Antologia del Cinema

Il Bacio della Pantera (1942)

Periodo storico, il 1942. Anche se, come sempre, la storia, che si svolgeva sotto gli occhi di tutti, avrebbe assunto le connotazioni del mito solo con uno sguardo dal futuro, ripensando a quei momenti che, vissuti, non dicono nulla di più. Pearl Harbour era solo un luogo delle Hawaii. Poi sarebbe diventato il casus belli, e poi ancora un film. L’atomica sarebbe stata realizzata dopo pochi anni e da allora il cinema avrebbe conosciuto quella patina di felicità statica, sorridente, serena, stampata sul volto degli attori, con alle spalle i (possibili) lampi di luce stroboscopica (altro film, altra epoca). Il logo della RKO, a vederlo oggi, incongruo, magari con l’accompagnamento musicale storpiato dal tempo, comunica un senso di antichità, e la folle nostalgia. Malinconia per qualcosa che non ho mai vissuto, ne abbiamo già parlato. Si sguazzava nel bianco e nero, oggi colore meraviglioso, persino snob. All’epoca, ordinario. Ecco quello a cui mi riferisco. Produrre film storici, senza averne coscienza. Facendo solo il proprio mestiere. Questo, per ribadire, una volta per tutte, la storia del fare arte. Nel ’42 s’è solo girato un film, con pochi soldi, tutto sommato: 134.000 dollari. Messi in mano a Val Lewton, il produttore, con la richiesta, sempre efficace, di trarne fuori un buon prodotto. Il Bacio della Pantera (Cat People) se ne stette in sala proiezioni a lungo, tanto che i critici frettolosi della prima ora, che l’avevano stroncato, ebbero tutto il tempo di riguardarlo, lodandolo. Ma il film era sempre lì, immune a ogni polemica. Piaceva. E intanto in Europa piovevano bombe, già dal 1937: Guernica. La storia è un magma. A volte, lo è anche il cinema.

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Suggestioni europee, per un horror in bianco e nero che fa del chiaroscuro precisa scelta di stile, per esaltare i momenti di tensione. Ma la verità era che i soldi non bastavano. E a quel punto si sceglie la suggestione, di far valere i pochi mezzi a disposizione. Forse è vero che la crisi genera arte.
Protagonista è Irena Dubrovna (interpretata da Simone Simon), immigrante serba a New York, disegnatrice di moda, che porta con sé un retaggio misterico, insieme a un bagaglio di tradizioni oscure.
Ora lo sappiamo, a distanza di tanti decenni. Sappiamo com’è andato a finire quel periodo di sconvolgimenti politico-sociali, sappiamo anche che valore è stato attribuito al film. Il bianco e nero offre distacco e anche un certo grado di benevolenza all’occhio del critico. Come se guardare a un film antico con simpatia e un senso di superiorità derivante dall’aver visto un sessantennio di cinema, ci rendesse in qualche modo paterni e amorevoli nei confronti di chi ne sapeva meno. Questo per descrivere il modo con cui molti, oggi, si avvicinano al silver screen. Sapete che non è il mio caso. Eppure, eppure, non si resta indifferenti a vedere certe inquadrature. Soluzioni sceniche a parte, intreccio elementare messo sul piatto, ecco che compaiono gli animali, chiusi in gabbie striminzite e messi in scatole di cartone coi buchi. Lì dentro a mala pena ci cacciano un paio di scarpe, figurarsi un gatto. Ma, era tutto normale, come gli uccellini nelle gabbiette microscopiche: funzionale al cinema. Senza ipocrisie.

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L’immagine della pantera impalata da un pugnale, disegnata da Irena, però, fa la sua figura. C’è il mito, la razza delle persone-gatto, quei cat people del titolo, c’è il simbolo, il gatto medievale, famiglio delle steghe, compagno del demonio, ucciso alla stessa maniera, con la spada, da Giovanni di Serbia, baluardo della fede che, si racconta nel film, punì gli abitanti del villaggio dai quali Irena discende, perché adoratori di Satana e praticanti riti occulti proibiti. Il gatto, quindi, incarna il male. Ma non è tutto, Irena racconta che alcuni abitanti riuscirono a fuggire alla furia del Re e a trovare rifugio sulle montagne: i più abili e potenti tra di essi. Fascino delle produzioni RKO, gli aneddoti in esse narrate, a metà tra la storia e la fiction, spesso sussurrati in momenti di grande tensione e, altrettanto preziosa, la scelta di non sbilanciarsi mai, di lasciare lo spettatore nell’incertezza, se propendere per la tesi razionale o quella sovrannaturale e romantica. Decisione, come abbiamo visto, rafforzata dall’esiguità di budget, ma anche dalla scelta precisa di non mostrare, quanto di lasciar intuire, grazie alle ombre dense e al gioco degli equivoci, tutto il mistero che gravita intorno alla protagonista.

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Studio che manifesta la propria efficacia nell’invenzione cinematografica del Bus di Lewton (del quale abbiamo una diapositiva). Ovvero, l’irruzione in scena di un elemento di shock, che causi un sobbalzo meccanico, nella fattispecie, un autobus. Sequenza classica dei film horror, con protagonista Jane Randolph che cammina lungo uno dei muri di Central Park, di notte, e si guarda indietro perché avverte di essere seguita. Le cime degli alberi si muovono, tutto conduce a un colpo di scena, ma ecco che entra un bus. A parte l’elemento che poi ha fatto storia, tutte le sequenze si basano su meccanismi di tensione che sono diventati canonici. Ripresi addirittura dai videogiochi moderni (The Movies). Situazioni base, set addobbati con elementi “tensivi” per antonomasia, nebbia, chiome di alberi, scalinate tagliate da luci e ombre, silhouette proiettate sulle pareti a indicare la presenza della belva che si avvicina e soprattutto l’audio. In più, veri animali, compresa una pantera e un leopardo. Un modo di fare cinema professionale, e per di più evidente. Scolastico, privando il termine di qualunque accezione negativa.
Strani effetti della modernità, mi sembra a più riprese di vedere nei volti di Irena e di Oliver Reed (Kent Smith) somiglianze con Reese Whiterspoon e Christian Bale. Evidentemente i canoni della bellezza non variano, a distanza di anni. Ma sono, per l’appunto, elucubrazioni.
Ne Il Bacio della Pantera entra in scena il male, quello vero, che si scaccia con le Croci, subito dopo la sua agnizione, oppure il disagio psichico, unito all’impossibilità di manifestare fisicamente i propri sentimenti, pena lo scatenarsi di poteri occulti e letali. Un solo film che ha costruito decenni di cinema successivi, che l’hanno saccheggiato mimandone uno o più aspetti. E, in più, il fascino dell’assenza del colore, dell’inglese correttamente pronunciato, di una recitazione educata. Un manuale.

Altre recensioni QUI

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 13 anni ago

    Figurati. E comunque è cosa buon e giusta ciò che hai fatto con la questione commenti 😉

    Io dopo questa recensione il tuo blog sul mio l’avevo aggiunto in automatico. Anzi, adesso mi leggo quella di IWWAZ e aggiungo un secondo link, così tanto per…

    • 13 anni ago

    Avevo rimandato l’iscrizione al blog per commentare, quando avevo intenzione, come ti ho detto, di sottoscrivere le tue parole su The Walking Dead. Poi ho letto questo pezzo e mi sono iscritto senza attendere oltre. Perché ti meriti i miei più sentiti complimenti. Ancora una volta dal tuo modo di scrivere emerge quella passione non arrogante di chi il cinema lo guarda, ancor prima che per analizzarlo, per lasciarsi andare alle immagini (questa cosa la scrissi anche a Lucia. Altra affinità). Leggere un’analisi così sentita ad una pellicola del genere non può che far piacere. O meglio, a me. Val Lewton, infatti, è tra i papabili per la carica di Dio del mio mondo. Ciò che ha fatto in così poco tempo e con così pochi soldi è sensazionale.

    Quando poi la sua intenzione di creare horror in cui il male è solo suggerito, quindi incerto, si accosta, stile vecchi amici, alla stessa identica filosofia di Tourneur, ecco che vengono fuori pellicole di questa fattura. Alla quale, però, io preferisco, e di parecchio, “I Walked With a Zombie” che raggiunge vette così suggestive da rendere lo sguardo dello spettatore simile a quello di chi ha visto la Madonna farsi un cicchetto in una bettola di quart’ordine.

    Complimentoni!

      • 13 anni ago

      Ehilà, ci ritroviamo, mi fa piacere. E grazie dei complimenti. Ho visto che hai un blog, quindi ho deciso di linkarlo. Per il resto, ti dirò, anche io amo I walked with e Zombie, ne ho scritto la recensione. Se la vuoi leggere spulcia tra gli indici.
      Ora la moderazione sui tuoi commenti non è più attiva, quindi commenta quando e quanto ti pare.
      E per qualsiasi cosa, chiedi.

      😉

    • 13 anni ago

    E fai benissimo:D. Vidi questo film in un Festival delle mie zone in una maratona notturna. Nonostante l’ora tarda di proiezione i meccanismi di tensione, l’ottima sceneggiatura e una stupenda regia mi hanno tenuto sveglio e mi hanno portato a definire il film come uno dei più bwgli horror che abbia mai visto.
    E non parliamo delle prestazioni attoriali davvero stupefacenti.
    Poi son d’accordo con te in tutto ciò che hai scritto nell’ultimo commento.
    Per il resto hai detto tutto tu in recensione. Ottima, come sempre:D

      • 13 anni ago

      Grazie mille, sono lieto di incontrare un altro che apprezza il silver screen. 😉

    • 13 anni ago

    Sulla dissertazione riguardo al cinema del bel tempo che fu in teoria sono d’accordo, in pratica sento irrimediabile la barriera del tempo, sempre più spesso. Raramente guardo un film più vecchio degli anni ’70. Ammetto che la pochezza dei mezzi a volte mi fa perdere la pazienza, che lo voglia o no; e sento il peso di un passato troppo passato. Quella voglia di dire, sì, ok, sto guardando una cosa che fece la storia, ma ora cambiamo canale (detto metaforicamente, che la TV ormai non la guardo più). I tempi sono cambiati, oggi fanno i remake dei film di dieci anni prima, un vecchio film in bianco e nero ormai chi se lo fila più?
    Però la mancanza di capacità e di creatività certe volte rende il cinema di oggi inaccessibile ed estraneo, perfino meno fruibile di quello di cinquant’anni fa.

    Quanto al remake di Cat People, quello di Schrader, devo dire che per certi aspetti m’è parso più efficace dell’augusto antenato. Con la Kinski e McDowell calati in parti adatte a loro, una tensione sessuale esplicita come non poteva essere nel film originale, e la potenza di una passione che non può essere negata in eterno. Mi viene da pensare che oggi non saprebbero (non vorrebbero) nemmeno rifare quello, però.

      • 13 anni ago

      Ma il punto è che questo ingnorare il passato (non dico che tu lo faccia) è proprio il meccanismo sul quale si costruiscono i film attuali, remake e non. Che possono contare su un pubblico ignorante che, per forza di cose accoglierà come nuove, scene e meccanismi classici, magari concepiti sessant’anni prima e penserà di trovarsi davanti il capolavoro, quando in realtà trattasi di minestra riscaldata.
      Certo, nessuno obbliga a trovare piacevoli i film in bianco e nero, per carità. Ma gridare un po’ meno al miracolo ogni qual volta esce un film nuovissimo che, nessuno lo sa, guarda al passato, gioverebbe di più al clima generale. In definitiva, ciò che stufa di più dei film attuali, a parte la presenza sfacciata del marketing che determina tempi e modi (idioti) di una pellicola, è tutto il battage pubblicitario ipocrita e le recensioni pompate ad arte, alle quali danno ascolto i tipi di cui ho scritto sopra. È un meccanismo di menzogne che si autoalimenta.
      Il mio recupero di questi titoli, a parte il gusto per il silver screen, tende proprio a quell’obiettivo: mostrare che certo cinema è stato inventato mooolto tempo fa.

      😉

    • 13 anni ago

    Ho poco da aggiungere, perché hai detto tutto tu.
    Uno dei film che adoro, pur avendolo visto poche volte (tre, forse quattro).
    Mi piace tutto il cappello introduttivo alla recensione, che così la “sbanalizza” (nel senso che su certi capolavori a volte c’è il rischio di scrivere cose arcinote. Tu lo eviti).

    Avendo una passione erotica per la Kinski mi è piaciuto molto anche il sequel.

      • 13 anni ago

      Grazie mille. 😉
      Anche io l’ho visto pochissime volte e il sequel ancora meno.

    • 13 anni ago

    […] Visita il sito bookandnegative oppure iscriviti al feed Leggi l'articolo completo su AlterVista […]

    • 13 anni ago

    Sono riuscito a vederlo una sola volta qualche anno fa, ma non ricordo di preciso dove né quando. Davvero molto suggestivo, mi piacerebbe ritrovarlo.

    Inoltre, avendo visto prima la versione di Schrader, ho capito finalmente un passaggio oscuro della versione anni ‘80 in cui Irena/Nastassja veniva avvicinata da una donna, “simile” a Irena/Simone, che la chiamava: «Hermana», sorella. Il suggerimento che la riconoscesse come sua simile, quindi citando e riconoscendo un tributo all’originale, è stato un piccolo “cameo” del Silver Screen. Anche perché Neva Gage, l’attrice qui accreditata come Cat-like Woman, vestiva solo bianco e nero. Forse sono io che ci vedo qualcosa che non c’era, ma l’ho trovato comunque uno di quei piccoli dettagli graziosi che ingentiliscono il quadro generale.

    La versione anni ‘80 è più morbosa, specie grazie a Malcolm McDowell nella parte del fratello incestuoso, e poi ha la colonna sonora di David Bowie. Forse non è un capolavoro in ogni sua parte, ma a me è piaciuto e consiglio di vederlo anche solo per curiosità e completezza per un background horror da manuale.

      • 13 anni ago

      Allora mi sa che me lo devo riguardare. Non lo ricordo per niente, però rammento le polemiche sulle scene incestuose o quel che è. Che poi erano tutte cose montate ad arte…

    • 13 anni ago

    Vidi questo film in prima liceo , grazie a “Fuori orario” che l’aveva trasmesso in coppia con un’altro film di Lewton (lo splendido ” L’uomo leopardo”). Mi era piaciuto molto il fatto che puntasse sull’atmosfera, sulla paura del nuovo mondo ,civile e tecnologizzato,verso quello vecchio e le sue superstizioni. E non è casuale come ,giustamente fai notare, la vicinanza con la seconda guerra mondiale. Confesso di non avere mai visto, invece, il remake di Schrader. Chissà se è altrettanto buono.

      • 13 anni ago

      Uhm… il remake non lo ricordo benissimo. È passato troppo tempo. Se non sbaglio, però, mi parve subire la tipica patinatura degli anni ottanta. Anche se c’è Nastassja.
      Ma il silver screen è una magia insuperabile.

      😉

    • 13 anni ago

    e che devo aggiungere? Hai detto tutto quello che conta veramente su questo film e sul tipo di cinema che rappresenta in generale.
    E come parli tu del silver screen non ne parla nessuno

      • 13 anni ago

      😀 Mi fa piacere, di nuovo grazie. E poi boh, chissà, io vedo il chiaroscuro e vado in sollucchero… ^^

    • 13 anni ago

    mamma mia…non ho altro da aggiungere, perché mi son venuti i brividi

      • 13 anni ago

      Eh, dai, mi aspettavo il commentone! 😀
      Grazie.