L'Attico

Il mio nome è Boobie

Siamo entrati nella Top Ten di Wikio, tra i blog di cinema. Ma il bello di gestire un posto come Book and Negative è esserne il padrone assoluto, slegato da amicizie e inciuci di sorta con chiunque, e poterne così decidere i ritmi e gli argomenti, senza alcun timore di ritorsioni fraterne.
Ragion per cui, dato che in questi giorni non mi va di parlare di cinema, parliamo di storie, di narrativa.
Non è un argomento slegato, anzi. Se non lo avete ancora capito, il cinema è narrativa, sebbene qualche geniaccio si affanni a dirvi il contrario. Come direbbe Vincent Vega, parafrasandolo: “È lo stesso fottuto campo da gioco”. Ma Vincent parlava d’altro, ve lo concedo.
Noi in questo campo, la narrativa, ci divertiamo, chissà perché convinti che valga la pena guardare/leggere altre storie, criticandole, e discutendoci sopra e intorno, fino alla nausea.
Tutto questo preambolo perché credo che quest’articolo di Alex (e i relativi commenti) meriti qualche considerazione in più. In particolare circa il contadino pedissequo e il colore delle pareti. No, non preoccupatevi, non sto dando i numeri a causa del vento di Scirocco. Eppure questi due fattori, contadino e pareti sono, così sembra, discriminanti del valore di un’opera di narrativa.
Prima piccola avvertenza: queste mie riflessioni non nascono dall’articolo in sé, ma mi appartengono da sempre; e, soprattutto, non hanno intento polemico.
Seconda piccola avvertenza: questo blog si difende da solo da eventuali flamer. Oppure intervengo io. E sono dolori.
Si discute di stile, in fondo. Di tutti quei ritocchi o caratteristiche che arricchiscono e fanno unica un’opera di narrativa.
A questo punto, io direi di cominciare dal nome. Che, da sempre, è la cosa più importante.

***

Il nome

Girava un vecchio spot pubblicitario con Sylvester Stallone. Questo qui.
Gran figo, uomo d’azione, risolve la situazione di pericolo grazie a colpi e manovre ben assestate. La ragazza, che già sbava per lui, gli domanda il nome. E Sly risponde: Boobie (o Bubi).
E la gente che lo venerava come il salvatore si mette a ridere.
Ecco, questa storia è simile a quella del contadino pedissequo, che parla forbito.
Mi spiego. La co-protagonista del mio eBook si chiama Zooey. Scelta bastarda, innanzitutto, più che saggia. Vediamo perché:

1) è un nome di un personaggio di Salinger. Un personaggio maschile. Ma questa è una cosa che sfugge ai più.

2) è il nome di una nota attrice e cantante. Carina.

3) il volto di quella stessa attrice e cantante, visto in decine di foto su internet si associa, grazie a rapide pennellate descrittive, al personaggio di carta, che vien fuori per magia. E il lettora la vede, bella, carina, capricciosa, paurosa, che fa le smorfie. È viva e reale.

Anche Erica è un nome figo: ruvido, immediato, che ricorda il colore acceso della pianta da cui esso deriva.
Bel nome, o nome adatto = bel personaggio? Insomma, il carattere del personaggio e la sua riuscita la fanno anche i nomi? Parrebbe di sì.
Se Hell si fosse chiamato Boobie e Zooey Genoveffa, sarebbero stati fighi lo stesso? A parità di descrizioni?
Mah. Nel senso, Boobie potrebbe trasformarsi in un figo, insieme a Genoveffa, o potrebbe esserlo già in partenza, senza per questo assecondare le smanie del lettore che esige. Anche Boobie può diventare un eroe, contro tutte le apparenze, se il narratore ci sa fare. Ma io preferisco continuare a chiamarlo Hell. Chissà perché.

***

Le pareti

Questo è l’argomento che sento di più. Ovvero la libertà dell’autore di cambiare la realtà.
Essa deve essere assoluta. Non c’è storia o critica che tenga.
Tornando a GfH, lì la scelta di mantenermi fedele alla realtà non è stata un’esigenza interiore, men che meno paura verso tali critiche, ma una comodità. Il romanzo è stato scritto e successivamente ampliato in breve tempo. Era più facile andarsene in giro con Google Maps, prendere atto della realtà geografica e scriverne di conseguenza. Persino la casa descritta nel capitolo “La Mano” è autentica.
Ciò non toglie che sono assolutamente persuaso del diritto dell’autore di mutare la realtà a proprio piacimento. E che quindi egli non solo possa cambiare il colore delle pareti, ma anche cambiare gli edifici e spostarli, oppure cancellarli, se questi sono d’intralcio alla storia; storia che, fino a prova contraria, deve continuare a essere l’elemento fondamentale e principe del libro. A maggior ragione se si fa riferimento a una finzione futuristica, in cui, per ovvie ragioni, i cambiamenti rispetto alla realtà sono scontati.
State pur certi che, se avessi avuto necessità di spostare città e montagne l’avrei fatto, fregandomene dei lettori saccenti. Perché in effetti non considero questo un limite. Piuttosto un puntiglio della critica fine a sé stesso.
Da scrittore ho il diritto di ambientare una storia in un’astronave pur non essendoci mai stato e non avendone mai vista una.

***

La parola

La frase del secolo: “un contadino non userebbe mai la parola pedissequamente”.
Risposta del secolo: “e perché?”
Perché un contadino non può usare la parola pedissequamente?
In letteratura non esiste, non mi stancherò mai di ripeterlo, il si può fare o il non si può fare. E sì, Joyce è il mio mentore, se proprio devo dirvelo. Non a causa del suo Stream of Consciousness, ma perché se ne fotteva, sostanzialmente. Un po’ come Shaw.
Non esistono leggi, ma solo consuetudini.
Un contadino pedissequo è altrettanto intrigante rispetto a un politico ignorante. Possono esistere. Ma, stranamente, il politico ignorante è accettato nell’immaginario comune più del contadino pedissequo. Il guaio è che può fare molti più danni il politico ignorante del contadino colto. Ecco perché siamo nella merda, non trovate anche voi?
Ma sto andando fuori tema.
Il punto è che anche qui, ho preferito caratterizzare i miei personaggi con modi di esprimersi propri.
Ma non perché un qualunque coglione che sbraita su leggi e norme letterarie pensa che si debba fare così, ma solo perché sembra una scelta sensata.
Erica si esprime in un certo modo: volgare a più non posso. Eppure, essendo commessa di Harrods, deve avere la bella presenza e sapersi anche esprimere in modo corretto. È ambivalente. Io stesso sono così, anche se questo blog sembra essere diventato, per certe lettrici, il luogo del bel parlar gentile.
E tuttavia reputo che personaggi diversi debbano esprimersi in modo diverso, al di là della loro estrazione sociale e del loro ruolo. Perché la loro “voce” sopperisce, o meglio contribuisce a caratterizzarli.
Di tutte le possibili critiche da parte del lettore, credo questa sia la più fondata. Non tanto per la scelta dei vocaboli, forbiti o meno rispetto alla natura del personaggio, natura che è tutta da stabilire, non certo a priori, quanto per la realtà che vuole ognuno di noi esprimersi in modo diverso.

***

Lo stile

E infine, lo stile.
Solo dopo aver visto materializzarsi il mio eBook ho capito di avere uno stile. Perché ho potuto confrontarlo con altri.
Lo stile, quello di tutti, è l’impronta, la cosa più preziosa dell’autore. Quello che ci permette di riconoscerlo.
Ognuno ha i suoi piccoli vezzi.
Il mio è quello di fare lievi cambiamenti in corso d’opera. Mutarlo a seconda dell’emotività del personaggio, del frangente che egli si trova a vivere. La cosa vi disturba? Chissene.
Non ho mai considerato la punteggiatura importante o fondamentale. Né ho mai considerato importanti le norme attualmente in voga circa il buon modo di scrivere. Ve l’ho detto, se ho usato lo Show don’t tell, l’ho fatto senza rendermene conto, perché in quel momento mi girava di scrivere quelle cose lì. Allo stesso tempo, ho inserito qualche descrizione che esulava dal Qui e Ora, perché ci stavano… erano adatte.
La regola principe, se proprio devo darmene una, è la rilettura e la susseguente musicalità.
Rileggo il testo. Se lo trovo corrispondente ai miei ritmi e alle mie esisgenze, allora va bene. Altrimenti c’è da cambiare qualcosa. E, quasi sempre, si tratta di tagliare il superfluo, mai aggiungere.
Ma lo stile, cari lettori, è personale e non può né deve uniformarsi a regole astruse.
Sì, le regole e i trucchetti fanno bene, ma fino a un certo punto.
Poi, lo sapete, io sono il tipo che non legge per non copiare, e che si annoia a morte davanti alla maggior parte dei libri di narrativa, quindi sotto certi aspetti sono il nemico naturale di chi ciarla da mane a sera di regole e manuali. Nemico per modo dire, perché non ho né il tempo e né la forza, men che mai l’interesse di percorrere tali sentieri come facevano i crociati.

***

Scrivere

Come avevo già scritto, quello che conta è scrivere. E ora che l’ho fatto sono passato immediatamente dalla dimensione delle infinite chiacchiere sulla scrittura alla scrittura stessa. Cosa, questa, molto più piacevole e concreta. E se pensate che io non accetti le critiche, sbagliate di grosso. E da queste parti gironzola più di qualcuno che vi può confermare il contrario.
A volte bastano poche cose:

una storia
bei personaggi
poche e sensate chiacchiere (da parte di chi legge e critica)
e un pochino di educazione (eh già, la parola stessa vi infastidisce, vero? Specie qui su internet. Ma da queste parti o la usate o vi spacco il… ci siamo capiti)

E la lettura assume di colpo quel sense of wonder che ha perso da tempo.
Giusto qualche consiglio, se volete.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
    • 13 anni ago

    Su quel livello di critica concordo con te: un libro è formato da storia e forma, e nel valutarlo vanno considerate entrambe; un muro che cambia colore, anche se fosse un errore, non è sufficiente a cassare un’opera altrimenti sufficiente.
    Io ho la tendenza a notare eventuali refusi, anche senza cercarli attivamente (credo di avertelo dimostrato 😛 ), e se parliamo di una media di un refuso ogni una/due pagine (caso reale) la cosa diventa eccessiva: a causa degli errori non riesco a seguire la storia, quindi il valore dell’opera – a prescindere dalla qualità della trama – ne viene inficiato.
    Se però la quantità rimane ragionevole non è assolutamente motivo di demerito.

    Comunque, in generale: per portare un esempio pratico di cosa intendo, in Ultimate X-Men c’è una centrale nucleare che esplode (con tanto di fungo atomico, se ben ricordo) a causa di una fusione nucleare dolosa.
    Intanto, la fusione del nocciolo è cosa ben diversa dalla fusione nucleare; poi, la fusione del nocciolo non causa un’esplosione atomica.
    Non cestino l’intera serie per quell’evento; ma è comunque un errore: rispetto alla realtà, e dell’opera in sé (perché in quell’episodio ho passato più tempo a chiedermi “Eh? Cosa?” che a godermi gli eventi).
    Mauro.

      • 13 anni ago

      Sì, ma parliamo sempre di casi estremi. Un libro contenente una marea di refusi e errori!
      Ovvio che ci sta la seccatura da parte di chi legge.

      Diciamo, se ancora non è chiaro, che le mie posizioni partono sempre da basi moderate contro altre posizioni che giudico estreme. Tutto qua.

      Poi, come ho detto sopra, ‘sta storia della fusione del nocciolo è come l’orologio in Ben-Hur. Ovvio che sia un errore.

      😉

    • 13 anni ago

    Sì Hell, sebbene abbia dovuto farlo a spezzoni.
    :-)))

    • 13 anni ago

    Non credo che ci sia qualcosa da obiettare in quello che hai scritto: nomi, pareti, stile… contadinotti. Una volta che rispettiamo la grammatica e le regole sintattiche io penso che dovremmo essere a posto.
    Non è così?
    Per fare un esempio delle pareti ricordo che In Patagonia di Chatwin era stato criticato perché alcuni dei luoghi descritti non esistevano secondo alcuni critici. Be’ in Patagonia per qualcuno è un libro di culto insuperabile.
    Certo bisogna fare attenzione a non esagerare. La sindrome dell’orologio (o sbaglio) di Ben Hur è sempre attuale, ma non credo che si tratti del tuo caso assolutamente. Insomma anche nelle critiche bisogna avere buon senso:-)

      • 13 anni ago

      E ti sei letto davvero questa apocalisse di commenti? 😀

      Scherzo, ovviamente. Però, ecco, non finiamo per parlare di eccessi, tipo l’Empire State Building di 15 piani o l’Orologio in Ben-Hur. Quelli sono errori, a meno che l’autore non ci metta una spiegazione.

      Però ecco che arriva Chatwin che non direi neppure che s’inventa, diciamo migliora la Patagonia per migliorare il proprio lavoro. In questo caso, che poi è anche l’eventualità che difendo a spada tratta, direi che ci sta.

      😉

    • 13 anni ago

    Per non parlare degli 1.21 GIGOwatt (con la “O”) di Ritorno al Futuro!
    Mitici!
    😀

    • 13 anni ago

    @Angelo
    Se leggo che il protagonista della storia fa un centro a 30 metri con una pistola a canna corta mentre fa delle piroette, sbavo acido ad alta molarità.

    Come Alien!

    Però, ok – anch’io notoriamente gettai in pattumiera un libro perché, dopo 400 pagine di preteso iper-realismo ultradocumentato, il revolver non sparava perché la protagonista s’era dimenticata di toglere la sicura.

    D’altra parte, quando James Coburn abbatte uno dei cattivi a duecento metri con un colpo di Remington ne I Magnifici Sette… bah, io il problema non me lo son mai posto.
    Aggiungiamo che poi lo sceneggiatore ci mette quella battuta, “Stavo mirando al cavallo”, ed è un capolavoro.

    Quindi dipende anche – se non vogliamo usare il termine genere – dallo stile della storia.

    Per cui butto lì anche questa, tanto per rinfocolare la discussione – se lo svarione c’è, ma è fatto con classe, sono pronto a ignorarlo.

    Per questo rido come un demente quando Van Voght mi parla di un milione di gradi Celsius sotto zero, ma sono fermamente convinto che il Millenium Falcon abbia fatto la Rotta di Kessel in meno di dodici parsec.

    • 13 anni ago

    Sì, è condivisibile. Ma attenzione, io non metto in discussione il realismo. Anzi, quello è irrinunciabile.

    😉

    • 13 anni ago

    Le uniche regole a cui non voglio derogare sono quelle che definiscono la sintassi e la grammatica italiana (o inglese, quando leggo in originale). Il resto è aperto a discussione e ai gusti di chi legge, ben vengano tutte le critiche finchè sono espresse in maniera sensata.
    Io appartengo al filone ‘bullonaro’, nel senso che mi dà noia leggere di cose irrealistiche o imprecise. Ma non in tutti i contesti , questo va detto. Se leggo una storia ambientata in epoche conosciute che vuole essere ‘storica’/ ‘realistica’ o dove si raccontano fatti che dovrebbero essere verosimili e trovo cose che so non essere possibili o false il mio sense of wonder salta direttamente dalla finestra e tendo a chiudere il libro digrignando i denti.
    Del colore dei cancelli non me ne frega nulla ma se leggo ‘cambiò il caricatore al revolver’ mi viene un filo da vomitare. Se leggo che il protagonista della storia fa un centro a 30 metri con una pistola a canna corta mentre fa delle piroette, sbavo acido ad alta molarità. Sindrome da bullonaro, all over my mind.
    Per il resto “show don’t tell’, “tell don’t show’ e tutti i loro fratellini non mi interessano, così come considero con svagata curiosità le etichette di genere narrativo. Io voglio leggere belle storie e quando scrivo provare a fare qualcosa di buono. Non mi interessa altro.
    Criticare, anche in maniera maleducata e/o feroce, mi può anche stare bene. L’importante è che chi lo fa abbia in qualche modo analizzato quello che ha letto. Se io dico che Moccia mi fa schifo lo dico dopo aver letto un suo libro e non prima perché lo dicono gli altri.

    • 13 anni ago

    @ Davide: capisco e credo di condividere il tuo punto di vista su gatekeeping/mobbing, grazie per averlo espresso.

    “Mi incuriosisce invece la questione della recensione negativa come “più onesta”.
    Insomma, ti dico che sei un idiota, quindi è impossibile che io stia mentendo o abbia dei pregiudizi?
    Sono solo io a trovare questa faccenda fallace sul piano della logica?”

    Al solito mi esprimo coi piedi, sorry.
    Punto primo: non credo che una recensione onesta intellettualmente dia all’autore dell’idiota, del mentecatto o simili. Quello è insultare, non recensire.
    Punto secondo: se una recensione positiva non si limita a elencare i motivi per cui il libro è bello ma sa vederne i difetti minori; e una recensione negativa non si limita a elencare difetti ma anche pregi del libro; allora secondo me si tratta di recensioni oneste.
    Come hai scritto anche tu poco sotto, pregi e critica devono stare assieme, e proprio per aiutare il lettore a decidere se il libro fa per lui.

    • 13 anni ago

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    • 13 anni ago

    Hell: come detto, “so che è una cosa invisibile al lettore e quindi per lui non cambia nulla”; il lettore non può saperlo, salvo che sia l’autore stesso a dirlo, quindi dal suo punto di vista è indistinguibile.
    Però, quando si ambienta il libro in questo mondo, è logico suppore che il lettore si aspetti… questo mondo (perché, se scelgo che le Torri Gemelle ci sono ancora… non è questo mondo), e che eventuali modifiche siano funzionali alla storia. Il rischio, nel fare una modifica, è che qualcuno se ne accorga; se qualcuno se ne accorge, questo potrebbe farlo uscire dalla storia, ossia l’esatto contrario di ciò che dovrebbe fare il testo; e, per quanto la critica a sé possa essere un po’ sterile, se mossa perché “Mi ha fatto uscire dalla storia” non è fine a sé stessa o mirata semplicemente a distruggere il libro, ma basata su un disagio reale (per quanto soggettivo).
    Per questo, credo che l’autore abbia il diritto di modificare l’ambientazione, ma – visto che farlo ha un prezzo – credo che dovrebbe farlo quando la modifica è funzionale e irrinunciabile. Quel diritto non dovrebbe diventare – e non voglio assolutamente dire che per i presenti lo sia diventato – la scusa dietro cui nascondere ogni errore.

    Poi, il libro (parlo di SsPG, per agganciare la risposta a un caso pratico) mi è piaciuto; anzi, personalmente gli aspetti mi hanno convinto di meno non sono il contadino forbito o il muro cangiante, al punto che nel commento non li ho nemmeno nominati. Semplicemente, come dicevo altrove, non sono certo di condividere il discorso sull’autopsia narrativa, perché non ho chiaro fino a che punto tale termine si spinga (basta far notare simili cose all’autore? o arriva a usarle per distruggere un’opera, attaccandosi a tutto? o cosa?).
    Mauro.

      • 13 anni ago

      Secondo me l’autopsia narrativa avviene quando l’intero valore di un’opera (che sia davvero così o meno non importa, dato che quella è l’impressione che si avverte leggendo tali recensioni) viene subordinato alla presenza o meno di tali “errori”.

      Questo è inaccettabile.

      Come dicevo prima. Se scrivo un tomo di 400 pagine (ammettiamo anche che siano scritte bene), non mi si può crocifiggere se mi invento un palazzo accanto all’ospedale di Novara. E tiro in ballo lo stesso esempio senza malizia, sia chiaro.

      Mi dispiace, ma questa non è una critica accettabile. Di fronte a una roba così l’unica è fregarsene. Cioè, neppure se stiamo a discutere da adesso in capo a un mese riuscirete a convincermi del contrario.
      Comunque, voi conservate la vostra opinione, ci mancherebbe. Io continuerò a scrivere a seconda dell’esigenza del momento, il ché non implica che adotterò trucchetti di sorta, ma una piena libertà di sentire il mio testo. Perché è mio, il testo…

      E sia altrettanto chiaro, non mi riferisco a nessuno dei presenti in particolare. Il mio è un discorso generico.

      🙂

    • 13 anni ago

    Ci sono un po’ i punti sui quali rispondere.
    Cercherò di essere breve (e spero di beccarli tutti al primo giro).

    Comincio col gatekeeping.
    Una cosa è il gatekeeping, una cosa è il mobbing.
    Se per gatekeeping intendiamo la legittimazione dell’autore, l’apposizione di una patacca che dice “Scrittore” sul petto del personaggio, allora una buona recensione o una brutta recensione svolgono la stessa funzione – una lascia entrare, l’altra chiude la porta al petendente al titolo.

    Tuttavia, scrivere (e chiedo scusa alle signore) “Il romanzo X mi fa schifo al cazzo” (non me lo sono inventato) non è gatekeping, anche se poi ci sono tre o quattromila parole per argomentare su congiuntivi, world-building o quant’altro.

    O, meglio ancora – ho il terrore che possa diventare gatekeeping.
    Che la tendenza, in altre parole, dilaghi.

    Allo stesso tempo, dire “Il romanzo X mi fa schifo al cazzo” non è neanche feedback per l’autore, così ome non lo è la successiva autopsia sul romanzo.

    Ed anche qui, ho il terrore che possa diventare feedback – che un sacco di volenterosi, in altre parole, adotino questo stile (o mancanza del medesimo)

    Poi, ok, certo, è il rude stile di questo o quel recensore – che è uno stronzo, lo dicono tutti, ma cavolo, il modo in cui ha smontato il romanzo X…
    Se ti offendi sei tu che non sai stare allo scherzo, no?

    Si tratta di atteggiamenti deteriori, che io preferisco evitare.

    [aggiungo che so benissimo che qui queste cose non accadono e nessuno dei miei interlocutori è a questo livello – insomma, non sto parlando di VOI, ok?]

    Detto ciò – perché non parlare dei libri brutti…
    In primo luogo, sottolineo che si tratta di una mia scelta dalla quale raramente mi discosto ma che mai mi sognerei di imporre ad alcuno.
    Se proprio la devo giustificare, posso dire che un brutto libro mi ha già rubato un certo numero di ore che nessuno mi restituirà, e nessuno mi paga per buttarne altre discutendone.

    E poi io preferisco sottolineare il positivo, che ci volete fare – il che è la mia giustificazione per scrivere recensioni positive di ciò che trovo di buono.
    Si tratta dopotutto del diritto di dire ciò che uno pensa, esattamente come osservato poco più sopra.
    Fatemi causa.

    Mi incuriosisce invece la questione della recensione negativa come “più onesta”.
    Insomma, ti dico che sei un idiota, quindi è impossibile che io stia mentendo o abbia dei pregiudizi?
    Sono solo io a trovare questa faccenda fallace sul piano della logica? 😉

    Piuttosto, in ogni buona recensione – se fatta bene, e con onestà – ci deve anche essere lo spazio per la critica.
    “Fin qui tutto bene, però…”
    È perfettamente lecito, aiuta a presentare un discorso bilanciato.
    Vale anche, naturalmente “È una ciofeca, ma…”
    Questione di scelte, gusti, inclinazioni personali, standard di giudizio.
    Perché una buona recensione deve aiutare il lettore
    a . a decidere se quel lavoro fa per lui, indipendentemente dal fatto che la recensione sia positiva o negativa
    b . deve cercare di ampliare il lessico, il linguaggio del lettore nel confrontarsi con il libro o il film, indipendentemente dal fatto che la recensione sia positiva o negativa.

    NON deve ridursi a una check-list di errori da cercare ed evidenziare, chi ne trova di più ha vinto.
    Che è, ahimé, uno stile (o mancanza del medesimo) che si va diffondendo.
    Ed è molto molto sterile.

    [ma, ribadisco, questo non riguarda i partecipanti a questa discussione]

    • 13 anni ago

    Se non erro era sul tuo blog, Davide, che parlavi di come internet e la sua “apertura” stanno creando nuove forme di gatekeeping, giusto?
    Forse quello che ci spinge, nel bene e nel male, a parlare (bene o male) di quel che leggiamo è la consapevolezza di essere potenziali gatekeeper, o forse solo la speranza di esserlo.
    D’altro canto c’è la questione del feedback. Quanti autori vogliono un feedback? Tutti!
    Quanti ne ricevono? Boh, ma a naso, tra quelli autoprodotti, pochi.
    Io tento di dare feedback delle cose auto-prodotte, perché credo che se ne debba parlare, e se non lo fanno dei blogger sconosciuti come me non lo farà certo il sito di una grande casa editrice.

    Sul fatto che si debba non parlare delle proprie brutte letture… perché? Per cortesia? Perché parlare di un brutto romanzo è come sparare sulla Croce Rossa? Se le ragioni sono queste, le trovo un po’ deboli.
    Per contro credo che una recensione negativa, o una recensione che non si limita a dire “bellissimo” ma evidenzia i difetti di un libro, è più onesta intellettualmente. Di più: credo sul serio che possa “avvertire il mondo”. Forse sono un’illusa ^_^’

    A voler portare la questione all’iperbole uno potrebbe chiedersi (specchiando le tue stesse domande): perché, allora, scrivere una buona recensione? 😉 Ho il dovere di avvertire il mondo, mi preme tanto far spendere bene i quattrini a degli sconosciuti? Davvero penso che il mio grido di gioia chiarirà a tutti e per sempre che il mio genere di elezione è meglio? Davvero penso che il mondo domattina sarà, anche solo localmente, migliore? Davvero ritengo che i curatori e gli editor dell’Editrice X si scioglieranno in calde lacrime di commozione di fronte al mio elogio? O si tratta solo ed sclusivamente di mostrare al mondo quanto io e il mio genere preferito siamo fighi? 🙂
    Spero sia chiaro che quest’ultima vuole solo essere una “provocazione” scherzosa 🙂

    • 13 anni ago

    Sulle pareti: so che è una cosa invisibile al lettore e quindi per lui non cambia nulla; e so che anche per molti sarà una piccolezza. Ma per me è anche importante è se l’autore ha scelto di fare quel cambiamento (caso in cui ha cambiato la realtà realtà a suo piacimento), o se nemmeno se ne è accorto (caso in cui, per me, di fatto ha sbagliato; magari non è un errore grave, ma è un errore).
    Mauro.

    • 13 anni ago

    “Poi resta il dubbio – ok, leggo una ciofeca colossale.
    Ho davvero il dovere di avvertire il mondo?
    Davvero mi preme tanto far risparmiare i quattrini a degli sconosciuti?
    Davvero penso che il mio grido di dolore chiarirà a tutti e per sempre che il mio genere di elezione non è così, il mio genere è meglio?
    Davvero penso che scrivendo 3000 parole su un romanzetto eminentemente dimenticabile il mondo domattina sarà, anche solo localmente, migliore?
    Davvero ritengo che i curatori e gli editor dell’Editrice X ascolteranno il mio duro monito e si ravvederanno?
    O si tratta solo ed sclusivamente di mostrare al mondo quanto sono figo?”

    Sono d’accordo solo in teoria.
    Se ne parlo bene, invece il mio contributo ha qualche valore? La critica ci può stare, anche feroce. Trovo sia sciocco farla su autori meno conosciuti, invece vitale che lo si faccia su autori famosi: il piccolo autore (di cinema, di letteratura, di musica) compie un piccolo miracolo. Spesso non ha visibilità. E, al di là di tutto, gli individui devono essere spronati a far uscire il loro lato creativo, non bastonati.
    Il “grande” autore è a volte osannato per niente, per dire, e non c’è UNA sola voce fuori dal coro, molto spesso, che urli che il Re è nudo. Per dire, mi è piaciuta molto la recensione di Zombieland che c’è su questo sito… ed era tutto meno che lusinghiera. Ce n’era bisogno? un po’ sì, visto che si capiscono i gusti di chi scrive, si intuisce il suo spirito critico e si ha in internet qualcosa che dia contro ad una pellicola che ha fatto sbellicare quasi tutti.

    Non è questione di avvertire nessuno, credo, bensì di avere il diritto e la possibilità di dire quello che si pensa. L’importante è non accanirsi personalmente e non sentirsi degli dei in terra, sputando sulla gente. Personalmente sono più sull’ignorare ciò che non mi piace, non godo nel dire ad uno scrittore in erba che la sua roba fa cagare. Se anche lo penso, non lo scrivo, perché non lo trovo soddisfacente né utile.
    Se però mi guardo un film di Antonioni e credo sia mediocre e privo di importanza, la mia critica sarà feroce ed argomentata e non la trovo superflua. Certo che è un grido al mondo per mostrare lamia presenza ma lo sarebbe QUALSIASI cosa io scriva. Anche questo commento inutile, per dire.

      • 13 anni ago

      Trovo sia sciocco farla su autori meno conosciuti, invece vitale che lo si faccia su autori famosi

      Ancora una volta, concordo in pieno con Alice.
      Poi è quello che ho fatto con l’ultimo film di Carpenter, The Ward. Più mi aspetto da un regista e più mi incazzo se non mi dà quello che so essere in grado di dare.
      Da questo punto di vista la questione ha tutto un altro spessore.

      @ Mauro
      Ok, ma come fai a sapere se di scelta o errore si tratta? E nel frattempo, il libro ti piace o no?

    • 13 anni ago

    @Zeros
    Nessun problema – capisco perfettamente il tuo punto di vista.
    Capita di imbattersi in qualcosa che stona, capita di studiarci su una notte per capire perché stoni.
    È parte del processo di apprendimento.
    Poi si lascia lì il libro stonato e se ne cerca uno migliore.

    Resta di fatto che io credo ci sia un problema di interattività c rescente – il lettore vuole sempre più spesso metterci del suo, prova un rapporto di competizione con chi scrive.

    Un po’ dipende dal fatto che molta scrittura oggi di fatto è interattiva (vedi i blog, etc.), e c’è una abitudine all’interattività (videogames, MMORPG, etc).
    Un po’ dipende dal fatto che sono disponibili molte più informazioni su tecnica e scrittura, e quindi tutti sanno (o pensano di sapere9 come si fa.
    Un po’ dipende dal fatto che sempre di più gli autori si rivelano per dei comuni esseri umani, con tutte le loro fallibilità e fisime, per cui alcuni si domandano “Ma chi si cree di essere, ‘sto imbecille?”

    Poi resta il dubbio – ok, leggo una ciofeca colossale.
    Ho davvero il dovere di avvertire il mondo?
    Davvero mi preme tanto far risparmiare i quattrini a degli sconosciuti?
    Davvero penso che il mio grido di dolore chiarirà a tutti e per sempre che il mio genere di elezione non è così, il mio genere è meglio?
    Davvero penso che scrivendo 3000 parole su un romanzetto eminentemente dimenticabile il mondo domattina sarà, anche solo localmente, migliore?
    Davvero ritengo che i curatori e gli editor dell’Editrice X ascolteranno il mio duro monito e si ravvederanno?
    O si tratta solo ed sclusivamente di mostrare al mondo quanto sono figo?

    • 13 anni ago

    Sì, infatti, riconosco che con la musica ho fatto un esempio estremo e azzardato.
    Però hai centrato il punto: l’assenza delle basi matematiche nella lingua scritta e parlata.
    Cosa che vado urlando da sempre.
    Ed è difficile da accettare eh? Che la lingua è fenomeno arbitrario non soggetto a regole ferree.

    Comunque, lieto di sapere che la pensi come me. 😉

    • 13 anni ago

    Eh ma la musica dirompente la fai solo se hai una tecnica sopraffina, altrimenti non puoi esprimere tutto quello che vorresti, te lo assicuro.
    E il ritmo neanche basta, perchè puoi avere tutto il senso del ritmo che ti pare, ma se non hai i mezzi per tradurlo in qualcosa di intellegibile, resti fregato.
    La percezione della musica è del tutto soggettiva, hai ragione. Però se uno sa suonare o no, bè, quello si stabilisce in maniera piuttosto universale. Poi quello che fa può o non può piacere…
    Con la letteratura è diverso, non ci sono delle basi matematiche da cui partire. Insomma, è un gran casino. Per questo parlavo del modo che ognuno di noi ha di intendere la critica.

    • 13 anni ago

    Chiariamoci, perché mi sono espressa in maniera fraintendibile: non intendo dire che se trovo qualcosa che secondo me in un testo non va, cerco di sistemarlo perché son più brava.
    Se trovo qualcosa che non mi pare funzionante cerco di capire cos’è. Ho usato il verbo aggiustare per rimanere nella tua similitudine del meccanismo, ma in realtà si tratta di un processo dettato da curiosità e fame di conoscenza: cerco di capire cosa e perché (ripeto: sempre a mio parere, condivisibile o meno) non va.
    Per alcune cose ho trovato il nome solo di recente (tipo l’infodump), ma la sensazione di fastidio, di stridio, c’è sempre stata.
    Poi magari provo a immaginarmi come avrei potuto scrivere quella stessa parte in maniera più consona ai miei gusti, ma qui siamo d’accordo, ognuno scrive le cose a modo proprio, e per fortuna! ^_^

    • 13 anni ago

    Il problema è che se io mi scopro a smontare il meccanismo è solo perché quello stesso meccanismo (per me e chi potenzialmente la pensa come me) non funziona. Più stride e più cerco di aggiustarlo.

    Questo mi inquieta ancora di più. 😀

    Perché smontare la mia storia, segnalare gli svarioni, annunciare all’universo che sono un deficiente e spiegare nel dettagio cosa sia stato sbagliato e cosa si sarebbe dovuto fare, beh, rassegnamoci, non aggiusta un bel niente.

    E la strana, inspiegabile confusione scrittore/lettore si fa ancora più forte.
    Ma allora anziché leggere, perché non scrivere?

    E davvero, moltissime critiche negative che si trovano in giro si riducono, se togli le citazioni, le regole e il bla bla bla, ad un semplice “Io non l’avrei scritto così”/”Io l’avrei scritto meglio”.
    Che, ok, ci credo.

    Resta discutibilissimo il fatto che non sia un mandato celeste quello che tutti debbano scrivere allo stesso modo delle stesse cose.
    Ma c’è di peggio.
    Perché non c’è scritto da nessuna parte che io debba scrivere – o peggio ancora, pensare – come scrive o pensa qualcun’altro.

    • 13 anni ago

    @ Hell: Novara è intoccabile. Tranne che dai Gialli! ^_^

    • 13 anni ago

    @ ALice: nessun problema, direi 😉 Più Vin Diesel per me! 😛

    @ Davide: “dall’altra, c’è questa starna impressione che chi lege legga una parola alla volta, isolando e soppesando ciascun vocabolo.
    Per cuii inciampa su “pedissequamente” e su una parola danna una storia di 70.000 parole”
    Il problema, come diceva anche qualcun altro (che non trovo più: mi sono immaginata il commento? O_o) è quando la singola parola stona nel contesto o in bocca a un dato personaggio; mentre non c’è problema di sorta se Tizio usa pedissequamente come intercalare (e io conosco uno che lo fa con teoricamente) 😛
    Quanto alle grandi “leggi dello scrivere”, boh, io sono abbastanza di manica larga. Lo show don’t tell mi preme poco, molto di più mi importano gli infodump goffi come elefanti che mi buttano fuori dal libro più o meno come il salto dal tetto dell’ospedale di Novara 😛

    “Mi hanno martellato perché in una mia storia Garibalde combatte i marziani – lo sanno anche i bambini, mi hanno detto, che Garibaldi su Marte non c’è mai stato.”
    Sì, vabbeh, ma questa è demenza completa! Come si fa a rompere le balle per un’idea geniale come questa?! O_o Io son cagacazzi, ma tu hai beccato gente ben strana!

    “Sono tutti intenti a smontare il meccanismo invece di guardare il meccanismo in funzione.”
    Il problema è che se io mi scopro a smontare il meccanismo è solo perché quello stesso meccanismo (per me e chi potenzialmente la pensa come me) non funziona. Più stride e più cerco di aggiustarlo.
    Se scorre silenzioso, mi lascio trasportare e finisco col bruciare il pranzo o star sveglia fino alle 5 del mattino. ^_^

    • 13 anni ago

    @ Lucia
    Ecco, però c’era gente come Stravinskij… e altri. E la loro musica dirompente dove la mettiamo?
    Cioè, se proprio vogliamo dirla tutta. Neanche la musica è soggetta a regole ferree.
    L’importante è il ritmo.

    Ma, quello che voglio dire è che non sono un sostenitore del contrario, ovvero: anarchia bella e buona.
    Sono un moderato, va. Diciamo così.
    Le regole e le analisi fanno bene alla scrittura così come a un film, ma fino a un certo punto, fino a quando non diventano violenza sistematica e caccia alle streghe.

    • 13 anni ago

    “Già so, ad esempio, che Novara è intoccabile. Allora mi rifarò su Firenze o Fiesole.”

    LOL, sto morendo!

    • 13 anni ago

    Io credo che oltre alla consapevolezza (che è una bellissima parola) un altro punto chiave (in un romanzo come un film) è credibilità, che non significa realismo, ma il creare una situazione coerente con il contesto che c’è intorno.
    Prendiamo l’ esempio di Vin Diesel: in Pitch Black è perfettamente credibile, perchè chi ha scritto quella storia ha creato un personaggio coerente, contestualizzato e che ci permette di sospendere l’ incredulità senza problemi.
    E questo concetto di credibilità vale anche per luoghi, espressioni gergali, modi di parlare. E il paragone con la musica è molto interessante. Da musicista non mi sognerei mai di salire sul palco e suonare un qualcosa che non ho studiato e approfondito.
    E il problema è che con la musica le autopsie vengono più semplici, perchè la tecnica è tecnica, non ci sono scappatoie. Con la narrativa è tutto un po’ più ingrarbugliato.

    • 13 anni ago

    Essendo un vecchio romantico, io parto dal presupposto che se mi imbatto in un brutto libro (e mi capita comunque abbastanza di rado, fortunatamente), evito di parlarne.
    Preferisco parlar bene di ciò che merita che non segnalare ciofeche.

    Anche perché ciò che non piace a me può piacere ad altri – anzi, ciò che non mi piace oggi potrebbe piacermi fra dieci anni.

    Detto ciò, quando si recensisce il lavoro di un’altra persona si deve ricordare che è una persona – il suo lavoro può non piacere, può essere zeppo di buchi, ma non è un motivo sufficiente per essere offensivi.
    Soprattutto perché, errori, buchi o brutture, si parte dal presupposto che quella persona abbia lavorato al proprio meglio, mettendo un pezzo di sé nel lavoro.
    (l’alternativa – che sia una truffa, una bieca speculazione, rende l’opera immeritevole di segnalazioni, recensioni o altro)

    Ma resta forte il dubbio che in alcuni casi non sia il lavoro, ma l’autore, ad aver contrariato il recensore.

    Sulle autopsi letterarie abbiamo detto tutto – se per dirti che un libro è orrendo mi servono più di 300 parole, qualcosa non và.

    Davide Mana

      • 13 anni ago

      Inutile che continui a citare Davide, perché più in sintonia non possiamo essere.

      Però trovo giusto ribadire che non c’è nulla di più sacrosanto di esprimere la propria opinione in merito a qualsiasi cosa e, come dice Alice, che troppa accondiscendenza è dannosa.
      La discussione vuole essere un confronto, serve a me per capire cosa aspettarmi.
      Già so, ad esempio, che Novara è intoccabile. Allora mi rifarò su Firenze o Fiesole. 😀

      Scherzi a parte. Vi ringrazio per i vostri interventi, finora. Tutti interessanti e motivati.

      😉

    • 13 anni ago

    Due cose, che mi paiono spettacolari:

    1) Mi hanno martellato perché in una mia storia Garibalde combatte i marziani – lo sanno anche i bambini, mi hanno detto, che Garibaldi su Marte non c’è mai stato.
    E io che pensavo che quella storia dell’eroe dei due mondi… (by Davide)

    2) Io non leggerò un libro pieno di salti sull’ospedale di novara e non mi guarderò i film con vin diesel perché mi sta antipatico. Non mi sembra quel gran problema… (by Alice)

    Concordo in pieno.

    😉

    • 13 anni ago

    No, no, per carità… rispondevo solo alla provocazione dell’integralista .-)

    Comunque, poi mi tolgo di torno, credo che riassumerei il mio punti di vista così: ognuno vive lo scritto e il film in modo così personale che definire come un problema, a priori, un dato particolare è troppo tranciante.
    Semplicemente c’è posto per tutti e credo che la critica sia superflua. Quello che conta è il proprio spirito analitico, in modo di non subire i libri o i film ma viverli come attore protagonista. Insomma, non ripetere a pappagallo che un dato libro è un capolavoro anche se ci ha annoiato a morte e sputare su qualcosa che non si ha letto soltanto perché va’ di moda…
    Io non leggerò un libro pieno di salti sull’ospedale di novara e non mi guarderò i film con vin diesel perché mi sta antipatico. Non mi sembra quel gran problema…

    Certo è che, però, se ho un blog e incappo su un libro del genere… credo sia mi diritto esporre un’opinione. E può capitare che l’opinione non sia lusinghiera. Più la critica è argomentata e più si può comprendere meglio il gusto dell’altro… quello di valutare un libro soppesando ogni singola parola non mi appartiene e mi infastidisce, ma mi infastidisce anche l’eccessiva accondiscendenza (la stessa accondiscendenza che permette l’uscita, in libreria, di ciofecate tutte uguali e di film tutti identici).

    • 13 anni ago

    No, aspetta… mi rendo conto che tutti i miei commenti sono usciti anonimi.
    Sono Davide Mana 😀

    • 13 anni ago

    Oh, mamma!
    Prego tutti i lettori di recuperare gli interventi di Davide Mana. Finiti in moderazione per errore di software!

    😉

    • 13 anni ago

    Sulle aspettative, io resto fedele alla metafora usata da David Brin – è come l’equlizzatore di uno stereo.
    Ho diverse manopole per modulare diversi elementi – il realismo, la coerenza, i personaggi, il “messaggio” eccetera.
    A seconda di ciò che leggo o guardo, regolerò le mie manopole opportunamente.
    È per questo che, per dire, sostengo che Ghosts from Mars di Carpenter sia meglio di Sunshine di Boyle… perché col primo partivo comn le manopole al minimo, e le mie attese sono state soddisfatte, il secondo mi ha fatto settare lto un paio di canali e poi ha disatteso cocentemente le aspettative.

    Bisogna essere coscienti e consapevoli di queste manopole – o voi affrontate con lo stesso atteggiamento un fumetto di Batman e uno di Asterix, un romanzo di Cussler e uno di Iain Banks?

    [e qui mi stoppo, che ti ho già messo troppi post in lista di moderazione 😉 ]

    • 13 anni ago

    Giustissimo!
    Mai propugnato il “me ne frego” come regola principe o come religione.
    Do per caso l’idea del contrario?
    😀

    • 13 anni ago

    “Consapevolezza” è la parola.
    Concordo in pieno.
    Però, però… io una scintilla di consapevolezza la pretendo anche da chi legge.
    Sono uno di quegli insopportabili individui che pretende di avere dei lettori intelligenti – e scrivo (quando ci riesco) per fare in modo che i lettori che affrontano il testo col cervello spento o settato su “automatico” vengano espulsi dal sistema.
    Alcuni si incazzano – è un loro diritto.
    Lo considero il germoglio di una ritrovata consapevolezza.
    Non tollero chi, come qualcuno di recente, mi viene a chiedere conto di una parola o di una frase o chi mi dice (torniamo al contadino pedissequo) che io non conosco il mondo e lui sì.
    Tutti fottutissimi lettori del pensiero, di questi tempi.

    L’impressione è che un sacco di gente legga con un ipotetico manuale sottomano, andando a cercare le contravvenzioni alle regole.
    Il maledetto show-don’t-tell, la piaga biblica dell’infodump, il diabolico he-said-she-said e avanti di questo passo.
    Sono tutti intenti a smontare il meccanismo invece di guardare il meccanismo in funzione.
    Sono tutti in sala per vedere qual’è il trucco, non per godersi lo spettacolo del prestigiatore.

    O, in parole povere, questa gente non sa più divertirsi.
    E vengono a rompere le palle a noi.

    • 13 anni ago

    esempio pratico:
    Doctor Who batte su certe regole dei viaggi del tempo. lo fa ogni tanto, ma in modo chiaro e mette dei paletti. Poi arriva un giorno che uno sceneggiatore diverso (perchè cambiano sempre) se ne frega delle regole e compie scelte che non si possono perdonare (una me del futuro che incontra una me del passato e si toccano, fisicamente, non è concepibile secondo le regole, per fare un esempio).
    Quindi che succede? ha ragione lo sceneggiatore perché non deve ancorarsi alle regole e deve essere libero di creare? Io, spettatrice, mi sento soltanto presa per il culo: non le ho messe io, le regole, ma loro ed ho creato il mio universo con loro, seguendo delle direttive. Se le direttive se ne vanno perché allo sceneggiatore scappa una virgola, direi che non è perdonabile e quell’episodio di Doctor Who, per quanto possa aver alcune idee interessanti, è inutile e fastidioso. ha piegato la realtà per un’esigenza personale, per far funzionare una scena. Ma quella scena non funziona più perché è in contraddizione con tutto il resto.
    Lost ha un sacco di problemi a livello di sceneggiatura, eppure alcune non erano importanti (come faceva il coreano ad essere tornato nell’isola, dopo l’esplosione sulla nave? non lo sapremo mai) ma quando stravolge parecchie parti della storia, cercando di dare una spiegazione che in realtà è una toppa, non sono più problemi che uno può eludere perché lost rimane una figata. L’ultima stagione, insomma, è imperdonabile perché, oltre ad avere espedienti narrativi triti e ritriti, non funziona: né in correlazione col passato né tanto meno con quello presente.

    Non direi di essere integralista, trovo che abbiate ragione entrambi. Ma come non si può fare di una regola una religione, non si può nemmeno portare il Me ne frego come religione opponente, trasformandolo in una regola anch’essa….

    • 13 anni ago

    @ Mettiu
    Sì, ma senza parlare di rabbia.
    QUello che volevo davvero dire è che si può scrivere bene anche sorvolando su certe forme riconosciute come indispensabili.
    Poi non ho fatto nomi, non ho citato libri venduti o regalati da noi altri (e avrei potuto).
    Certe cose, tipo le osservazioni di Marina e ora l’ultima di Alice mi servono per capire perché certi ritengano questi dei dogmi e altri lettori ne fanno a meno.
    Tutto qua.

    Poi, sei libero di non credermi. Ma quest’articolo non nasce da una mia frustrazione. E poi, frustrazione de che?
    Ma da semplice curiosità.
    Poi sui modi, oh, non ci posso fare niente. Però, ecco, se proprio dobbiamo dire le cose come stanno, preferisco avere a che fare con una persona che mi dice “hai sbagliato questo, questo e questo”, piuttosto che “hai sbagliato questo, questo e questo e sei un coglione!”.

    Tutto qua.

    🙂

    • 13 anni ago

    Anche in un film che non considero una tavanata galattica la realtà brutalmente piegata alle necessità di trama mi da fastidio (più brutale la piega, più grande il fastidio, ovviamente).
    Nelle tavanate galattiche mi fa ridere e scuotere la testa con rassegnazione, mica ti aspetti che le leggi della fisica funzionino normalmente in un film di Vin Diesel, no? 🙂
    Ecco, il problema sono di nuovo le (maledette!) aspettative.
    Più alte sono, meno sono accomodante. Da te mi aspetterei molto e in un tuo scritto un edificio nuovo in un’ambientazione nota mi deluderebbe un bel po’. ^_^’ Sorry! ^_^’
    Sulle scene perfette in mente… sì, ho capito il concetto. Se mai mi ci troverò, in una situazione così, credo che mi andrà in conflitto il sistema operativo e impazzirò! =_=’

    • 13 anni ago

    Allora ho a che fare con due integraliste!
    Paura!

    😀

    E chi l’ha mai detto che il romanzo deve avere più concessioni? Però… può averne. In fondo cambiare una frase o un luogo non costa nulla.
    Ma non è in gioco la verosimiglianza, attenzione. E quello dell’ospedale era un esempio estremo.

    😉

    • 13 anni ago

    mah mah mah 🙂

    Ho letto i commenti, non tutti, lo ammetto, e mi sembra che si sia finito per fare il solito casino inutile all’italiana, molto bello anche perché crea i soliti schieramenti, che ne so “Anarchici della Parola contro gli Editor incompetenti”, “Amanti dei contadini dotti contro Recensori senza palle” e altre amenità.

    Okay, quella recensione è stata così. E allora? E okay, gamberetta e il duca e qualcun altro ha un certo stile nel recensire, che può essere eccessivo, sbagliato,… e allora?
    Perché perdere tempo a discutere di queste 2/3 voci (su SsPG credo sia una sola) invece di fare cose più utili?
    Quante recensioni di altro tipo ci sono state? Tutti questi lettori, 70 per SsPG, 300 e passa per GfH perché non prendono l’uso della parola e invece di parlare di cifre o dare pacche sulle spalle all’autore non provano a dire cosa è piaciuto e cosa no, usando la lingua italiana in più di 10 righe?
    Non è obbligatorio ovvio, ma non è nemmeno obbligatorio recensire in certi modi piuttosto che in altri.

    Che ci siano recensione attaccate alla pagliuzza, lo si sa, e allora è necessario fare tutto ‘sto casino per dire che il muro uno lo dipinge come vuole?
    Secondo me, da scrittore, col cazzo che puoi fare quello che vuoi.
    Se da cantante vai sul palco e canti spaccando le note per i cazzi tuoi, TU che hai pagato il biglietto vai dal primo che vende uova marce e le lanci.
    Se a teatro uno recita di schifo, idem.
    Se ti servono un bloody mary fatto con la salsa del 1992 vai a lamentarti.

    Perché quando uno scrittore si ritiene sbagli non glielo si può far notare? Giusto, sono i modi, e quelli erano veramente eccessivi, davano magari poco credito alle cose buone del libro (che, ci sta tutto, per uno possono anche non esserci).
    Ma è stata una persona, nell’angolino di mondo che occupiamo con questo tipo di narrative ce ne saranno quante che recensiscono così?

    E ci starebbe, a parlarne di realtà, cioè del fatto che lo scrittore cambi la realtà per adeguarla ai suoi bisogni. Siamo al punto di prima. Se salgo su un palco e parlo di cose che non esistono, le persone che mi ascoltano vorranno sapere perché. Se lo faccio senza spiegarmi, è giusto che questi si incazzino. Hanno pagato per essere lì, per sentir parlare di un posto che esiste, e viene fuori che questo che parla sta mostrando foto di un altro luogo e parlando a vanvera.

    Questo è un dettaglio che, ripeto, nelle giuste proporzioni, spesso manca.
    La consapevolezza.
    Se lo scrittore sa cos’è lo show don’t tell, se ha capito come funziona (studiando, leggendo, ascoltando,…) lo potrà usare, non usare, usare come vuole, con consapevolezza.
    Se scrive a cazzo perché “tanto scrivo come voglio io”, perché “le regole sono fatte per essere infrante”, e le regole non le sa, beh allora si sta facendo una bella pippa nella sua cameretta.

    Tutto questo per dire che il polemicare su cose piccolissime, a me sembra eccessivo e molto “vomitativo”, figlio di quella rabbia che tutti ci pervade e dobbiamo trovare assolutamente contro chi sfogarla.

    • 13 anni ago

    Però è vero che nei film sono pignola. Mi avvicino molto al modo di pensare di zeros83, in quel campo. Voglio credibilità, sempre e comunque, e coerenza narrativa. Perchè la storia è anche questa roba qui, no?
    In effetti, l’azione non può piegare completamente un’ambientazione. Credo che pure io non sarei molto convinta, leggendo del salto sull’ospedale di Novara. Non bisogna rinunciare alla sequenza, soltanto renderla più fluida (altrimenti non è nemmeno un’azione, sono solo parole a caso) di modo che io – lettrice – non perda interesse perché Questa roba qui non è mica credibile.
    Ho troncato film per roba simile: dialoghi tirati via,piccoli buchi nella trama e via dicendo. Se non si sa come risolvere delle situazioni, non ci si può tirare sopra una riga e sperare che nessuno se ne accorga…
    Perché il romanzo dovrebbe avere più concessioni?

    • 13 anni ago

    @ Marina
    Però, vedi…
    È una cosa che nei film viene fatta di continuo… 😛

    Si creano i set apposta. E che dire di Darione Argento che quando ancora sapeva fare il regista (Profondo Rosso) ha creato la città facendo un mix tra Roma e Torino (se non erro)?

    Posso dire che a volte una scena riesce talmente bene che è un peccato rimaneggiarla solo perché il mondo reale si mette di traverso…
    Non so se mi sono spiegato.

    Poi sei un’amica anche tu, lo sai. 🙂

    • 13 anni ago

    Riguardo all’aderenza alla realtà, come per tutto il resto, quoto il padrone di casa.

    Il punto non è perché sì.
    Al limite è perché mi serve.
    Di fatto, il più delle volte, ed è duro ammetterlo perché non ha alcna importanza.

    Ma c’è una cosa, in tutto l’ambaradàn, che continua a lasciarmi abbastanza perplesso.
    Due, anzi.

    Da una parte, ho l’impressione che sempre più persone fatichino a distinguere la fiction dalla non-fiction.
    Mi hanno martellato perché in una mia storia Garibalde combatte i marziani – lo sanno anche i bambini, mi hanno detto, che Garibaldi su Marte non c’è mai stato.
    E io che pensavo che quella storia dell’eroe dei due mondi…

    dall’altra, c’è questa starna impressione che chi lege legga una parola alla volta, isolando e soppesando ciascun vocabolo.
    Per cuii inciampa su “pedissequamente” e su una parola danna una storia di 70.000 parole.

    Entrambi gli atteggiamenti sono idioti idioti idioti, ma mi suggeriscono una possibile causa del problema, un’origine per questa marea di lettori ipercritici e obnubilati che, a giudicare per lo meno dai loro blog, da almeno un lustro non hanno più letto un libro che gli sia piaciuto davvero.

    la mia teoria è: da una parte, si va perdendo una capacità critica di adattamento alla narrazione, e dall’altra si sviluppa una ipercriticità per cui la narrazione diviene un fattore secondario.
    È come se il cervello di molti lettori fosse bloccato su una ase di analisi testuale che non ha nulla a che vedere con la lettura.
    E mi preoccupa.

    • 13 anni ago

    Sinceramente?
    Ma sinceramente sinceramente sinceramente?
    Con tutto il bene che ti voglio se leggessi (in un romanzo realistico/futuristico, con tante stellette di presunto realismo) che, dal tetto dell’Ospedale Maggiore, Bubi si lancia su quello di un edificio vicino… sì, credo che ti crocifiggerei, dopo un “Cosa?!” urlato con sette variazioni di tonalità ^_^’
    [Se Bubi volesse fare un salto da un tetto dell’ospedale di Novara… beh, o ha le gambe molto potenti, o scende dalla parte dell’obitorio e di pezzo in pezzo arriva in strada, oppure l’autore è costretto a modificare quella sezione del centro di Novara. Spiacente, ma la ridente (nebbiosa, afosa, sonnolenta) Novara non si presta molto a certo tipo di azioni adrenaliniche :)]
    Però ti vorrei sempre bene, se ti può consolare 😛

    Se viceversa mi dicessi “ehi, questo romanzo si ispira solo a spanne a luoghi reali, di cui usa nomi, qualche caratteristica e null’altro”, non ti crocifiggerei.
    Sono intransigente e incasinata, lo so, è parte integrante di essere una cagacazzi immensa. Mai detto di essere una bella persona U_U

    Stupidaggini a parte: ok, è un fatto positivo che per te il cambimento non sia una scorciatoia. Però mi viene da chiedermi lo stesso: ma perché una deve piegare l’ambientazione alla propria storia e non la storia all’ambientazione? Lo trovo… boh… strano, soprattutto prendendo come ambientazione un luogo reale: a che scopo ambientare un romanzo cyberpunk a Po di Gnocca se poi devi stravolgere la cittadina per adattarla alla trama che ti sei scritto preventivamente in testa? 😛

    • 13 anni ago

    Ma perchè c’è un manuale con delle regole per scrivere un romanzo? Oddio, non lo sapevo, mi era sfuggito, mannaggia la miseria, che se me lo avessero detto adesso ero in cima alle classifiche di tutto l’ universo.
    Corbellerie a parte, l’ unica cosa che mi lascia perplessa in questo articolo che condivido quasi in toto, è il discorso sul modo di esprimersi dei personaggi. Un contadino che dice “pedissequo” può starci tranquillamente, come un professore universitario che utilizza il turpiloquio, cosa a cui siamo molto più abituati, perchè di si tratta di una scelta ben precisa. Però il contadino che dice “pedissequo” me lo devi giustificare in qualche modo, non per un’ aderenza assoluta alla realtà, ma perchè quello che si racconta, a mio modestissimo parere, deve essere non vero, ma credibile.
    Ecco, per il resto mettersi a sezionare riga per riga un’ opera con l’ intento di capire se rispetta delle regole prefissate non mi sembra il modo migliore per trascorrere le mie giornate. Anzi, lo trovo piuttosto sterile.
    Però poi ci sarebbe da capire anche cosa intende ognuno di noi per critica o analisi di un qualsiasi testo.
    Ecco, questo sarebbe piuttosto divertente.

      • 13 anni ago

      Ma nessuno nega che debba essere giustificato, il contadino pedissequo (che prima o poi trasformerò in tag, sicuro). Però, da scrittore, posso giustificarlo subito, o essermelo lasciato scappare, perché no?
      Ma da questo a essere lapidato ce ne corre. Quelle sono sviste che possono sfuggire anche in caso di editing.

      A mio avviso, poi magari sbaglio, c’è una netta sproporzione tra valutazione dei punti di forza e dei punti deboli di un testo.

    • 13 anni ago

    Ecco, però per esempio, il cambiamento della “tua” Novara è una cosa che ha colpito te e, forse, altri che abitano lì.
    Io non me ne sono accorto, perché lì non ci sono mai stato.

    Questo è il punto. Cioè, in teoria tu sei una minoranza etnica. ahahahahah 😀
    A me Novara è piaciuta come l’ho letta. Ecco quello che intendo. Sono sottigliezze che appartengono solo a una certa logica microscopica.

    Scherzi a parte, il cambiamento io non lo ritengo un metodo per sfuggire alle difficoltà, una scappatoia. Non è questo che intendevo. Però se ho necessità di cambiare dei dettagli, lo devo poter fare. Esempio stupido:

    mi invento una fuga. Due personaggi si inseguono sui tetti.
    Un tizio salta dal tetto dell’ospedale di Novara su quello del palazzo di fianco.

    Ora, non ho idea se nella realtà c’è un altro palazzo a fianco all’ospedale, né quanto sia vicino.
    Ma… non voglio rinunciare alla scena del salto.
    E allora, magicamente, io il palazzo lo faccio comparire, abbastanza vicino perché il tizio che ci sta per saltare sopra non si sfracelli.

    Da scrittore devo essere crocifisso perché ho scritto di un palazzo inesistente?
    Sinceramente.

    🙂

    • 13 anni ago

    Premessa: come già ampiamente dimostrato, sono una scassaballe che si attacca alle piccolezze. Punto.

    Nomi: fanno tanto nel creare il personaggio, impossibile negarlo. Bubi e Genoveffa avrebbero avuto molto meno appeal di Hell e Zooey e Erica. 🙂 [Che poi, poveri Bubi e Genoveffa! Così bistrattati! Per rimediare bisognerebbe scrivere una storia con protagonista un tostissimo e tamarrissimo Bubi, con la sua amata e bellissima Genoveffa. Ma un’altra volta :P]

    Parole: il problema sono le aspettative, credo. Di fronte a un indizio (sia anche solo un nome), uno si crea aspettative. Come con Bubi 😉 Se mi dici “operaio metalmeccanico”, il mio primo pensiero non sarà “laurea in filosofia, corso di sommelier ogni venerdì sera, scrive poesie nel tempo libero”, ma “birra con gli amici davanti alla partita di calcio, abilità manuale medio-alta, ama la Gazzetta dello Sport”. Aspettative. A volte ti fottono perché ti fai viaggi mentali con due parole, anche se il tuo ex è un ex-operaio laureato in storia che ora insegna alle superiori.
    Concordo sul fatto che personaggi diversi debbano avere voci diverse; anche se non mi aspetto chissà che, mi accontento di un minimo di differenza.

    Stile: ognuno ha il suo, e grazie al cielo! 🙂

    Pareti: ecco, qui sono in disaccordo. Ok, cambiare la realtà deve essere un diritto dello scrittore, ma io lo vedo come un diritto che ha bisogno di paletti.
    Se l’ambientazione è realistica/distopica/futuristica, mi aspetto che i cambiamenti abbiano un motivo diverso da “perché sì”: o è un “divertissement” (che so, il politico tal dei tali che non più al governo perché morto in maniera ridicola e diffamante) o che sia una pistola di Checov (dirmi a pag. 10 che il politico tal dei tali non è al governo, per scoprire a pag. 150 che in realtà governa manovrando un suo leccapiedi attraverso un impianto intracerebrale) o che aiuti a comunicare in cosa quel mondo è diverso dal mio (il politico non è al governo perché è morto durante l’attentato al Senato in seguito al quale l’Italia è diventata una dittatura pastafariana). Che la realtà cambi solo per far comodo all’autore non mi piace, soprattutto quando il resto del libro è di notevole documentazione o qualcuno mi ha elogiato l’accuratezza della ricostruzione. (Se un libro è una sequela di castronerie ma si spaccia per realistico, il colore delle pareti è l’ultima cosa che mi fa incazzare o che noto, sia chiaro!).
    Non è un mio principio inamovibile, alcune cose le riesco a perdonare. Però più conosco una cosa e più le variazioni senza senso mi colpiscono. Nel caso di SsdPG c’era “casa mia ” stravolta al punto che non riuscivo a seguire gli avvenimenti: buttata fuori dalla lettura, senso of wonder decapitato. Forse sono io che sono costruita sbagliata… Però io a queste “piccolezze” non riesco a non attaccarmici.

    So che è una domanda stupida, però me la sto ponendo in varie forme in questi giorni: dov’è il punto di discrimine dell’accettabilità tra cambiare il colore di un palazzo e trasformare l’Empire State Building in un edificio di 15 piani “perché mi faceva comodo”?
    Seghe mentali, lo so…

    • 13 anni ago

    A me sembra un po’ una perversione, ridurre un’opera a questo. Ed utilizzo la parola perversione nel peggior accezione possibile…

    Le parole a me danno fastidio. Ho troncato libri per molto meno ma non ne facci una critica assoluta: a me non piace, non lo leggo, con buona pace di critici ed appassionati. Ma non perché il contadino usa il termine pedissequo. Magari proprio perché c’è la parola pedissequo e non mi suona spontaneo, nel punto in cui viene inserita.

    Poi, per me, il museo di torino può anche avere i mattoni di zucchero, per quel che mi riguarda. La fedeltà nella realtà non mi sembra un valore di per sé.

    • 13 anni ago

    Questa frase: “è esserne il padrone assoluto, slegato da amicizie e inciuci di sorta con chiunque, e poterne così decidere i ritmi e gli argomenti, senza alcun timore di ritorsioni (…)”
    è imporantissima.
    Me ne rendo conto sempre di più (mai abbastanza) e sono prossimo a tagliare ogni collaborazione estranea a quelle nate spontaneamente tra noi blogger.
    Anzi, tra noi amici.
    L’unica cosa che conta. Il curriculum – ossia poter scrivere “collabora col prestigioso sito cazzi&mazzi”, mi interessa sempre meno.
    E ne sono felice!

      • 13 anni ago

      Sì, la libertà è la cosa più importante. 🙂
      E gli amici.

      Che pare assurdo dirlo, oggi. E invece non è assurdo. È vero, reale. Ce l’abbiamo sotto gli occhi.

      😉

    • 13 anni ago

    Vedi, sta tutto nel nome: regola o consuetudine?
    Io preferisco chiamarla consuetudine. Che si radicalizza o meno con l’uso che se ne fa.
    Ma è una questione sulla quale non si ragiona. Non c’è verso.

    Boh, io un atteggiamento meno ferreo, te ne sarai accorta.

    Vabbé, ma non deragliamo dal discorso fondamentale. La domanda è:

    te la sentiresti di stroncare un’opera se, ad esempio, la facciata del Museo di Torino è diversa rispetto a quella reale?
    O se il contadino usa il termine “pedissequo” che, da persona teoricamente ignorante non potrebbe utilizzare?

    È giusto ridurre un’opera a questo?
    Ecco la vera domanda.

    • 13 anni ago

    Non sapevo andassero di “moda”. Nel blog dove sono capitata io spiegava che lo show don’t tell non è una moda passeggera ma una regola esistente dal 1800 (o pure prima, non ricordo). Ma io giro pochissimi blog (ed ecco perché sono sempre qui) quindi non ho molto chiaro cosa sia in voga o meno…

    La questione è che, per esempio, Dickens è uno dei miei scrittori preferiti. E lo è anche Bukowski e Vonnegut. Sono tutti differenti. Seguendo quelle regole, non verrebbe meno lo stile, di cui parli anche tu? E Dickens molto spesso racconta. non mostra. Quindi è uno scrittore da quattro soldi? Quindi il suo David Copperfield, se avesse avuto gli strumenti intellettuali attuali, sarebbe venuto meglio? Permettimi di dubitarne.

    Non saprei, mi dà sempre fastidio l’etichetta e l’accanimento con le regole. Ma in qualsiasi ambito.

    • 13 anni ago

    @ Gianluca
    Sì, perché l’impressione che se ne ricava è che si bada, leggendo, più ai quei dettagli infimi che al risultato finale.
    E questo è inconcepibile.
    Poi magari l’opera viene apprezzata lo stesso, ma questa cosa è scritta in piccolo, come se ci si dovesse persino vergognare di averla trovata gradevole “nonostante i difetti macroscopici”.

    • 13 anni ago

    Anch’io scrivo (o scrivevo, visto che la narrativa non mi appartiene molto, in questo periodo) ed anch’io credo nella spontaneità e nel suono (anche se ora il mio blog sembra scritto in modo altezzoso… ma è una fase nuova, sto riappropriandomi di tutto un modo di scrivere che avevo sempre snobbato). Tutta quella roba dello show don’t tell, in effetti, è una regola un po’ del cazzo. Interessante, ma essendo la scrittura e tutte le branche della creazione qualcosa di umanissimo e personale, ridurre un libro in una sequela di regole… è limitante e sciocco.
    Tra l’altro, non è detto che chi mostra e non racconta a me piaccia, tanto per dirne una. E chi se ne frega se, per chi ne capisce tanto, io sono una che di narrativa non “capisce un cazzo”. D’altra parte non capisco un cazzo nemmeno di musica nè di cinema. VOglio solo divertirmi, quando ho a che fare con tutto questo mondo meraviglioso. A volte il divertimento ha bisogno di sparatorie, altre di un film di Bergman che mi faccia imparanoiare. Dipende dal periodo.

    mmm ma arriva direttamente dal blog dei gamberi, tutta questa roba? Io ci sono capitata per caso ultimamente… all’inizio mi è sembrato un posto interessante (l’ho anche linkato) e poi mi sono stancata di leggere di storie come fossero operazioni algebriche…

      • 13 anni ago

      No, diciamo che sono “regole” letterarie che vanno adesso. Come sempre c’è chi le segue e difende a spada tratta, chi se ne fotte, chi le guarda e le prende per quel che sono, consigli utili fino a un certo punto.

      Ripeto, qua non voglio fare polemica. Solo dire la mia su una questione, la scrittura, che non so perché non manca mai di attirare troll e flamer.

      Quindi questa discussione non è riferita a nessuno in particolare, ma un po’ a tutto l’ambiente estremista che gira in rete.
      Io la penso così. Tutto qua.

      E ti quoto sul concetto di “divertimento”. A volte si sente il bisogno di un b-movie, a volte di una commedia stupida degli anni ’80, a volte di Kubrick. È sempre cinema, questo è bene dirlo.

      😉

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