Rispondo a questa richiesta con un anno di ritardo. Parlare di Freaks di Tod Browning, parlare di cinema. E poi, un pomeriggio, mentre fuori infuria il caldo, arriva il momento.
Una sceneggiatura che risultasse orribile, questo chiese Irving Thalberg a Willis Goldbeck, incaricandolo della trasposizione di Spurs, racconto breve di Tod Robbins. Thalberg si fece trovare chino sulla sceneggiatura, capo fra le mani, dallo stesso Goldbeck, mentre sussurrava: “Well… it’s horrible”.
Idea folle, il film si fa.
Grandi attori scelti per la parte si ritirano in buon ordine, ché si trattava di girare con veri fenomeni da baraccone. Se vi fa specie definirli così, allora siete tra quelli che ancora non capiscono questo film, magari non lo approvano neppure.
Pensando comunque al fatto che forse mai lo vedremo nella sua interezza, dato che circa mezz’ora dei novanta minuti originali venne tagliata a causa della censura e delle critiche mosse alla pellicola, in alcuni casi messa al bando per trent’anni con divieto di proiezione, non abbiamo né mai avremo un’idea completa di Freaks.
Si può dire che, data la gratuità (e non in senso deteriore) con la quale è stato filmato, siccome si poteva fare, è stato fatto. Tutte le valutazioni che ne sono scaturite dopo sanno di disagio e rifiuto, in primis, e di polemica altrettanto gratuita.
La verità è che, ancora oggi, è difficile vedere Freaks e restare impassibili. Non è neanche giusto farlo, né di sicuro ci si aspettava normalità di reazioni, da parte di chi l’ha concepito, quella normalità che sa di ipocrisia, di fingere di non vedere.
Eppure, il segreto interpretativo di questa storia malsana di vendetta e passione, sta proprio in una battuta affidata a Harry Earles, il protagonista: “Posso anche essere piccolo, ma sono un uomo”.
Ecco, proprio nella sua “umanità”, intesa nell’aspetto più selvaggio, secondo natura, si nasconde il genio di questa pellicola.
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Perché è sciocco attendersi riscatto morale, buoni sentimenti e virtuosismi da chi è umano, troppo umano. Essere umano vuol dire assecondare le proprie pulsioni, abbandonarsi a esse e vendicarsi qualora le stesse vengano tradite, insieme ai sentimenti e alle aspettative. Alle promesse fatte. Vendicarsi dell’onta subita, della cattiveria altrui mostrando altrettanta cattiveria e spietata freddezza.
Attenzione, non sto dicendo che sia giusto, ma solo che è umano. E se c’è una cosa che gli umani sanno far bene, quella è sbagliare.
Freaks è, in un certo senso, aprire la porta della cantina buia nella quale venivano segregati i mostri. Quelli a cui era proibita un’esistenza sociale, forse la loro stessa esistenza. Innumerevoli sono le famiglie che nascondono il loro disagio e la loro ipocrisia nelle cantine. Il romanticismo vuole, in una sorta di compensazione, che tali infelici creature abbiano in sé la purezza che ai loro familiari maledetti manca. Nulla di più errato. Non che sia impossibile, ma questo esula dal messaggio e dagli intenti del film.
Qui la luce è equa. Non vedo altre parole per definirla. Non esistono cantine buie, la luce di scena (nonostante la povertà di mezzi) illumina tutto e tutti, e lo fa bene. La luce porta la vista di un mondo che si isola e al tempo stesso si stringe in una piccola comunità. E si esibisce per il pubblico divertimento. Per soldi. Perché esibirsi, a volte, è l’unico modo di sopravvivere.
E allora conosciamo questi spiragli di esistenze, lo slice of life, le due gemelle siamesi, Daisy e Violet Holton, unite per un fianco, che condividono la vita e i rispettivi mariti. Il tronco umano, Prince Randian, che s’accende le sigarette facendo tutto con la bocca, la donna barbuta, Olga Roderick, che ha un bambino, e le pene d’amore di Hans (Harry Earles), innamorato della bella Cleopatra (Olga Baclanova) e amato da Frieda (Daisy Earles) che condivide con lui il nanismo. Vediamo microcefali, il mezz’uomo (Johnny Eck) che si sposta sulle mani e un attore nano che, cinquant’anni più tardi, abbiamo rivisto in uno dei capolavori della fantascienza apocalittica, Mad Max 3, mi riferisco a Angelo Rossitto, the Master.
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Si dice che Browning fosse tormentato da un incubo, durante e dopo le riprese di Freaks: vedeva Eck, il mezz’uomo, condurre una mucca attraverso una porta durante le riprese. Una di quelle composizioni mentali apparentemente prive di ogni proprietà perturbante, ma che si percepiscono, invece, come terrorizzanti. Un po’ come la porta che avrebbe aperto con questo film.
Ogni periodo storico è caratterizzato da alcune idee comuni che sedimentano. E le società le assecondano o le rifiutano. Coincidenza, ma non troppo, altri filmati su altri freaks venivano usati, dall’altra parte del globo, durante il nazismo, perché a tali creature fosse concessa una dolce morte che le privasse di un’esistenza di dolore. Questo secondo l’aberrante propaganda della svastica. A pensarci, alla follia di quegli anni, si resta increduli. Perché se Browning esaltava la diversità, rimarcandone allo stesso tempo la normalità di pensiero e azione, rendendo i suoi protagonisti umani e vittoriosi, capaci di abbattere le sofferenze psichiche e fisiche e dispensare la giusta, crudele punizione, dall’altra parte del mondo, la “razza superiore” voleva solo distruggerli per mai più rivederli, impedendone la nascita attraverso l’impiego sistematico della scienza medica, in senso distruttivo.
Una sorta di poetica della morte, che poi ha preteso milioni di vittime. E i brividi che oggi sentiamo sono la consapevolezza che arte, cinema e storia si sono fusi insieme, a segnare un’epoca.
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Nessun virtuoso, nessun santo tra i freaks, consci del loro esistere ed essere una comunità, eppure disponibili e aperti, tranne che all’inganno e alla cattiveria altrui. La forza del film è tutta qui, nell’applicare a un intreccio classico da tragedia greca delle maschere viventi. Persone che non possono uscire dai propri ruoli. Cinico? No.
Al contrario, l’idea del mostrare senza falsità è forte e potente. Ed è, in fin dei conti, lo scopo. Senza compiacimento, senza musiche o montaggi ipocriti e pietosi, cui oggi sicuramente si farebbe ricorso. Un’idea talmente folle, nella sua unicità, da impedire ogni tentativo di rifacimento. O almeno si spera. Anche se, una società come la nostra non si discosta poi tanto da quella dell’inizio del secolo scorso.
L’errore è anche pensare che, durante le riprese, tutto fosse perfetto, che il cast fosse una grande famiglia felice. Nulla di più errato, A parte i fratelli Earles e pochi altri, la maggior parte degli attori fu costretta a mangiare in capannoni separati, per motivi che non sto qui a dirvi, ma che potete intuire.
A tutt’oggi sconvolgente, per gli stessi motivi che da sempre sconvolgono, la diversità d’aspetto e, al tempo stesso, l’identità di sentimenti e intenti, di volontà. Sono, siamo, saremo esseri umani. E l’essere umano è una cosa che spaventa. Sempre. Soprattuto spaventa se stesso.
Sopravvissuti ai tagli, si conoscono tre finali di Freaks, che linko qui. La versione di novanta minuti prevedeva vere e proprie torture, la castrazione di Hercules (Henry Victor) e la scena in cui i freaks attaccano Cleopatra, restata intrappolata sotto un albero abbattuto da un fulmine, e la conseguente trasformazione della stessa in donna-papera. Giustizia e vendetta applicate secondo il contrappasso, come dicevo.
Sequenza magistrale, che segna anche il climax nel racconto, la parte finale, sotto il temporale, tra le ombre delle ruote dei carri, che sa di ferocia, paura e determinazione.
Imprescindibile.