Nella tensione erotica che caratterizza il femminino, nelle tavole di Javier Gonzalez Pacheco, è presente una spinta trascendente, verso il mistero e quindi verso il divino.
Il risultato è uno stile che riecheggia i maestri dell’espressionismo, pur utilizzando al meglio gli strumenti attuali.
Pacheco è di Barcellona, e pare in effetti privilegiare il lato emotivo della realtà, composto sia di materialismo corruttibile che di astrattismo; quest’ultimo, sottendendo continuamente la materia, la trasfigura, rendendola unica.
La simbologia di questi lavori digitali è più che evidente: possiamo notare occhi e pesci(cani), simboli del divino; la donna e la mela, simbolo della Creazione (anche se in questo caso la mela sembra avere effetti letali, se non sul presente, in proiezione verso il futuro) e gli alieni, che sembrano più e più volte associati come la vera fonte della trascendenza terrestre.
La singolarità è la totale assenza della figura maschile, di cui non si sente la mancanza. Scelta estetica in luogo di una sessualità tutta orientata verso quel femminino, oppure verso l’asessualità che appartiene alle creature di là del cielo e che, secondo alcune teorie dovrebbe essere meta ultima dell’evoluzione umana; questa deduzione darebbe subito corpo all’ipotesi espressionista, che parte dall’immanenza per poi trasfigurarla.
Anche se, questa trascendenza non appare pura e diretta, ma come sempre, dall’epoca dell’Annunciazione, sembra volontà di esseri altri e/o deus ex-machina.
Le protagoniste delle tavole di Pacheco in effetti trovano il passaggio grazie all’intercessione di altre creature, che le tengono per mano (o che da esse si fanno trasportare, comode, mostrando la strada), oppure, grazie all’assaggio incidentale di un frutto proibito, che sia un vero frutto, una mela, oppure un frutto +, corretto da sostanze psicotrope che poi vanno a far esplodere il mondo di luci dai colori pastello, il viaggio non cambia, l’obiettivo resta costante.
Se poi sia positiva o negativa, questa nuova conoscenza guadagnata, resta di là da vedere.
Appare interessante la scelta, come simbolo del divino, proprio dello squalo, in luogo di qualunque altro pesce. Se si considera lo stile di caccia dello squalo, allora si può considerare l’influenza del divino e della religione sulla realtà come un rischio di immanenza, il pericolo di non evolversi, o addirittura di involuzione, finendo per lasciarsi divorare da miti e superstizioni.
Eppure, riusciamo a vedere un omino grigio con l’aureola, circondato da triangoli e occhi, una volta ancora rafforzando l’ipotesi che l’evoluzione umana sia frutto di intelligenza superiore, chiamata Dio solo per comodità, perché all’epoca non potevamo immaginare niente di più.
Alieni e fine del mondo, in quest’ultima magnifica tavola. C’è una ragazza con lo skateboard e gli occhiali da sole, per proteggersi dal tramonto, un segnale di pericolo che ci porta un saluto amichevole, un vero e proprio ossimoro, una navicella in alto a destra, nel cielo, che rammenta la Madonna con Bambino e San Giovannino, stessa posizione, eccetto la mancanza di stupore, la quieta rassegnazione della ragazza che si volta a guardarci, mentre, dall’altra parte del cielo, sta arrivando la nostra fine.
Link utile:
Javier Gonzalez Pacheco
PS: questo è l’ultimo articolo del Menu Settimanale, che ci ha tenuto compagnia in questi mesi, dalla prossima settimana subentra la Santa Barbara. I post sul blog non avranno più cadenza regolare, ma compariranno occasionalmente, per tutto il periodo estivo.
Buone vacanze!