Catalogato come horror, ma io in questa opera della coppia di scrittori sudafricani Sarah Lotz e Louis Greenberg, in arte S.L. Grey, ci leggo molto di più.
Satira del quotidiano, se mi passate questa espressione.
Uno sguardo sì d’orrore, verso la nostra epoca ebbra di nulla, incarnata nel Centro Commerciale.
Protagonisti della storia un duo, Dan e Rhoda, i punti di vista dei quali si alternano capitolo dopo capitolo.
Luogo: Johannesburg, detta anche Joburg, Sudafrica. Lui è un ragazzo bianco di famiglia ricchissima, timido, annoiato, il prototipo del nerd sfigato, senza spina dorsale. Lei, Rhoda, nera e sfigurata, che della vita ne ha vista tante e soprattutto dalla vita ne ha prese tantissime.
Si ritrovano al centro commerciale per ragioni diverse: lei per comprare droga mentre fa babysitting, lui perché perde il suo tempo a lavorare in una libreria.
Sotto gli occhi delle guardie di sicurezza grasse e bovine, delle commesse snelle e impeccabili, che giudicano tutti i clienti a seconda della pettinatura e degli abiti che indossano, l’aver smarrito il bambino di cui si stava occupando e il non essere proprio perfettamente padrona di sé, spinge Rhoda a sequestrare Dan nel tentativo di introdursi negli immensi e incompleti sotterranei del Centro Commerciale, lì dove si suppone che il bambino sia sgattaiolato.
Ma i sotterranei, com’è facile intuire, non sono ciò che sembrano.
Sono caverne delle meraviglie, luoghi d’angoscia, umidi e sporchi, che forse celano segreti e creature innominabili, posti dei quali il mondo di sopra s’è dimenticato.
C’è una porta per un’altra realtà in cui i valori sono ribaltati.
Le amputazioni, le deformità fisiche e in genere tutto ciò che noi deploriamo sono esaltate come valori indiscussi. La gente adora il dolore e l’orrore, in una dimensione dove i compratori non sono considerati pecore del gregge, ma vere e proprie star.
Una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie in versione allucinogena.
I viaggio degli “eroi” in un mondo sotterraneo e meraviglioso, pieno di prodigi, che però non è solo tale, cioè mero viaggio. Come dicevo all’inizio, ciò che colpisce è la lente deformante che sottende all’intera opera.
I punti di vista dei personaggi, che tra l’altro, si alternano in maniera efficace, soccombono al totale ribaltamento delle percezione che essi vivono. Ed evolvono, coerentemente con l’evoluzione della storia.
Cura estrema, quindi , nel tratteggio di personaggi difficili, vinti ognuno per le sue ragioni, che però riusciamo ad amare, pagina dopo pagina.
E poi c’è quell’operazione che sembra così facile ma non lo è, criticare la follia e la distorsione dei valori sociali attraverso l’esaltazione del loro ribaltamento.
Impossibile non vedere, nella celebrazione della bruttezza fisica e della deformità, la nostra ossessione per la perfezione fisica.
Come sempre accade, un punto di vista altro aiuta a guardare meglio noi stessi.
Ma non è solo questo: Il Manichino (titolo originale The Mall) è stile potente, che indulge in dettagli sudici e raccapriccianti, che richiama le atmosfere classiche dell’horror sovrannaturale, delle intelligenze aliene che comunicano tramite cellulari, delle dimensioni parallele.
E, alla fine, il confronto tra il vecchio mondo e il nuovo diventa impietoso, perché c’è il caso che chi abbia avuto la fortuna di vedere le cose con occhi diversi, si renda conto della pochezza della realtà in cui vive…
Nient’altro da aggiungere, se non che vi consiglio caldamente di leggere Il Manichino. Non ve ne pentirete.
Link utili:
Sito di S.L. Grey
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