Volevo intitolare ‘sto post Lo Scrittore, ma siccome in questo stesso titolo è contenuta tutta un’impalcatura di spocchia di un certo livello, meglio andare terra terra, e parlare di segni.
Che poi, tutto lì sta, il punto. Nel segno.
Tracciamo segni che traduciamo in suoni. Ok, è la scrittura.
Pare anche che, proprio oggi, sia un tema particolarmente sentito, qui e anche qui.
E io?
Io… traccio segni sulla carta. Come tanti. Sono bravo? Non sono bravo? E chi lo sa?
Quello che so è che a me piace il modo in cui traccio i segni. E mi piace il suono che hanno, i miei segni, quando li leggo. È così da sempre. Da quando mia mamma mi mise in mano una penna, che avevo solo due anni.
Anziché mangiarla e ammazzarmi, mi misi a scrivere. Solo numeri. Un brillante e folle futuro da matematico teorico, direte voi.
No. Solo un futuro da scribacchino. Neanche tanto certo, come futuro.
Forse perché sono un presuntuoso arrogante sicuro di sé che durante la seduta di laurea ha osato sbadigliare in faccia alla commissione.
Ok, questa non è da tutti.
Ma, per una buona volta, visto che i segni che tracciamo sono tutti uguali e le regole sono le stesse per tutti, vi chiedo:
lo scrittore lo fa il carattere?
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Oggi ne voglio parlare per svariate ragioni. Primo, perché non mi va di parlare di cinema. Spero, altresì, che questa idiosincrasia finisca presto, altrimenti il blog è fottuto.
Secondo, è per dire, una volta per tutte, che le chiacchiere sulla scrittura e sugli scrittori mi hanno stufato.
Non ce l’ho con nessuno in particolare, sia chiaro. E nessuno mi obbliga a leggere, chiaro. Però, gli occhi ce li ho. E da qualche parte li devo poggiare.
È che, a trentaquattro anni, visto che mi si accusa simpaticamente di spararmi le pose di chi la sa lunga e ha visto tutto, tanto vale assecondare i pettegolezzi e dirvi che mi sono proprio rotto della logica da manuale. Di quelli che si sforzano di trovare un senso comune a tutto questo… scrivere.
Di quelli che ti dicono: leggi. Molto. Impara i trucchi.
Qua, se proprio lo volete sapere, è solo questione di carattere. E di capacità.
Io ho capacità. Ma ho anche un pessimo carattere: mix letale.
Volete sapere perché?
Perché sono uno di quelli che legge poco, o nulla. Roba di narrativa, intendo. Perché, sostanzialmente, la narrativa mi annoia.
Cioè, deve trattarsi proprio di un libro con le contropalle perché susciti il mio interesse. Oppure lo devo fare per contratto, impegno, obbligo, amicizia. Allora sì, leggo anche narrativa. Quand’è per amicizia lo faccio sempre volentieri, c’è da aggiungere. Non mi pesa. Però sono severo lo stesso. Anzi, di più.
Diversamente, leggo di tutto, tranne che le storie degli altri. Quelle preferisco guardarle.
Perché lo stile, il modo di esprimermi, il metodo col quale traccio i segni sulla carta, deve, non dico essere solo mio, perché magari sono arrivato là dove è giunto qualcun altro… il punto è che devo arrivarci da solo, con le mie sole forze.
Altrimenti, non c’è divertimento. Né sfida.
Ma la sfida è innanzitutto con me stesso.
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Non ho mai avuto idoli. Di nessun genere.
Qualcuno una volta mi disse che richiamarsi alle personalità altrui è segno di debolezza.
Pochi di voi sanno che mi piacciono Henry Miller e Charles Bukowski. Sì, ok, ma non per le zozzerie che scrivevano, quanto perché li sento affini alla mia personalità.
Ancora una volta, quindi, anche alla base delle mie letture, c’è il carattere.
E voi altri, potete dire di leggere volentieri un autore il cui carattere non è affine al vostro? Che non stimate un pochettino? A meno di non volerlo distruggere con la vostra critica, certo.
Quindi, fino a un certo punto, la mia è stata una sviolinata con me stesso. Una masturbazione.
Poi è arrivato il pubblico. Con internet.
Perché, siamo sinceri, tutti gli aspiranti tracciatori di segni si rivolgono prima di tutto, per mostrare il proprio lavoro, all’amico del cuore, allo zio professore di italiano, già in sé contenente quella dose di arcaicità che ti affossa, alla ragazza che proprio non sopporta il fantastico e vuole solo fare sesso.
Il vero pubblico è qui in rete, oppure al Costanzo Show, quando c’era ancora. E una di queste due affermazioni è falsa.
Il confronto è essenziale, certo. È essenziale ricevere critiche e anche complimenti, quando è giusto.
È piacevole. Anzi, bellissimo.
Ma, ancora una volta, è questione di carattere.
Nel senso che ciascuno di noi sa come sta scrivendo, se bene o male. Inutile raccontarci che non è così.
Lo sapete già, come lo so anche io, quando iniziate a scrivere e rileggete, se quello che avete creato fa schifo, è passabile, oppure no.
Il confronto a che serve, quindi?
A trovare conferme ai nostri sospetti. Nel bene o nel male.
Ho scoperto che il confronto mi piace, ma temo che non riuscirò mai a partecipare ai concorsi, perché proprio non voglio avere limiti. E sì, questa è quello che sembra: una dichiarazione di resa.
Niente concorsi, per me.
Ma il confronto, quello sì, adesso è divenuto irrinunciabile.
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La scrittura, quindi, con tutta la sua spregevole arroganza, caratteristica intrinseca che si fonda sulla presunzione di avere un pubblico al quale possa interessare ciò che si scrive, è un atto egoistico e personale. E poco più.
Non credo si possa insegnare. Forse si può apprendere. Ma i mezzi, in questo caso, sono diversi per ognuno di noi.
Quel che è certo è che se ne parla in continuazione. E a questo, proprio non dare un perché.
Qui entra in ballo la passione, è evidente. E l’istinto. Quello che ci portò a tracciare i primi segni sui muri rupestri…
Il trucco sta nel continuare.
Ragion per cui, se volete scrivere, fatelo. E basta.
Non guardate a nessuno, se non per questione di personalità, di affinità elettiva. Non imitate, ma create.
Lo saprete da soli, quando sarà il momento, se ci siete riusciti oppure no.
Tutto il resto, critiche, consigli, sono costruttivi, certo, ma soprattutto relativi.
Quel che conta è il segno. Il resto lo fa la vostra testa.