City 40, da qualche tempo ormai nota come Ozersk. Più o meno da quando, a questa città, è stato concesso di risultare sulle mappe, e ai suoi abitanti di risultare all’anagrafe.
Una storia da distopia fantascientifica del dopobomba.
Ecco, mi sembra il contraltare perfetto a quell’anelito di libertà da un regime similare, che ho descritto nell’articolo dedicato a Chuck Norris e al Comunismo.
Perché la libertà è un’esigenza strana, mossa dal bisogno primario.
Dal desiderio, avrebbe detto Hannibal Lecter.
Se hai tutto, non sogni mica di andar via.
City 40 è la città in cui il regime sovietico ha deciso di concentrare, dal 1947, gli studi sulla bomba atomica, per non farsi cogliere impreparato e farsi piazzare uno nuovo Fat Man sotto le chiappe dagli Stati Uniti.
Al contrario dei rumeni sotto Ceaușescu, che trovavano terreno fertile alla propria sopravvivenza evadendo con la mente e con le VHS dei film capitalisti, per gli abitanti di Ozersk la teoria di controllo era diversa. Lo è tuttora.
Avevano tutto, alla Città 40.
Dovevano essere felici, proprio per sopportare l’idea di vivere in un acquario.
Una città a cui il Soviet avrebbe garantito l’habitat ideale: ottimi stipendi, infrastrutture perfette, luoghi per il relax e il tempo libero, ricchezza, benessere, frigoriferi pieni, sicurezza nelle strade.
A un costo, però.
E non era tanto quello di non poter abbandonare il territorio urbano. Perché non è vero. Gli abitanti della Città 40 potevano uscire e andare a trovare i parenti in altre città, persino portare loro regali, montagne di caviale e cioccolato che i bambini di Mosca, persino, sognavano. Potevano uscire, ma non potevano parlare con nessuno di ciò che accadeva a Ozersk.
Perché, come in ogni film di spionaggio e paranoia che si rispetti, c’era il caso che il tuo vicino di treno, con l’aria stanca da impiegato delle poste massacrato dal lavoro, potesse essere un agente del KGB e metterti alla prova, inducendoti a chiacchierare della Città 40 e del locale impianto nucleare.
E, a quel punto, una volta abbandonatisi al pettegolezzo, addio a tutti i privilegi acquisiti e garantiti. Addio a tutto, probabilmente.
Soprattutto, a Ozersk era difficile entrare. I residenti potevano uscire, bocche cucite. Ma nessun esterno poteva entrare.
È così ancora oggi, sebbene la Città 40 sia ormai riconosciuta come Ozersk e sia chiaro che il benessere da acquario statale sia stato pagato da molti dei locali in dosi massicce di radiazioni.
Pare essere uno dei luoghi più radioattivi della Terra, un lago vicino Ozersk, dove tuttavia è possibile imbattersi in vecchietti che pescano, seduti lungo le rive.
La radioattività è solo un dettaglio in più a una vita normale.
La ricchezza e l’abbondanza dell’Occidente era la normalità, lo è ancora oggi, per Ozersk. Solo che, su di essa, è calata l’ombra del regime, che l’ha resa un luogo unico.
E così, mentre la maggior parte della gente desiderava uscire, passare la cortina e lasciarsi alle spalle una realtà di stenti, costoro erano gli unici a star bene dove stavano, accettando, però, di fare i conti con un ambiente che definire ostile è un eufemismo. In alcune zone ben delimitate, l’esposizione sicura all’ambiente circostante, privi di protezioni, ammonta a venti secondi circa…
Ozersk è il luogo più sicuro della terra. Non vi si commettono crimini o, se accadono, i responsabili vengono subito raggiunti, identificati e perseguiti.
Perché tutte le decine di migliaia di residenti sono sotto controllo costante.
L’ex Città 40 è sorvegliata, gli ingressi a essa accuratamente filtrati da filo spinato e posti di controllo, il benessere degli abitanti, ancora oggi, garantito. Non esiste il problema della droga, la disoccupazione, è l’Universo 25 della specie umana. L’impianto nucleare di Mayak, il vero nucleo pulsante di questa distopia, ancora attivo, anche se… la paranoia tipica degli Anni Cinquanta, che portava i lavoratori a effettuare docce decontaminanti e attuare stretti protocolli per garantire la salute non è più così radicata.
E alla gente comune non resta che farsi i conti e evitare determinate fermate degli autobus, o anche determinati autobus, in certi orari, che corrispondono agli orari di lavoro degli operai di Mayak. Perché c’è il caso che costoro si portino addosso le polveri…
Paradossale è esistere, avere tutto sommato una vita ideale, che corrisponde, almeno nella singola città di Ozersk, all’apoteosi dell’ideale comunista, con lo Stato che supplisce in toto ai bisogni del cittadino, e gli garantisce una vita ideale, da cartolina, e al contempo non esistere, per esigenze di segretezza, non risultare all’anagrafe, combattere allorquando, se si finisce in causa per i danni da esposizione a radioattività, sia necessario persino far sì che lo Stato riconosca la tua stessa nascita e garantisca per la tua salute, o vi porga rimedio compensando pecuniariamente il danno arrecato.
I cimiteri a Ozersk sono pieni di giovani. Ho visto, in una ripresa, la lapide di un tizio che era nato nel 1976, come me, ed è morto a 37 anni, di cancro.
Difficilmente riesco a immaginare la quotidianità di questa gente.
Chernobyl resta solo un ricordo della mia infanzia, quando una nube rossa dilagava sui planisferi dei TG, di fianco ai mezzibusti. Era solo un disegno, ma in qualche modo riuscivo a intuire che quel disegno, se fosse arrivato fino a me, m’avrebbe ammazzato.
Si muore comunque, sembra essere questa la filosofia generale di chi non riesce a abbandonare quei luoghi. Solo che lì si muore più in fretta.
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