scambiate come ostaggi, scene di sesso deformi con esseri dotati di carapace, e rapporti a tre con escrescenze di carne frementi e zampe da millepiedi. In più, suggerito, il controllo delle menti attraverso la distribuzione di carne nera, macinata, sulla cui composizione restano molti dubbi.
Cronenberg misto a Burroughs è un eccesso di visioni allucinanti di insetti viscidi, di bocche che hanno l’aspetto di sfinteri, di macchine da scrivere d’epoca; un susseguirsi di allusioni, rimandi, accenni, ombre e ossessioni, il tutto sorretto da una messinscena sontuosa.
Ancor di più degli altri suoi film è destinato a pochissimi, di gradimento pressocché nullo per gli spettatori concreti. Per coloro che Cronenberg lo amano potrebbe essere un capolavoro, per altri semplicemente superbo. Per me deve essere visto, almeno una volta, perché contribuisce a spostare i limiti, a far superare confini, così come fa il protagonista, Bill, nel finale, dopo aver chiuso i conti, non senza sofferenza, con il proprio passato.