L’idea di un film apocalittico, pre o post poco importa, è sempre fascinosa. Riferendomi al gradimento personale, come ben sapete, è un motivo capace di coinvolgermi sempre. Così come lo stesso è sempre verde; nonostante sia stato e sia tuttora iper-sfruttato, trovo che abbia ancora tanto da dire.
La realizzazione è questione più ardua, specie quando si hanno a disposizione finanziamenti scarsi. Ecco perché preferisco, quando mi ricordo di saperlo fare, scrivere. È più economico e ti lascia sfogare.
L’idea di Neil Marshall non è nuova, ma è avvincente. Doomsday prende le mosse da una letale pandemia, di fronte alla quale la risposta dei non-infetti è erigere un muro per separare e soprattutto dimenticare la catastrofe.
La realizzazione è incerta. Sicuramente ambiziosa, ma, visti gli evidenti limiti di budget, anche stentata. A questo si aggiunge qualche ingenuità di troppo, presumibilmente impostata, in fase di sceneggiatura, sulla convinzione che il pubblico debba essere preso per mano e accompagnato lungo i sentieri dei facili intrecci ™.
Badate, non sto condannando nessuno. Si tratta di scelte. E queste sono opinabili.
Non ce l’ho neppure con Neil Marshall, al quale, al contrario, va il mio plauso perché, se non altro, mostra di avere gusto per il cinema, ben visibile nei suoi omaggi ad altre pellicole famose, e per il piccolo, ma sostanziale aspetto del provare. Marshall è uno che ci prova a fare il cinema che gli piace e che, ogni tanto, ci riesce anche. E, guardate un po’, talvolta [non in questo caso] cresce nel tentativo. Chi, dalle nostre parti, in Italiastan, come dice Alex, può dire di fare altrettanto?
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La Scozia è stata devastata dal dffondersi di un virus letale denominato “Reaper”. Le autorità hanno adottato misure drastiche per impedire il propagarsi del contagio, riconstruendo il Vallo Adriano, il muro di epoca romana che separava in due l’isola inglese, lasciando la popolazione al di là di esso a sé stessa. Il Maggiore Eden Sinclair (Rhona Mitra), 27 anni dopo l’epidemia, è l’uomo giusto per un’incursione al di là del muro mirante al recupero di un fantomatico vaccino che, si spera, possa arrestare la pandemia esplosa stavolta in territorio inglese, nel sud dell’isola. I locali scozzesi, sopravvissuti alla malattia, si sono riorganizzati secondo forme sociali arretrate ed estremamente violente.
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Curiosità
# Sebbene ambientato in Gran Bretagna, “Doomsday” è stato girato per la maggior parte in Sud Africa, comprese le scene finali dell’inseguimento.
# Soltanto due delle numerose scene in cui sono stati impiegati stunt-men si sono concluse con incidenti, entrambi di lieve intensità. Nella prima, un motocislista è stato trascinato dal veicolo invece di staccarsene immediatamente, mentre nella seconda, l’attore colpito al volto da Sol (Craig Conway) sulla pedana della stazione, quando i protagonisti riescono nella loro fuga rocambolesca, si è rotto il naso.
# Alexander Siddig, l’attore che interpreta il Primo Ministro inglese, è il nipote di Malcolm McDowell.
# La vettura pilotata da Rhona Mitra è una Bentley Continental GT Speed del 2008. La Bentley non prese parte alla sponsorizzazione del film, così la produzione dovette acquistare tre vetture identiche per una somma di circa 150.000 $ cadauna. Una delle tre andò completamente distrutta, le restanti, a dispetto della carrozzeria danneggiata, non subirono particolari danni al motore.
# Originariamente si pensò di associare una serie di risposte vocali automatiche all’occhio bionico di Sinclair (Rhona Mitra). Le frasi [ironiche] furono effettivamente registrate da Tom Hanks, ma il regista Neil Marshall rinunciò all’idea.
# I veicoli APC [Armoured Personnel Carrier] utilizzati dai militari per raggiungere Glasgow furono costruiti a spese della produzione. La progettazione durò cinque settimane, dieci l’effettiva realizzazione. I due modelli visibili nel film sono, perciò, originali. Si optò per questa scelta apparentemente bizzarra perché più economica rispetto all’acquisto di due veri APC militari usati.
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Limiti dell’intreccio e debiti di questo film sono evidenti. A cominciare dalla protagonista, Sinclair, cazzuta, forte, indipendente, fumatrice a scrocco [perché nel futuro distopico le sigarette sono un lusso], con l’occhio di vetro cyberpunk e capace di prendere a calci in culo un gigante in armatura direttamente uscito dalle tavole di “Berserk”. Cattivi sadici e urlanti scolpiti nella roccia, come il leader cannibale e cabarettista di Glasgow, Sol e il più classicheggiante e stereotipato [a partire dal nome, Kane] Malcolm McDowell, padre di Sol e ex-dottore indealista disilluso dalle decisioni del Governo Cattivo, passando per il Consigliere Canaris, politico faccendiere e senza scrupoli disposto a scommettere su migliaia di vite innocenti pur di privilegiare la sua scalata al potere. La trama sorvola quelle che furono le disavventure newyorkesi di Snake Plissken, con Rhona Mitra [guercia] nella parte di Kurt Russell, la “Iena” costretta ad infiltrarsi in un territorio ostile abbandonato a sé stesso, abitato da pazzi furiosi ed eccentrici che si danno a spettacoli pirotecnici e danzanti, con tanto di can can, e che si cibano di loro stessi pur essendoci mandrie di mucche che fanno bella mostra di sé, intralciando il cammino dei blindati dei nostri. Omaggi ad “Aliens” (1986) e persino a “I Guerrieri della Notte” (1979) dispensati generosamente da Marshall nella sequenza dell’incursione in una Glasgow deserta su veicoli corazzati e, dopo, nella scena dell’inseguimento da parte di nemici a bordo di un autobus con tanto di mazze brandite e roteanti. Il film si trasforma, nella seconda parte, assumendo i contorni di un delirio fantasy medievaleggiante, con tanto di giostra dei duelli organizzata da un Signore Oscuro [McDowell, col naso a zampogna, che gioca a fare il Merlino di “Excalibur” (1981), ma senza placca metallica sulla testa] tanto disilluso quanto vanesio e nell’interpretazione e nelle decisioni da egli prese; per poi divenire quasi remake delle spettacolari sequenze di inseguimenti stradali che hanno reso immortale il ciclo di Mad Max. Se non altro, apprezzabile è la realizzazione artigianale di queste scene, fatte con vere auto guidate da veri stuntmen e, per una volta, prive di antipatica e irrealistica CG; lontane dagli spettacolari livelli coreografici raggiunti da George Miller, ma almeno sudate nella loro costruzione.
Il risultato finale è, ancora una volta, un ibrido che, con la smania di essere tutto, è finito col diventare niente. Non è un film drammatico, perché nullo è lo spazio destinato ad approfondire le tematiche trattanti contagio, pandemia, governo e popoli; non un film di fantascienza, né cyberpunk, perché questi aspetti sono in pesante contrasto con la volontà di rappresentare una comunità arretrata e dai valori tribali; non un film apocalittico perché, alla fine, il futuro è più carico di prospettive e speranza di quanto non sembri. È, almeno, semplice intrattenimento? Forse sì, se vi aggrada il prodotto facile, immediatamente accessibile, presentatovi da una protagonista che sinuosa [ma neanche tanto] si adagia sul cofano di una bella macchina. Il cellophane sui sedili stavolta è stato tolto soltanto per esigenze di scena.
Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
La recensione di Elvezio
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