Cito Chiodi Rossi di Robert E. Howard, ma in realtà dovrei riferirmi a l’Ombra che Scivola dello stesso autore, che risale al 1933, ben tre anni prima rispetto all’altro racconto.
Chiodi Rossi è un titolo magnifico, evocativo, ancor di più quando si svela l’origine dello stesso: chiodi conficcati su una colonna, che rappresentano i nemici abbattuti.
Un chiodo, un nemico.
Howard gettava le basi di un archetipo narrativo che è tra i miei preferiti.
Quello del microcosmo.
Una civiltà morente che, per qualche ragione, si è segregata dal resto del mondo (che quest’ultimo continui a esistere o meno non importa), trincerandosi in uno spazio ristretto, limitato, che è divenuto, per i superstiti, l’intero universo.
Il mondo, nel caso di Chiodi Rossi, finisce dove sorgono le mura e i pesanti portoni della città. Gli abitanti si sono barricati all’interno di essa per sfuggire a orribili creature e, col passare delle generazioni e del crescere della superstizione, hanno abbandonato qualunque velleità esplorativa e imparato ad accettare il loro nuovo, piccolo mondo.
Con rassegnazione e paura.
Risultato:
poche persone, piccoli gruppi, scarso ricambio genetico, follia e superstizioni dilaganti.
Un quadro distopico ammaliante.
Senza alcun dubbio tra i miei scenari preferiti. Anche se personalmente non l’ho mai preso in considerazione per un racconto…
O forse sì?
Da un punto di vista squisitamente narrativo, è un tentativo, o un esperimento, che tutti dovrebbero provare.
L’idea è stabilire un’ambientazione ristretta, un palazzo fortificato, un treno che gira costantemente intorno al mondo, un’astronave alla deriva nello spazio.
Stabilire le cause che hanno portato alla chiusura dal mondo esterno.
Contare il numero dei superstiti.
Scegliere con cura il sistema sociale, le leggi, le paure che caratterizzano questa società ristretta.
Introdurre una variante che porterà al caos.
Sembra facile, vero?
Sappiamo che non lo è.
Dal punto di vista howardiano, l’idea era sempre la stessa: scatenare l’alter-ego dell’autore.
Infatti Conan, e la sua occasionale compagna d’avventura, Valeria, penetrano all’interno della città per le stesse ragioni che hanno spinto, generazioni prima, gli abitanti della stessa a rifugiarvisi: i mostri.
O meglio ancora, la spinta vitale verso la sopravvivenza.
La città, quindi, è un luogo di follia, soprattutto agli occhi di un esterno che decida di entrarvi. Conan è l’elemento dirompente.
È colui che, con la sua sola presenza, annienta il sistema di credenze e superstizioni alla base di questa popolazione, suddivisa in due fazioni, che ormai è priva della lucidità necessaria per abbandonare questa forma mentis limitata.
Prima ho citato treno e astronave, non a caso.
Il treno è il piccolo set scelto per un film recente: Snowpiercer.
Dove gli ultimi superstiti della specie umana girano intorno al globo, su un treno in perpetuo movimento, dove ogni vagone rappresenta, rigidamente, una classe sociale e un ruolo fondamentale nell’organismo-treno.
Qui è radicalizzato ancora di più il senso di isolamento e simbiosi tra gli abitanti e il luogo che essi occupano.
Ché se Xuchotl, la città isolata di Chiodi Rossi, è un enorme sepolcro, pietra tombale su un’intera nazione civile, e quindi corrotta nell’idea di Howard, la cui esistenza non è messa in discussione, che sia abitata o meno (perché Xuchotl continuerebbe a esistere, come rovine, pur senza nessuno ad abitare i suoi corridoi bui), in Snowpiercer, il treno è “organismo” che, esattamente come i suoi occupanti, necessita continua manutenzione e alimentazione, pena la morte assoluta.
Il treno è la vita, è un acquario che ospita non solo persone, ma giardini, specie vegetali e animali, è una moderna Arca di Noè, è esso stesso “creatura vivente”.
Nel caso di Snowpiercer, la causa scatenante il caos e il cambiamento è duplice:
da un lato la pulsione umana che spinge a ribellarsi contro un regime immutabile. Quindi un desiderio di progressione sociale.
Dall’altra lo svelarsi di un segreto che, forse, metterebbe in discussione l’ordine costituito, e porterebbe all’annientamento: fuori, il clima, non è più mortale come sembra. Forse non c’è più ragione di restare a bordo, dopotutto, e di conservare questi schemi sociali.
L’astronave, invece, è quella di Pandorum. Un’altra, enorme arca, dove qualche migliaio di esseri umani, tutti ibernati tranne una manciata, aspettano di terminare il viaggio che li condurrà verso un nuovo pianeta abitabile, per insediarsi e colonizzarlo.
Durante il viaggio si apprende che il pianeta natale, la Terra, è andato distrutto per qualche tipo di cataclisma. Così l’astronave diventa, di fatto, l’unico mondo abitabile per una ristretta cerchia di superstiti che, nel corso degli anni, complici una serie di eventi ambigui, stabilisce, a dispetto delle origini terrestri, una nuova società, basata su equilibri molto precari, violenta e selvaggia.
Secondo un evoluzione dell’indole umana che, a sua volta, deriva un discorso sulla umana natura che riecheggia William Golding.
Anche Pandorum contiene un duplice elemento di distruzione:
– la presa di coscienza, da parte di uno dei superstiti, che il viaggio sia stato manipolato da qualcuno, che ha eletto la nave a proprio dominio privato, in barba alla missione
– il conto alla rovescia innestato dal decadimento del reattore nucleare nel motore dell’astronave, che distruggerà tutto.
Li considero, tutti e tre, ottimi esponenti del loro genere.
Con una differenza sostanziale, che è andata caratterizzandosi nel corso dei decenni. I Chiodi Rossi di Howard sono incidentali, aleatori, sono il residuo di una razza morente di cui, a parte il fascino folkloristico che tali tradizioni derivanti dall’isolamento evocano, nessuno si cura, tantomeno Conan, che in fin dei conti opera in senso distruttivo, favorendo la fine ineluttabile, rimandata troppo a lungo, di questa civiltà.
I moderni chiodi rossi sono figli della distopia, non coinvolgono specie dimenticate, ma la nostra, in un futuro decadente e corrotto, dove la sopravvivenza dell’intera stirpe è a rischio.
E sebbene alla fine si propenda per lasciare una speranza di rinascita futura, lo stremo assoluto a cui si è giunti tramite il necessario cambiamento ha posto una seria ipoteca sulla sopravvivenza. I chiodi rossi moderni sono il nostro canto del cigno, una lunga discesa agli inferi, favorita da coloro che operano in opposizione a quello stesso microcosmo.