È lunedì, almeno credo, e a stento sono sopravvissuto al week-end più caldo degli ultimi tremila anni. Che poi, dicono che sia tutta questione di percezione.
E allora, io l’ho percepito così: come l’inferno.
Ora sto raccogliendo i pezzi, dopo una breve uscita stamattina sono ridotto in mutande, t-shirt sintetica che dovrebbe asciugarsi in fretta, ma che chi l’ha progettata non conosce il caldo che fa qui, capelli sciolti frustati dal flusso incrociato di due ventilatori: pala da 30 cm, per ora impostata a velocità 2 e torre a velocità 3.
È ora di pranzo e non ho nemmeno appetito.
Questo oggi. Ieri, invece, nel momento di maggior delirio, accompagnato anche da febbre da insolazione, suppongo, ho deciso di rivedere un film.
La scelta è stata: Il Seme della Follia di Carpenter.
Bello, pregno di significato e, se l’avessi rivisto a breve distanza rispetto a The Ward, sarei persino riuscito a cogliere, nel secondo, alcune analogie e la stessa impostazione di riprese. In sostanza, la firma del Maestro.
Comunque non è del film che voglio parlare, anche se è uno dei pochi di Carpenter di cui ancora non ho scritto.
Mi sono fissato su un punto in particolare: quando Sutter Caine rivela a John Trent che lui è una sua creazione, un personaggio e che agisce così perché Caine ha deciso, e scritto, che le cose debbano andare così.
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Se fossi un personaggio nelle mani di qualcun altro, quel qualcuno, l’autore, ha stabilito che in questo momento io debba stare alla scrivania, in mutande, tra due ventilatori.
Cosa mi accadrà tra mezz’ora lo sa solo lui. La mia vita potrebbe essere sconvolta, in meglio o in peggio, oppure procedere uguale a se stessa, come negli ultimi due anni.
Potrei far parte di un libro che non legge nessuno, o di una soap opera infinita.
E come me, anche i miei personaggi di lavori incompiuti giacciono lì dove ho smesso di scrivere.
Ne potremmo ricavare la morale che ogni storia va completata, ma in realtà sono lontanissimo da questa visione romantica della scrittura, e della vita.
Potrei decidere di concludere quei racconti con la stessa facilità con la quale potrei scendere in strada, attraversare e chiedere alla ragazza dietro il bancone della frutta di uscire con me stasera, accettandone tutte le conseguenze.
La scelta, pura e semplice. Quella che cambia il nostro destino, e quello dei nostri personaggi.
Ci siamo inventati l’auto-determinazione, penso quindi sono. Ma davvero abbiamo la certezza di disporre delle nostre azioni?
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Ogni giorno mi metto al computer convinto di sfornare almeno trenta pagine di quelle buone. E quasi ogni giorno mi ritiro sconfitto. Colpa mia, o colpa di un autore burlone che mi descrive così.
La sostanza non cambia, come non cambia l’illusione costante di potercela fare, la consapevolezza della possibilità.
Che poi è ciò che ci spinge a andare avanti, che ci fa star bene. So di poter fare questo e quest’altro, di non avere precluse queste possibilità, e la sola coscienza di potere ci rasserena, e ci fa sprecare tempo.
Nel mio cassetto ci sono molti personaggi come me, che aspettano. E probabilmente moriranno nell’attesa, congelati in un istante.
C’è Esteban Morgante: 35 anni, poliziotto casinista del Dipartimento Investigativo Europeo (che avete intravisto qui), ha una storia d’amore stramba e un incontro ravvicinato con gli alieni. Sì, proprio gli alieni.
L’ho lasciato fermo nella stessa storia, riscritta due volte.
Nella prima è a un tavolo a parlare coi suoi tre complici, la sua ragazza, un’altra ragazza (l’amante) e il fidanzato di quest’ultima (a cui lui ha rotto il naso), discutono della prossima banca da svaligiare e di come sbarazzarsi di un feto alieno.
Nella seconda è in un locale notturno, sta per fare irruzione nel privè di un night club, perché ha sentito una canzone dei cartoni animati…
Lo so, è un personaggio strano…
Il bello è che ho anche la scaletta pronta per finire il romanzo. E se ne sta lì, pronta da anni. Non l’ho mai più ripreso.
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Poi c’è Jaime.
Lei è finita nelle grinfie di una famiglia di psicopatici nella foresta Nera (Ok, non è originale, lo ammetto).
C’è Trialor, un cavaliere alto 230 cm, ha appena decapitato tre cuccioli di orso polare, rinvenuti nel fiume vicino alla capitale del regno. Brutto presagio… e magari ha pure sbagliato a decapitarli, visto che quegli orsi stanno nel simbolo di un nobile che aspira al trono. (Ok, tutti abbiamo iniziato scrivendo o tentando di scrivere fantasy)
C’è Marilyn, in questo momento è a letto e qualcuno le vuole cavare un occhio con un coltello a serramanico. Sì, cose che succedono, e poi Marilyn se le tira appresso…
C’è Cavour, insieme a Pietro e Germaine, che si appresta a scendere nelle fogne per far saltare le chiappe a un certo vampiro…
E se non scelgo di dare a questi personaggi compiutezza, di finirli, resteranno sempre lì, a sprecare la loro esistenza.
Ora c’è una cicala che canta. Finché canta, lo sapete, non ci sono Demoni del Meriggio, in questo strano universo scritto per me.
E voi, di quanti personaggi detenete il destino? Parliamone.
Oh, la cicala ha appena smesso… ^^”
le immagini provengono dal mio tumblr