“A proposito… che significa K1?”
“Niente. Assolutamente niente. K1 mi piaceva e me lo sono messo. È piuttosto misterioso, non trovate?” (da “Nati con la Camicia”, 1983)
Forse l’avete intuito. In questo periodo mi sono allontanato dal cinema.
Brutta cosa, in effetti, per uno che gestisce un blog di cinema.
Ma non preoccupatevi. È solo una crisi di rigetto momentanea. Causata, anche, dalla penuria di film decenti. E badate, ho detto decenti, non belli.
L’altro motivo è che mi sono rimesso a scrivere. E, senza triturarvi le palle, ribadisco che per riuscire a scrivere bene, devo privarmi di libri e film. Ovvero, di quelle cose che, con volontà o meno, potrei copiare.
Ciò non toglie che io abbia comunque visto centinaia di film e letto moltissimo. E che molti lavori, alcuni dei quali eccelsi, si siano sedimentati nella mia memoria, spuntando saltuariamente e contaminando le mie storie. Ecco spiegate le citazioni che ravvisate.
Il bello di scrivere, e suppongo anche di girare un film, è avere il controllo assoluto sulla storia.
Non deve mai accadere il contrario. Ovvero che la storia abbia il controllo sull’autore.
Non c’è niente di più ridicolo di un testo scritto che riesca a spuntarla su chi l’ha creato.
Intreccio, quindi. E soprattutto personaggi.
Io, lo sapete, preferisco i cattivi.
Il Male, dal punto di vista narrativo [e solo da questo], è il principio che dà origine al contrasto. Perturba l’equilibrio sonnacchioso della perfezione, e quindi del Bene, lo stravolge e lo costringe, dopo aspra battaglia, a trovarne uno nuovo.
***
Questa è, più o meno, la concezione elementare alla quali tutti gli affabulatori dovrebbero ispirarsi. Meno manicheo risulta il contrasto, meglio è per la storia.
Come sempre accade, ciascuno di essi con obiettivi, e mezzi per compierli, molto, molto diversi.
Il Cattivo, però, quasi sempre è descritto male. Ovvero, come da titolo dell’articolo, è un idiota. E questo senza andare a scomodare i cattivi da operetta, seppur simpatici, di tanti e tanti film a loro modo spettacolari e indimenticabili. Sto parlando di cattivi moderni, con alte ispirazioni e film da centinaia di milioni di dollari.
Da sempre mi domando il perché.
Ma vediamo, tanto per cominciare, i punti deboli del Cattivo:
a) spia il protagonista e sghignazza
Che cazzo avrà mai da ridere tanto? A meno che non si voglia ammettere che l’eroe oggetto di spionaggio sia ridicolo e quindi susciti ilarità irrefrenabile. Ma non è così. Allora il Cattivo ride, forse, per la disperazione. Forse perché ha un senso dell’umorismo imperscrutabile, dato dalla sua diversità. Forse perché è solo un idiota. In questo caso, però, non andrebbe combattuto, ma aiutato, non trovate?
b) possiede un animaletto domestico
In realtà è un falso aspetto deteriore. Si può trovare ridicola l’idea del cattivo che acarezza un soriano, ma pensate a Hitler che accarezzava i suoi pastori tedeschi. Ritenete ancora che sia una cosa stupida? Direi di no.
c) si affida a sgherri o assistenti a dir poco imbecilli
Che nel mondo dei cattivi ci sia penuria di manodopera è ormai acclarato. Non esiste un solo aiutante che non sia un ritardato mentale, o che non dia prova di essere una macchietta inutile.
d) scialacqua il suo denaro
anziché tendere all’eroe un unico, efficace agguato, si ostina a dilapidare tutte le risorse a disposizione tentando di ucciderlo in mille modi diversi, uno più sciocco dell’altro, dai quali è impossibile che l’eroe non riesca a venir fuori illeso.
e) ha sempre un debole per la tipa dell’eroe
Diciamocelo, la tipa dell’eroe è una strafiga. Ma di solito sono meglio quelle che gironzolano intorno allo stesso Cattivo, perché, tanto per dirne una, non si abbandonano a tiritere di stampo moralistico. Eppure, niente. Il Cattivo ha il prosciutto sugli occhi, o gli ormoni a corrente alternata, e finisce per avere i calori solo per loro, quelle stronze.
f) parla, parla e ancora parla invece di stroncare l’eroe, quando ce l’ha in pugno
E arriviamo all’idiozia vera e propria. Il Cattivo temporeggiatore.
Quante volte avete visto questa scena? Quante volte avete bestemmiato assistendo al solito teatrino?
Ve lo dico io: innumerevoli.
Questa del temporeggiare è l’idiozia fatta fiction.
È priva di senso logico, ma, chissà come, accade sempre.
Il Cattivo ha in pugno l’eroe. Non deve far altro che annichilirlo, in un miliardo di modi possibili. Eppure, non lo fa. Mai.
Se lo mette, invece, in quel posto da solo.
Inizia a ciarlare, di solito enunciando una serie di puttanate innominabili; si fa contraddire dai suoi sgherri scemi o dalla mignotta che ha al suo fianco, quella che lui ignora perché, allo stesso tempo, sta pensando alla strafiga legata al fianco dell’eroe. E tutto questo, perché?
Per dar modo all’Eroe stesso, alla sua strafiga, o al Deus ex machina di intervenire e portargli via tutto ciò che, faticosamente, in oltre due ore di film o quattrocento pagine di romanzo, egli ha costruito.
***
Ora, cattivi così come si può definirli se non idioti? No, ditemelo.
Il perché vengano concepiti è presto detto.
Vengono pensati così per il pubblico. Per non urtare la suscettibilità della massa, che si sentirebbe spiazzata da un cattivo intelligente, furbo e perciò stesso imprevedibile. Che fa paura sul serio.
Allora, si preferisce dar vita all’ennesimo buffone. Inutile, stupido, che non ha alcuna abilità che possa giustificare la sua presa del potere.
L’altro dogma, in caso di creazione del Cattivo Sciocco è la presunta banalità del male.
Per carità, può essere vero. Molti assassini non solo sono crudeli, ma scavando nel loro passato, nella loro quotidianità, si scopre poi che non valgono nulla. Sono, in verità, banali.
Ma non è esatto. O meglio, forse non sono neanche loro, il Male.
Mi sovviene sempre, pensando a una rappresentazione bella e suadente del Male, quello vero, atavico, un film italiano. Ebbene sì.
Magari avreste detto il solito Hannibal Lecter prima della sua commercializzazione.
Invece, mi riferisco a I Giardini dell’Eden (1998) di Alessandro D’Alatri. È un film sul periodo meno noto della vita di Cristo. Che corrisponde, tra le altre cose, al momento in cui, si dice, vagò nel deserto.
Ebbene, forse pochi di voi l’hanno visto, questo film. Ma quei pochi dubito possano aver dimenticato il Diavolo che tenta Gesù.
È un vecchio, vestito di nero. Non fa altro che seguirlo a distanza, tra la sabbia e le pietre, cantilenando per disturbare la concentrazione e la meditazione del pellegrino. Infine lo raggiunge, a notte fonda, gli si siede di fronte, e attorno a loro sorge dal nulla un cerchio infuocato.
Ecco, il male è quello. Orrido d’aspetto, inspiegabile e instancabile. Ambiguo e innocuo all’apparenza. Persino affascinante.
Un altro personaggio così, forse, è quello di Ralph Fiennes in Schindler’s List. Al di là di tutte le schifezze che fa, il male trabocca dal solo sguardo. E dà i brividi.
Il resto è solo spazzatura. Inutile, stantìa, che torna sempre. È il serial killer coi ritagli dei giornali sul muro della stanza. È il cattivo che vuole essere catturato. È quello che si mette in competizione con l’eroe. È quello che non si accorge che ha una donna bellissima al suo fianco, che non riesce a vedere in lei, un futuro. È quello che vediamo tutte le sere, in tv. E che si ostinano a continuare a scrivere, in modo che noi lo leggiamo. Per fortuna, è sufficiente spegnere la tv, o chiudere il libro. Il guaio è che, quando riaccendi o riapri, loro stanno sempre lì, a disgustarci. E non c’è soluzione. Dicono sempre che il male sia ambiguo, ma in realtà è non solo riconoscibile, ma ridicolo, che è peggio. Quasi quasi riesce a convincerci che non esiste.
Ah, ma forse sta proprio lì, il segreto…