Su questo blog solo un’altra volta mi sono cimentato con gli anni ’50. È successo con “Il Pianeta Proibito” del 1956. Anche quello un bel film.
Immagino cosa state pensando: adesso verrà a dirci che Il Mostro della Laguna Nera (Creature from the Black Lagoon) è un fottuto capolavoro.
Perché sapete, io quella parola lì, la c-word, la uso, senza troppe remore.
Be’, per farla breve, per certi versi lo è. “Il Mostro della Laguna Nera” è proprio un fottuto capolavoro. Per altri no.
È un film che è leggenda. E questo è sicuro.
Non sto qui con la pretesa di raccontarvi cose che non possiate trovare su decine di altri blog o siti dedicati. Uno in particolare, che ha chiuso due settimane fa, ma ricchissimo di immagini d’epoca, mi sono permesso di segnalarvelo in chiusura dell’articolo. Ma sto qui perché l’ho rivisto l’altra sera e sono rimasto estasiato, da Julie Adams, tanto per cominciare, dall’unità del racconto, semplice e netto, senza sbavature e dalla mancanza di pietà e di senso di pietà che film come questi, di solito, si divertono a suscitare.
Il mostro è il mostro. Uccide, rapisce, difende sé stesso e il suo habitat. Fa, in definitiva, ciò che è nella sua natura fare.
L’uomo è l’essere umano. Arrivista, arrogante, forte, molesto, ingannatore grazie alla sua superiore intelligenza.
I due si scontrano. È ineluttabile. Perché entrambi si sono accorti della presenza dell’altro. E la convivenza pacifica non è un’opzione prevista.
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Il Paradiso Perduto
Dicevo dell’unità e compattezza della narrazione. Essa procede in blocchi. Di breve durata, ma efficacissimi nell’esporre i fatti. Cosa che più conta in un prodotto come questo, di solida fantascienza.
Magie del prologo, o forse della tecnica mista alla fotografia: il pianeta terra ci viene mostrato come una massa magmatica caratterizzata da enormi esplosioni. La creazione è scaturigine dei motivi della storia che ci si accinge a vivere.
L’ignoto incarnato dal mostro della laguna che ancora sfugge allla sedicente onniscienza dell’uomo. Costui crede di aver conquistato tutto, pagando la propria superbia con il proprio sangue.
La Laguna Nera, all’interno del Rio delle Amazzoni, è l’ultimo Paradiso Perduto. Là, dove gli animali assomigliano per forma e dimensioni gigantesche ai loro fratelli nel tempo delle origini, si nasconde la Creatura: metà uomo, metà anfibio, coperto di scaglie e dotato di una forza sovrumana.
Secondo un tema carissimo alla fantascienza, e a me stesso, la scoperta dell’altro da sé, il film affronta il momento della sorpresa, la susseguente sospensione dell’incredulità e la lotta per la sopravvivenza, sia scontro fisico che d’ingegno.
Istinto e praticità contro raziocinio. Forse, ma non solo. “Il Mostro della Laguna Nera” è anche tecnica sopraffina, trovate sceniche non indifferenti ed è, soprattutto, tremendamente anni ’50.
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Curiosità
# Ricou Browning, il nuotatore professionista che prestò le movenze alla creatura, era costretto a trattenere il respiro, durante le riprese subacquee, fino a quattro minuti. Questo perché il regista non voleva che comparissero bolle d’aria vicino al naso e alla bocca della creatura, dal momento che si presupponeva respirasse tramite le branchie. Per la stessa ragione il costume non fu dotato di una camera d’aria interna. Nel seguito del film questo dettaglio fu ignorato sicché le bolle d’aria della “respirazione” furono ben visibili sul volto del mostro.
# Gli occhi della creatura erano composti della stessa gomma del costume, rendendo così quasi nulla la visuale da parte dell’attore all’interno del costume.
# Gabriel Figueroa, regista messicano, a una cena avvenuta durante le riprese di “Citizen Kane”, narrò la storia di una creatura umanoide anfibia che si diceva vivesse nel Rio delle Amazzoni. Da questa leggenda, il produttore William Alland trasse ispirazione per sceneggiare il film.
# L’aspetto della creatura è stato concepito prendendo come base la statuetta degli Oscar e aggiungendovi dettagli desunti da due intagli lignei del diciassettesimo secolo denominati “Sea Monk” e “Sea Bishop” che raffiguravano esseri umanoidi anfibi.
# Due attori/stuntman interpretarono la creatura: il già citato Ricou Browning, durante le riprese subacquee e Ben Chapman in quelle sulla terra ferma.
[fonte: sezione “trivia” della scheda del film su IMDb]
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Julie e la Creatura
Al di là dell’uomo di scienza David Reed (Richard Carlson) e del suo collega/datore di lavoro/rivale Mark Williams (Richard Denning) che paga il suo essere ottocentesco nello spirito e nell’ambizione, i due eroi sempre padroni della situazione, è il duo costituito dalla creatura (Ben Chapman e Ricou Browning) e da Julie Adams la vera icona vintage di un’epoca.
È il mito de la bella e la bestia che rivive? Può darsi. Anche se alla fine sfuggono le motivazioni che inducono il mostro, già ferito e sconfitto, a rapire la donna per condurla nel suo rifugio. Si è lasciato spazio alle interpretazioni. Vizio nel quale non indulgo così spesso.
È il loro essere simbolo la loro vera forza, a mio avviso. Il potere dell’immagine.
Basta guardare le splendide fotografie del periodo. Su internet ne troverete centinaia.
Julie Adams è la perfetta damsel in distress. Poco più che un oggetto. Sostegno, letteralmente, del suo compagno David, che si appoggia a lei per togliersi le pinne dopo le sue immersioni eroiche, ostacolo, come ho detto, all’esplorazione dell’ignoto, perché ritenuta un magnete per il pericolo insito in ogni luogo ancestrale e scaturigine della curiosità della creatura che, a differenza che con gli uomini, non solo non l’attacca, vanificando l’opinione oggettivante che di lei essi hanno quando vuole assomigliarle, nuotando accanto a lei, ma la vuole anche possedere, stringendola tra le sue forti braccia, divenendo immortale.
Non sa neppure il perché la voglia, ma la vuole.
Julie Adams è bellissima. A guardarla vengono in mente quei diner polverosi al sapor di metallo cromato, quelle acconciature piene di lacca, quei vestiti dai colori pastello, la famiglia nucleare…
Ogni mossa del suo collo, delle sue gambe, seppellisce qualsiasi starlette contemporanea. In questo senso è un’icona, tanto quanto il costume di gomma del mostro. Uno scafandro caldo e soffocante dall’interno del quale, però, si poteva contribuire alla storia del cinema.
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Fascinazione
Riprese subacquee e una coppia di attori che s’è divisa l’anonimato. La creatura s’è mangiata la loro gloria sopravvivendo a entrambi e rubando loro l’immortalità accanto a Julie.
Forse la classe di questo film è anche nel suo bianco e nero. Girato in 3D, poi svilito nella riedizione con tecnica in anaglifi; rivoluzione e ambizione in atto. Attori catapultati in acqua e sequenze, come l’ingresso nella laguna e la nuotata di Kay (Julie Adams) nelle acque incontaminate della stessa, mentre il mostro la spia e danza sotto di lei quasi giocando, che sanno di onirico.
B-movie, fantascienza, monster horror, sono solo nomi. Quel che resta, a distanza di così tanti anni è puro fascino.
Noi possiamo solo restare ammirati a osservarne siffatta eleganza.
Link utili:
Scheda del Film su IMDb
Creature from the Black Lagoon su Wikipedia ENG
The Blog of the Creature!
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