Ci sono dei film che mi fanno sprofondare nel sonno, lo sapete. Il più recente è stato L’Ultimo dei Templari, con il nostro splendido Nicola Gabbia coadiuvato dalle sue straordinarie parrucche. Ho dedicato, ai film per dormire, persino due classifiche (QUI e QUI).
Ma la verità è che, per quante classifiche possa scrivere e ipotizzare, per quanti primi posti assegnare, ci sono sempre dei piccoli parvenu, come questo, pronti a strappare lo scettro dalle mani dei pluripremiati Il Codice da Vinci e Angeli e Demoni. E credetemi, Hotel avrebbe vinto, se io non avessi barato.
Non è solo per dormire, è un film al cloroformio. Sei lì che lo guardi, tutto preso, e a un certo punto scorrono i titoli di coda. E te ne accorgi, dei titoli che ti riportano nel mondo dei viventi, perché una voce fuoricampo, tedesca, li sta leggendo, uno per uno! Robe dell’altro mondo. Ai confini della realtà.
E tuttavia, quei primi cinque minuti di inquadrature che osservano l’albergo del titolo, i suoi corridoi in penombra, riescono persino piacevoli. Anzi, dirò di più, intriganti. Per questo ho deciso di barare, e di guardarlo di nuovo, stavolta per davvero, e per intero.
Ogni volta che di albergo si tratta, e di corridoi, e di porte chiuse e di luci tremolanti al neon e ancora, soprattutto, di silenzi, è all’Overlook Hotel che si torna. Sempre lì, dove sono accadute tante cose non proprio giuste.
Gli hotel del cinema ti intrigano proprio per quello. Perché sono ricordi sbiaditi di un albergo più grande, dove si era tenuta, tanti anni fa, un ballo in maschera, una gran bella festa…
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E non prendiamoci in giro. È lì che vogliamo tornare, ogni volta che vediamo questi film.
Jessica Hausner, la regista, ha imparato la lezione. Non solo da Kubrick, ma da altri due maestri, tentando di farla sua. Costoro corrispondono ai nomi di Polanski (L’Inquilino del Terzo Piano) e Argento (Suspiria).
Mica male, come mostri mitologici da evocare e ai quali ispirarsi.
Irene (Franziska Weisz) viene assunta come receptionist in un Hotel montano, affacciato su una valle, da un versante, e dall’altro su una foresta, i cui alberi, dai fusti altissimi e grigi, sembrano celare una ragazza in fuga dall’accademia di danza, gestita, lo sappiamo, da una strega.
Ma non c’è una scuola, né una strega, se non nel folklore delle tradizioni locali. Una grotta, vicina all’albergo, pare sia stata la dimora di una di queste creature, della Signora dei Boschi, le cui bambole feticcio, dalle sembianze di vecchia, vengono esposte nelle bacheche dei negozi di souvenir. Si dice che, decenni prima, un gruppo di campeggiatori, accampatosi nei pressi della grotta, sia sparito senza lasciare traccia.
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Ma a noi interessa Irene, giunta a rimpiazzare la precedente portiera d’albergo, anche lei scomparsa e cercata, nel frattempo, dalla polizia locale.
La cercano nel laghetto in mezzo al bosco, saggiando il fondale con delle aste. Non si aspettano, a quanto pare, di trovarla viva.
Irene, però, non è interessata a questa storia. Non quanto le interessa, invece, un ragazzo del posto, mezzo fallito, che tira a campare. Lei si rende antipatica ai suoi colleghi, con quell’aria perfettina, mentre uno strano disagio la rende, in qualche modo, partecipe della stranezza del posto, dove un’anziana cameriera, per proteggersi durante la notte, recita il rosario.
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[c’è qualche anticipazione, ma anche no]
Il vero problema di questi film è l’ambizione. Voler creare una novità assoluta, che tale non è, e restare parimenti nell’ambito del cinema alto, è un’impresa.
Il risultato è, come ho detto, un nuovo concetto di cinema, quello al cloroformio.
Per quanti ragionamenti, invero pochi, si possano trarre da piani sequenza montati ad arte per risultare poco chiari, dopo un po’ il gioco stufa, perché è chiarissimo, invece, che, nelle immagini non c’è molto altro, anzi null’altro rispetto a quello che si vede.
Alla fine, qual è la maledizione della receptionist? È la Strega dei Boschi, è solo pazza, o sono le nefaste presenze dell’albergo che infondono confusione e paura e, allo stesso tempo, spingono verso ciò che più fa orrore?
La mia risposta, che è una domanda, è: a chi interessa?
Giocare troppo con simili argomenti può portare al disastro. Non tanto per eventuali carenze, quanto per mancanza di volontà, da parte dello spettatore, di completare il puzzle accennato dalla regista.
A un certo punto, si arriva a pensare che la struttura stessa dell’Hotel riviva, notte dopo notte, una scena in particolare: quella della ragazza scomparsa che vaga nei corridoi, dopo aver azionato l’allarme. Questo secondo le teorie che vogliono i luoghi infestati partecipi, in un circolo vizioso, di eventi carichi di energia, tale da fissarsi sulle pareti. Ma potrebbe trattarsi, sempre nella finzione del film, di uno stupidissimo caso di sonnambulismo.
Non frega a nessuno.
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