Stanotte, mentre dormivo, ho lavorato. Ho scritto tre, forse quattro articoli per il blog, ma adesso che sono sveglio già da qualche ora non me ne resta nemmeno uno. Ricordi vacui.
Credo di essermela presa coi blog lindi e puliti, gestiti da scrittori, nei quali il nero dei caratteri spicca sul bianco lattiginoso delle pagine eleganti e ben formattate. Ordine e pulizia, e noia mortale. La serietà dello scrittore… ma perché? Perché l’editore deve prenderti sul serio! Ah, sì? Mi vien voglia di pisciarci dentro, virtualmente, s’intende, per dar loro un po’ di personalità e di colore…
A volte mi capita. Le parole si formano in uno stato di dormiveglia, si combinano, vanno a depositarsi su una pagina web di un monitor virtuale, il mio monitor, uguale a quello reale, perché io possa scrivere il mio manuale della non-scrittura.
Perché, a questo punto è chiaro, io non-scrivo.
Fino a ieri credevo di scrivere, ma no. La mia non è scrittura. Non ho coscienza di cosa sia la scrittura. Delle regole, della fatica, dell’attenzione, della cultura che c’è dietro di essa. Una forma di comunicazione nobile e assoluta che mostra il mondo così come è e come dovrebbe essere, se permettiamo alla nostra di tingersi di sfumature fantastiche, così che un drago-cane se ne stia a cuccia a leccarsi la zampa, tutto comodo e spaparanzato nell’antro-locale accanto al garage del meccanico sotto casa mia. Ogni tanto gli esce uno sbuffo di fumo verdastro dalle narici, segno che, nonostante l’apparenza, è nervoso. Stamattina presto, in effetti, saranno state le quattro, il meccanico ha aperto bottega per sistemare il lavoro arretrato canticchiando un motivetto pubblicitario e deve averlo svegliato. So cosa deve aver pensato il drago… “Non è mica un fornaio! E’ solo un meccanico! Caz…” e deve essersi censurato, da solo. Perché?
Perché non ha rispettato le regole della narrazione e, a ben guardare, neppure le regole grammaticali e poi perché “cazzo” i draghi non lo dicono mai. Perché non lo dicono? Questo proprio non lo so.
Ma forse su qualche manuale sui draghi ci sarà la risposta.
Gli scrittori sono seri, puliti, educati, entrati nel personaggio, si esprimono in bel parlar gentile e documentato, quando occorre. Ed io che bestemmio, scaracchio e scrivo zozzerie che cosa sono? E bevo anche! Per non dimenticare che non mi documento e le parole vengono giù alla rinfusa, per non dire a cazzo di cane o di drago-cane.
Sono un viscido bacherozzo che non fa mai quello che gli si dice perché non sente la difficoltà.
Questo è un bel quesito, oltre che essere l’espressione del mio pensiero fino a qui.
Quanto tempo ci mettete a scrivere un articolo di più di mille parole?
E, in secondo luogo, per voi è difficile scrivere? Perché, per quanto mi riguarda, no!
Io a mille parole o duemila e cinque come dice il buon Stefano Re ci arrivo in poco più di un’ora, se ci ho bevuto sopra. Altrimenti scendiamo di brutto. Tre quarti d’ora o giù di lì.
Questo è il mio 67° articolo per il blog. In un anno, probabilmente, supererò i duecento. Tutta roba di valore?
E chi lo sa? A me comunque piace. Spesso ci ripasso, sulla roba che scrivo, e la rileggo, e mi piaccio. Come un fottuto narcisista. Senza disciplina, senza regole. Libero.
Ma ho mai combinato qualcosa oltre all’anarchia esistenziale che sembra contraddistinguermi?
Cazzo. Direi di sì. E nel pieno rispetto delle regole per giunta. Rasato, capelli corti, giacca e cravatta. Stretta di mano e proclamazione.
Ma perché dirlo? Poi se ne uscirebbero dicendo che sono uno che si dà le arie.
Se dico che mi sono laureato col massimo dei voti, mi sto dando le arie.
Se non lo dico, ma comunico ugualmente ciò che penso sui manuali di scrittura – ovvero che sono tutta merda – non so di cosa parlo e non motivo le mie argomentazioni, come fanno i critici precisi e puntuali.
Se dico che proprio su quei maledetti manuali mi sono fatto un culo così e ugualmente penso che siano tutta merda, allora sono uno che non capisce niente, che non li ha studiati sul serio e che la laurea se l’è rubata chissà come.
Un’empasse.
Un vicolo cieco da cui uscire tirando un bel respiro e urlando un vaffanculo.
Scrivo in prima persona.
La scrittura in prima persona è la più difficile…
Davvero?
Sì, a causa dell’articolo tot., comma tot., regola tot., paragrafo tot.
A me non sembra…
E allora non sai scrivere e la tua laurea l’hai rubata.
Ma veramente, io…
Niente ma!
Ma io ho scritto una tesi con tutti i crismi, bella, ordinata e impaginata correttamente e ne ho corretto le bozze personalmente! Non è scritta in prima persona, è ovvio…
Niente ma, ho detto! E poi, ignori le figure retoriche e il punto di vista e vomiti addosso al lettore tutto quello che ti passa per la testa senza un minimo di disciplina! Disordinato e sconclusionato! Non si scrive così! Questo non è scrivere!
Hai ragione. Ignoro le figure retoriche, ma le applico. Ignoro lo straniamento, ma ne faccio uso. Ignoro l’ordine, ma dono il ritmo. Ignoro la disciplina, ma ho il dono dell’armonia. Non so descrivere l’amore, ma amo ugualmente.
E tutti i maestri della retorica?
Li lascio riposare in pace, pur accogliendoli dentro di me.
Non sai scrivere, mi dispiace per te.
Infatti, questa è non-scrittura e io sono l’ultimo dei non-scrittori.
Fin qui sono 918 parole, in 32 minuti, con una rilettura.