La Stanza Bianca

Il futurismo di Blade Runner è il nostro futuro

Qualche anno fa si parlò tanto di una lettera autografa di Philip K. Dick, indirizzata a Jeff Walker (della Ladd Company), in merito al lavoro di Ridley Scott, a Blade Runner.
È importante per capire.
Ho letto delle pecore elettriche, e ho visto tutte le versioni (i vari “cut”) coi quali Blade Runner è stato rieditato e adattato nel corso degli anni.
Preferisco il Director’s Cut, quello senza spiegoni, senza finale ecologico, che si prende i suoi silenzi e non ti spiega nulla. Perché come si fa a spiegare l’esistenza a chi quella stessa esistenza la determina attraverso ogni singola azione che compie?

Caro Jeff,

Stasera mi sono imbattuto su Channel 7 nel programma “Hooray For Hollywood” con il pezzo su “Blade Runner”. (Be’, a essere sinceri, non ci sono capitato per caso; mi avevano avvertito che si sarebbe parlato di “Blade Runner”, perché non me lo perdessi.) Jeff, dopo averlo visto – e soprattutto dopo aver sentito Harrison Ford parlare del film – sono giunto alla conclusione che non si tratta veramente di fantascienza; non è fantastico; è esattamente quello che Harrison ha detto: futurismo. L’impatto di “Blade Runner” sarà semplicemente travolgente, sia sul pubblico che sugli autori… e, credo, sull’intero settore della fantascienza. Da quando ho iniziato a scrivere e vendere fantascienza trent’anni fa, questa è stata l’unica questione di qualche rilevanza per me. In tutta onestà, devo dire che negli ultimi anni il nostro campo è andato gradualmente e inesorabilmente deteriorandosi. Niente di ciò che abbiamo fatto finora, singolarmente o collettivamente, può rivaleggiare con “Blade Runner”. Non è escapismo; è iperrealismo, così crudo, particolareggiato, autentico e dannatamente convincente che dopo aver visto la sequenza non ho potuto fare a meno di trovare in confronto sbiadita la mia “realtà” quotidiana. Quello che voglio dire è che tutti voi insieme potreste aver creato una nuova forma, unica nel suo genere, di espressione artistica, qualcosa di mai visto prima. E penso che “Blade Runner” sia destinato a rivoluzionare le nostre nozioni su cosa sia e “possa” rappresentare la fantascienza.

Fammi ricapitolare così. La fantascienza è lentamente ma ineluttabilmente scivolata in una morte monotona: è diventata fragile, derivativa, stantia. All’improvviso arrivate voi, alcuni dei più grandi talenti in attività, e abbiamo infine un ritorno alla vita, un nuovo inizio. Per quanto riguarda il mio ruolo nel progetto di “Blade Runner”, posso solo dire che non pensavo che un mio lavoro o una mia manciata di idee potessero essere sviluppate fino a dimensioni tanto sbalorditive. La mia vita e il mio lavoro creativo sono giustificati e compiuti da “Blade Runner”. Grazie… e sarà un grande successo. Si dimostrerà imbattibile.

Cordialmente,

Philip K. Dick

(clicca per ingrandire)

Come Dick, ho sempre trovato Blade Runner opera che trascende il genere. È futurismo, è iperrealismo. È il possibile. È un futuro che arriverà, con tutto il carico d’eredità che noi stessi avremo lasciato.

Sovrappopolazione, scarsità di risorse, ecosistema collassato, estinzioni di massa, intelligenza artificiale che supplisca laddove l’empatia umana ha fallito, o fallirà: prestare ascolto ai propri simili. Amarli, sostenerli.
Da anni porto avanti una mia idea personale, che poi ho tradotto in lavori di narrativa: non c’è alcuna differenza tra l’autocoscienza umana e quella di una macchina, se non nel materiale organico che la ospita. Carbonio o silicio, l’intelligenza è anima.
Anima demistificata, senza fronzoli, senza magia.
E l’anima è, forse, l’autocoscienza. Quella capacità di determinare noi stessi e il nostro futuro, in quanto singoli e in quanto specie.

Non c’è da discutere molto, su questo. O da filosofeggiare. I risultati del nostro esistere sono sotto i nostri occhi. Siamo alla soglia del 2020 reale, il mondo è un pochino migliore rispetto alla visione di Blade Runner, probabilmente nel 2049 sarà migliore anche della visione del suo ritorno, firmato Denis Villeneuve. Ma, se non nella data precisa, il futuro è lì che ci aspetta, e noi l’abbiamo già tracciato coi solchi – conseguenze – della nostra civilizzazione.

Blade Runner 2049 è futurismo anch’esso, sul solco lasciato dal predecessore.
Non so di cosa si discuta online, circa questa nuova incarnazione cinematografica, né sinceramente m’interessa, perché io non considero quella del 2049 solo una pellicola, la considero un prolungamento di quello stesso futurismo intravisto da Dick.
Un discorso su quella medesima manciata di idee che, come non potrebbe essere altrimenti trattandosi di un Autore, Dick stesso aveva ipotizzato e accennato.
Siamo alle solite, non si discute cominciando a priori con un saggio o con una critica ragionata, o con un discorso accademico degno di una lectio magistralis (così, in verità, ci si spara le pose), si discute, come dall’alba dei tempi, parlando solo e soltanto di storie.
Si narra una storia, perché l’affabulazione è nostra caratteristica precipua, è il modo in cui la nostra specie si tramanda la conoscenza, avendo rinunciato a farsi consigliare, esclusivamente, dall’istinto.

E se, oggi, certe sfumature, certe parole – amore, figli, eredità – suscitano sdegno, sospetto per un inconfessato cinismo segno di tempi poco felici e aridi che personalmente trovo deprecabile, non bisogna, ascoltando l’urlo belluino della maggioranza, rinunciare a parlare, a raccontare storie, a discutere di ciò che ci rende unici in quanto specie: l’autocoscienza e la capacità di determinarci, noi singoli e noi in quanto specie.
Oltre a quel duplice dono che è nel nostro DNA, come l’infravisione, per alcuni animali, o le ali: la sopravvivenza e la insaziabile curiosità.

Io credo che un futuro che non rinneghi la scienza e il progresso in nome dell’ignoranza selvaggia e aberrante, non comporti automaticamente un ateismo imperante che neghi qualunque ragionamento sull’anima. Credo che, anzi, attualizzi la “scienza” filosofica annullandone la componente empirica. O magica, se preferite.

In questo senso, il discorso sull’autocoscienza/autodeterminazione degli androidi in Blade Runner contribuisce alla demistificazione. Dovremo, necessariamente, attualizzarci. Dio non è un vecchio barbuto che ci spia da una nuvola sulla quale adora oziare, probabilmente Dio è nella genetica, nel DNA, nella facoltà di cui un mucchio di cellule dispone di scegliere il proprio destino.
Un figlio non è speranza astratta, simbolo di amore romantico, ma sopravvivenza della specie. Ed è l’unica cosa che conta. Ed è quella sopravvivenza che amiamo, è scorgere nella nostra eredità genetica noi stessi, la nostra memoria fisica, l’immortalità del nostro DNA.

2049 non so cosa sia, non mi interessa, ribadisco, esprimere giudizi o sentirne di altri, so solo che quella manciata di idee che si compiace di trattare dal 1982 sono tra le idee più importanti di cui dovremmo pregiarci di discutere.

Sono futurismo. Più prosaicamente, sono la nostra eredità.
Che sì, potrà coincidere con un ecosistema collassato, oppure no, o certamente con una sovversione naturale dei valori cosiddetti “umani” (anche se i nuovi che soppianteranno i vecchi saranno sempre e solo umani, perché nostri), ma che sarà sempre e comunque noi.

Solo e soltanto noi stessi, demistificati, illuminati dalla ragione, finalmente coscienti della nostra importanza che coincide con la nostra stessa esistenza.

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