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Hop-Frog

Di Hop-Frog (Marzo, 1849) si sa che è contaminata da elementi autobiografici di Edgar Allan Poe.
Più di preciso, pettegolezzi attorno a relazioni tra lo stesso Poe e due damigelle, diffusi da tale Elizabeth F. Ellet, in precedenza allontanata dallo stesso Poe.
Ellet diede eco alla voce del popolo attraverso il suo circolo letterario newyorkese, sputtanando i tre.

Hop-Frog_TrippettaFacciamo un salto di qualche decade in avanti. Oggi queste relazioni (specie se platoniche) avrebbero luogo su internet, sui social network, in gruppi segreti e/o chiusi, o in chat private.
Elizabeth F. Ellet, vendicativa matrona di un circolo letterario alla metà dell’Ottocento, oggi avrebbe un blog letterario dove fingersi una #massimaesperta (vendicativa e matrona), e passerebbe il tempo a raddrizzare – secondo lei – i torti subiti, sputtanando malcapitati tramite screenshot e articoli al vetriolo, tra il plauso della folla caprina.

È l’Eterno Ritorno. Come sempre.

Dà quasi tranquillità (ho detto quasi…), questo constatare che l’umana natura cambia solo abiti e mezzi, e talvolta abitudini, ma resta sempre uguale a se stessa, soprattutto negli aspetti più deteriori.
Una storia di meschine passioni, quindi, trattata con maestria visionaria.

hopfrog_greg_hildebrandtLa modernità di Poe è data non solo dall’allegoria sempreverde che caratterizza il racconto, che è, sommariamente, una storia di vendetta brutale in cui non solo la vittima si vendica divenendo carnefice e soddisfacendo appieno la sua sete, ma essa riesce a fuggire e a riguadagnare ciò che aveva perduto: la libertà, la casa natale, un destino amoroso, forse anche il rispetto.
Difficile dire chi siano i veri protagonisti, ché io al centro della scena, più che il nano Hop-Frog, giullare di corte, e la sua amica-compagna Trippetta, ci vedo il Re (senza nome, come tutti i Re) e il suo seguito di amici-potenti che si fanno beffe di chi porta loro da mangiare, serve loro da bere, chi trasporta la loro posta…

Non fare lo stronzo con noi… (cit.)

Ciò che un secolo e mezzo dopo sarebbe stato il motivo scatenante del Fight Club di Palahniuk, l’ingiustizia sociale sovvertita con le cattive.
Perché davvero, di fronte a una natura umana avida e piccola, che non muta mai, c’è chi prende la decisione di non sprecare la propria vita tentando di produrre un cambiamento delle coscienze, ma di continuare a vivere eliminando, fisicamente, il problema.

Un scelta radicale, si direbbe.

james-ensor-hop-frogs-revengeHop-Frog, quindi, dopo l’ennesima derisione ai suoi danni – e ai danni di Trippetta, schiaffeggiata dal Re e umiliata – diventa consigliere fraudolento invitando il Re a mascherarsi da orango, lui e la sua cerchia, in modo da spaventare gli ospiti del ballo di quella sera.
Trucco che riesce benissimo: il sovrano e i suoi amici appaiono come bestie selvagge, incatenate le une alle altre e, così, facilmente portate in trappola.

La poetica della vendetta si sposa con l’agnizione, dal momento che, avendo sollevato gli otto oranghi, Hop-Frog, arrampicatosi con una torcia fino a essi, annuncia la sua capacità di riconoscerli.
Avvicina la torcia al volto di uno di essi e… dà fuoco a tutto.
Eccoli lì, avvolti dalle fiamme, i prepotenti. Solo che, a parte lui, nessuno ha ancora capito, né tantomeno ha riconosciuto.
Un rogo di otto corpi umani che illumina come un candelabro a 36 candele tutta la sala, davanti a decine e decine di invitati estasiati dalla trovata scenica, terrorizzati e paralizzati dallo spettacolo di questo piccolo demonio e dalla morte violenta di ciò che essi credono creature inferiori, ma che sono parte della loro stessa progenie.
Un po’ come mettere nel sapone il grasso dei culi di chi ha i soldi per comprarlo.

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