Incredibile come si faccia scontare a un attore, Jason Statham, che ha costruito la sua carriera sui ruoli di azione, muscoli e poco cervello, il passaggio di ruolo. Statham ha osato provare a recitare in questo Hummingbird (colibrì), titolo trasformato dapprima in Redemption dagli inglesi, e poi nel fantasticherrimo e fantasmagorico e fantaebbasta Identità Nascoste (2013) dal Malvagio Consiglio dei Titoli Italiani, impegnato come sempre nello strenuo tentativo di conferire ai film stranieri titoli che non significano un accidente.
Perché, signori e signore, Hummingbird significa qualcosa.
Persino Redemption.
Identità Nascoste no. Perché travisa il significato profondo. E lo tradisce.
Ma torniamo a Statham. Recita, in questo film drammatico di Steven Knight, recita il ruolo di un reduce che non ha ricevuto medaglie al valore restando traumatizzato ma figo, ma che anzi ha disertato tirandosi addosso il disonore, tornando a Londra e sottraendosi alla Corte Marziale, prima, e alla società, dopo, diventando un alcolizzato e dormendo nei cartoni.
E so già cosa pensate, pensate al riscatto sociale, alla redenzione, a qualche conto da saldare. Ebbene c’è tutto questo, ma non nella misura che vi aspettate.
La storia di Redemption è dura, crudele e disperata, che toglie alla fine tutto quel poco che concede. Per cui è difficile rendere giustizia a questo film in una recensione.
Difficile anche interpretarlo, se si è stati incasellati in un ruolo perenne di macho dalla battuta pronta e spalle a blocco di granito.
Difficile soprattutto perché ad affiancare il reduce non c’è una bonazza resa ridicola dal ruolo, ma una suora.
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Agata Buzek è Cristina, la suora. Lavora per una Missione locale, sfama i senzatetto, ha sfamato Joey (Statham) tante volte. E il suo personaggio è una delle tante novità apprezzabili di questo film. Personaggio profondo e credibile, forse appesantito da un passato oscuro che, per quanto realistico, poco o nulla aggiunge alle motivazioni attuali, quindi sfiora il dramma numerico, più che effettivo.
Cristina voleva diventare ballerina classica, ma è diventata suora. Scelta di vita obbligata in cui tutto sommato crede, pur attraversando, lo dice lei, momenti di “follia” in cui ricorda a se stessa che è innanzitutto un essere umano, e quindi deve anche vivere, sottraendosi di tanto in tanto alla sovrumana morale cattolica.
Joey ha un solo desiderio: l’annientamento. Nulla di retorico. È con dignità che si affronta la questione. Troppe e troppo negative sono state le esperienze da lui vissute per poter anche solo pensare di superarle e cambiare.
La motivazione che lo spinge a interrompere, per qualche mese, il processo di autodistruzione silenziosa è la vendetta. Un’amica, una ragazza conosciuta in strada che con lui divideva il cartone e che il calore del quale scaldarsi nelle notti invernali è finita in un brutto giro. Per capire dove e perché, Joey ha bisogno di ripulirsi.
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Identità nascoste appare quindi non come la fuga dalla realtà. I protagonisti non hanno necessità di nascondersi.
Il bello, che è anche il punto di forza e valore aggiunto, è che loro sanno esattamente cosa sono diventati, e non s’ingannano pensando di poter cambiare vita e fare altro.
Il vero Joey e la vera Cristina sono esattamente chi dicono di essere: un miserabile e una suora. Senza alcuna possibilità di non esserlo, pur trovandosi entrambi, a un certo punto, ad assaggiare le intenzioni e a possedere i mezzi necessari per cambiare vita una volta per tutte. Ma no, non succede.
Quindi la menzogna sta nel fingersi vitali, rispettabili e onesti, per Joey, nel fingersi passionali, ribelli e disinteressati per Cristina. Ma non è vera bugia, perché non ci si illude nemmeno per un istante.
In questo delicato equilibrio, Steven Knight, che è anche sceneggiatore, non dimentica di avere a disposizione Statham e quindi gli concede qualche scazzottata rituale, per esiti e intenzioni perfettamente collocata nella storia.
Niente di gratuito fatto perché si deve, niente di sovrumano. È un film realistico. Tanto che predilige Agata Buzek come protagonista che non è una bellezza dirompente, caratteristica principale di certo action tamarro, e che pur essendo una bella donna, ha una fisicità altera e fredda, sufficientemente avvilita dalla divisa ecclesiastica, tanto da sembrare una vera suora.
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La vera sorpresa è Statham, che come abbiamo detto, non si cala nei panni del reduce macho, ma in quelli di un uomo distrutto che è ormai al capolinea. La redenzione che cerca è qualcosa che trascende il concetto tipico attribuito a tale parola. Ed è bello, per una volta, leggere il dramma sul suo volto, e non la battutina scema.
Questo i fan non gliel’hanno perdonato, infatti Identità nascoste vanta solo un 6.2 su IMDb. Difficile uscire dalla gabbia degli stereotipi, eh?
Una critica da muovere al film però ce l’ho anche io: tanta disperazione accettata, tanto peregrinare dei personaggi in cerca di vendetta e rivalsa e poi, quando arriva il momento di scatenare il giusto castigo, che doveva essere, proprio per l’origine della sua natura, ineluttabile e devastante, Knight non ha avuto il coraggio di far sprofondare il suo protagonista dannato, Joey, all’inferno.
Ci si mantiene su una vendetta essenziale, che risulta pure un tantino fredda, rispetto al bastardo su cui viene compiuta, e quindi non c’è catarsi.
Mancanza bilanciata, se vogliamo, dall’equilibrio e razionalità con cui, al contrario, viene trattato il romance. Un romance atipico, bello e pulito.
Insomma, piccoli uomini d’azione crescono, divenendo grandi. Non puniamoli per questo.
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