Sappiamo tutti che Hannibal Lecter non è un semplice cannibale ma un raffinato gourmet, perciò non sorprende – ma addirittura diverte – vederlo impegnato in cucina col bottino delle sue battute di caccia metropolitane. La morbosità sposa l’estetica quando lo vediamo tagliare e preparare un cuore umano come se fosse un arrosto, legarlo con gli aromi e metterlo sul fuoco. Sono scene ricorrenti che ne presentano la quotidianità, perché tutti noi abbiamo necessità di nutrirci, ma nel suo caso l’ombra omicida altera l’apparente normalità insita nella preparazione di un pasto con la consapevolezza di quel che bolle davvero in pentola. Una parte colossale di questo risultato però va alla fotografia, alla scenografia, alla regia e all’attore stesso. L’intero balletto delle maestranze opera di concerto per creare un’immagine persino accattivante, inocula una sottile suggestione nello spettatore per farlo cadere in ammirazione del mostro fin quasi a pregustare con lui quel banchetto. La presentazione, in tavola come nello spettacolo, è tutto. Anzi, no, è del tutto falso, ma il farlo credere è parte del gioco e dell’incanto. Produrre un’acquolina solo con le immagini è un gioco di prestigio pavloviano, un suono di ipnotiche campanelle che introduce alla cena.
L’estetica ricercata della serie si nota anche nel primo episodio di questa settimana. Gli angeli scorticati che vegliano sul sonno del loro assassino, i polmoni che diventano ali grazie all’Aquila di Sangue. I delitti presentano non solo una scenografia, ma una vera e propria coreografia della morte con le vittime disposte con cura. Sappiamo di assistere a uno spettacolo brutale e orrendo, ma il filtro estetico è talmente potente da cancellare la realtà un attimo prima di renderci conto che nulla è reale. Siamo comodamente seduti a casa nostra davanti alla TV e quello che ci viene presentato è uno spettacolo macabro, non una cronaca né un apologia del delitto. In un certo senso è come parlare di humour nero; alcuni non l’apprezzano perché ritengono che scherzare sulla morte sia sbagliato, indelicato o addirittura volgare. Altri ne hanno bisogno per esorcizzarla; scherzano sull’ultimo mistero della vita perché a volte, se guardi troppo a lungo nell’abisso, tanto vale farsi una risata.
Nell’episodio successivo ci troviamo in uno scenario familiare, il manicomio criminale del Silenzio degli Innocenti completo di frivolo e spocchioso Dottor Chilton. Qui un paziente, il Dr. Abel Gideon (interpretato da Eddie Izzard), uccide un’infermiera e – imbeccato dall’ambizioso Chilton – si autodenuncia come Lo Squartatore di Chesapeake. Gli omicidi tuttavia proseguono fuori dalle mura del carcere, così si pensa a un imitatore, ma è lo stesso Lecter a collezionare organi per il suo gran banchetto di fine episodio, a cui partecipano diverse personalità in vista che non sospettano la natura delle portate. Tornano anche ombre del passato, l’apprendista di Crawford scomparsa anni prima (uccisa da Lecter) durante le indagini sullo Squartatore. È interessante anche vedere il modo in cui Lecter riesce a circuire quel vanesio di Chilton con un’insieme di complimenti e condiscendenza, ottenendo tutte le informazioni di cui ha bisogno per scaricare le proprie colpe su Gideon. Un valzer di manipolazioni che sembra condurre con passo sicuro e da esperto.
Metto ora un attimo da parte Lecter per passare a Will Graham, che diventa sonnambulo in compagnia del cervo delle sue visioni. Come tutto il resto, il cervo è un’immagine potente, confermandomi una volta di più che questa serie ha la sua forza nell’estetica oltre che nella trama e nei personaggi. Crea suggestioni visive efficaci scegliendo elementi di forte impatto. Il cervo è un animale imponente, una preda pericolosa (contraddizione interessante, parlando di serial killers) perché armata di corna e con un carattere battagliero. Queste però sono solo le mie ipotesi, probabilmente voi ne avrete altre e mi piacerebbe sentirle, dopotutto i commenti sono fatti apposta. Detto ciò, grazie di aver letto fin qui e alla settimana prossima.