Prima di tutto, un pettegolezzo. E in quanto tale, finché non lo vedo, non ci credo.
Effetti Collaterali (Side Effects) dovrebbe essere l’ultimo film diretto da Steven Soderbergh.
E siccome ho deciso di farmi amare, dopo le recenti prodezze di Rob Zombie, aggiungo anche: meno male.
Perché, in tutta sincerità, dei compitini di Steven Soderbergh non se ne può più.
Dice, Soderbergh, di essersi ispirato a Adrian Lyne e al suo Attrazione Fatale (1987). In realtà, mi ricordo un altro titolo, che è molto più simile, per soggetto e conseguenze, al nostro Effetti Collaterali: trattasi di Analisi Finale, anno 1992, di Phil Joanou. E vedremo perché.
Emily Blunt, Olivia Wilde, Imogen Poots, Alice Eve, Amanda Seyfried e Michelle Williams. Tutte candidate al ruolo di Emily, la protagonista. Poi s’è deciso di metterlo sul groppone a Rooney Mara, tanto per lasciare una macchia nella sua carriera.
Accanto a Rooney abbiamo Channing Tatum, Jude Law e Chaterine Zeta-Jones con indosso gli occhiali de La Rivincita dei Nerds. Una cosa inguardabile.
Ma sono sottogliezze.
Effetti Collaterali è, fino a tre quarti, un enorme spottone sugli psicofarmaci, che potrebbe sembrare sfumato con un tentativo di moralizzarne l’uso. Ma non lo è, è solo uno spot mascherato da thriller, condito con un po’ di sesso strumentale, per dare al preparato una nota di scandalo che avrebbe fatto addormentare mia nonna già nel 1927.
Come detto, è il compitino per casa di Steven Soderbergh.
***
Regista che in questi mesi s’è misurato con tanti generi e, a parte Contagion, che è un film catastrofico truccato da reportage, è andato a toccare anche lo spionaggio con Haywire, protagonista Gina Carano.
E l’impressione che ne ho ricavato, da tutti i suoi lavori, anche quelli precedenti, è di manierismo esasperato: ovvero che Soderbergh, prima di girare un film, si legga il “Manuale dei film di Spionaggio” e si metta a dirigerne uno, avendo letto le quattro regolette in croce.
Il risultato è che i suoi film non sono disastrosi, ma neppure capolavori: si mantiene sul 5 e mezzo, 6, sufficiente a non essere rimandato a Settembre.
Effetti Collaterali vorrebbe essere un thriller psicologico. Quindi, s’è proceduto alla lettura del manuale relativo.
Gli elementi standard della ricetta ci sono tutti:
– Giovane moglie con tendenze suicide: Rooney Mara
– Marito faccendiere, appena uscito di galera, che minimizza i problemi della moglie: Channing Tatum
– Giovane Psichiatra rampante e ambizioso, che pubblicizza nuovi farmaci ai suoi pazienti: Jude Law
– Psichiatra di mezza età, vogliosa perché separata dal marito: Catherine Zeta-Jones
***
Poi, ovviamente, gli psicofarmaci:
ne citiamo giusto qualcuno, autentico, per realismo. Dopo di ché ne diamo uno sperimentale alla nostra giovine aspirante suicida, Rooney Mara.
Come da titolo, non c’è da aspettare molto perché si verifichino gli Effetti Collaterali.
Solo che è un thriller, quindi le cose non sono come sembrano, no?
Ora, perché dico che è un enorme spot pubblicitario? Perché, a differenza di Fight Club, che pubblicizzava marchi in funzione escatologica, per liberarsi da essi, qui si dà per scontato che, tramite la pillolina, si possa superare qualsiasi problema.
Le sedute di psicanalisi si risolvono in due chiacchiere sullo stato di salute del paziente e nella compilazione di una ricetta di questo o quel farmaco, che lo farà stare meglio. Il tutto con una leggerezza e sufficienza tale da rasentare l’incoscienza.
Sì, è vero, poi i cattivi usano le pillole per i loro fini diabolici, quindi ne abusano, ma la sostanza non cambia: le pillole sono la soluzione a ogni problema, quindi si distribuiscono come fossero noccioline.
Amen.
E questa struttura: seduta-chiacchiera-ricetta-mania suicida, ci accompagna per oltre una intera, noiosissima ora, che non viene sollevata nemmeno dall’avverarsi di quel fatto di sangue evocato all’inizio con un flash forward, reso in modo così asettico da rinnovare anche qui i fasti del documentario stile Contagion.
***
In più, il thriller che porta uno dei personaggi a svelare il complotto, in stile Analisi Finale.
Dove Richard Gere usava le sue potentissime perizie psichiatriche per internare in ospedali le malcapitate, le quali, sentendosi in trappola, danno di matto, ovviamente facendosi narcotizzare dal personale armato di siringhe. Scemi in ogni film, quelli che lavorano in queste strutture, ma con la siringa sempre pronta.
Da cui il motto: se vi trovate a un passo dalla camicia di forza, meglio affrontare la cosa con tranquillità.
Altrimenti vi fanno la siringa sul braccio e vi danno le pillole col bicchiere, e vi tengono chiusi a vita, anche se siete perfettamente sani.
Regista che quindi fa il compitino. E attori che non sono da meno. Dire che sono svogliati è poco.
E poi, ma davvero c’era bisogno del coinvolgimento sentimentale tra paziente e psichiatra? Ancora a questo punto stiamo?
Già negli anni Novanta ‘sta storia era vecchia e ridicola.
Ora è semplicemente improponibile.
In più, la scelta saffica, che percepisco come unicamente strumentale alla creazione di quella patina di scandalo (ma che oggi non può, non DEVE scandalizzare più nessuno) cui accennavo all’inizio, quindi priva di un reale contenuto e di importanza. Direi quasi una scelta politically correct, come anni fa era la presenza obbligata dell’attore orientale o di quello afroamericano.
Giudizio finale: una palla. Pulita, lucidata e asettica. Come tutti i film di Soderbergh. O quasi.
Effetto Collaterale: può provocare sonnolenza.
Indice delle recensioni QUI