Parliamo di donne.
Parliamo di Miriam Leone e Samantha Cristoforetti.
Entrambe oggetto, in questi giorni, di polemiche.
Che poi, mi piacerebbe dire che siano polemiche sul loro lavoro, che fanno bene o male, e invece sono polemiche perché le summenzionate sono… donne.
Ed è veramente arduo pensare che si possa polemizzare su questo.
Davvero, sembra una follia.
Eppure succede.
È successo QUI. Ed è successo anche QUI.
La prima è troppo donna, troppo bella forse. Colpevole di recitare la parte di una troia in una serie televisiva.
Come ho scritto su facebook ieri:
recitare (bene) la parte di una troia non fa di te una troia
ma fa arrossire il piccolo pubblico bigotto, che sente un gonfiore dimenticato nelle mutande e sfogato male o affatto
e si incazza per questo
E individua la colpevole in un’attrice che, venendo dalla scuderia RAI, deve necessariamente essere inquadrata, irregimentata secondo certi (dis)valori: la casa, la famiglia, la religione.
Casa, famiglia e religione. Che personalmente apprezzo molto, ma solo se sono adottati in libertà, non imposti da un qualunque gerofante o dittatore di costumi e buona creanza improvvisato.
1992, la serie, mostra quando è cominciata l’italietta (sì, con la lettera minuscola) che viveva di sesso, soldi e moralismo. Una sorta di post-vittorianesimo nel quale tutti ostentavano ricchezza, sfrontatezza e capacità in pubblico, vizi e stravizi, sesso in primis, in privato.
Esattamente come durante il Vittorianesimo.
Certe sconcerie conveniva mantenerle private, per essere socialmente accettati.
E così, con questa mentalità d’accatto, ci siamo trascinati nei vent’anni successivi.
Come dite?
Sì, è vero, non siamo cambiati affatto. Ci sguazziamo ancora, in questa merda.
Evidentemente ci piace. Quel gonfiore nelle mutande non smette.
Infatti non si perdona a Miriam Leone di aver girato tutte quelle scene di sesso.
Stranamente, analoga accusa non viene rivolta ad Accorsi, che pure fa generosa mostra di chiappe toniche nei salotti delle case bene, attraverso i cinquanta pollici al plasma.
Probabilmente con lui non si eccita nessuno. Povero.
Quindi cos’è che disturba, del sesso di 1992?
Che è troppo vero?
Nel 2015 ancora ci scandalizziamo perché, per una volta, si sia rinunciato, in una serie televisiva, ad assurdi personaggi di cartone in luogo di un certo, sentito realismo che, come sappiamo tutti, soprattutto nella politica coeva, sfociava in orge e umori sessuali?
Se è così, siamo persino più ipocriti di quanto non lo fossimo nel 1992.
Complimenti.
E poi, Samatha Cristoforetti.
Di lei s’è scritto: “non è un esempio da seguire”.
Perché “donna che per lungo tempo vive lontana anzi lontanissima dal proprio uomo”.
Che è un’affermazione oscena.
Oscena perché contraddice, in poche parole, ogni tentativo di modernizzazione e attualizzazione di questa società che, al contrario, nulla ha fatto per liberarsi definitivamente di quella caratterizzazione storicamente (e mentalmente) ritardata (non arretrata, ma ritardata).
Una società di padri padroni che pretende di inquadrare e gestire il ruolo e il destino di tutti (soprattutto dei propri figli) sulla base del sesso, e della classe sociale.
Quando i nostri padri, bontà loro, godevano di quel poco di ricchezza generata nel secondo dopoguerra, sfrecciando verso il mare, sulle strade d’agosto, a bordo delle loro Cinquecento (l’auto del popolo), credevano di aver scoperto la ricetta della vita felice.
Tutti inquadrati nelle fabbriche.
Stipendio fisso. Futura pensione.
Moglie a casa.
Figlio all’università. Sarebbe diventato Medico, Avvocato. O Ingegnere.
La figlia sarebbe andata in sposa a un Medico, Avvocato. O a un Ingegnere.
Una vita tranquilla. Monotona. Giusta.
Stronzate.
Visto che proprio oggi stiamo pagando decenni di miopia culturale e sociale.
Non è un dovere degli esseri umani entrare nei ranghi che gente piccola ha creduto bene di stabilire nel passato, quando è toccato a loro.
Il dovere degli esseri umani è migliorarsi, sempre e comunque.
Ma capisco che per quelle stesse persone piccole, una donna, per di più astronauta, che dedica la propria esistenza all’esplorazione spaziale sia una contraddizione in termini.
Un vero orrore.
il mio mito.
Non è inquadrabile.
Non è seduta sul sedile di dietro di quella Cinquecento a sognare un marito.
Sogna invece il cosmo e guarda gli scarafaggi metallici sulle autostrade infuocate dall’alto.
Poi, c’è sempre il vecchio adagio bigotto: a che serve studiare lo spazio e le stelle quando c’è gente che muore di fame?
Infatti.
L’italietta è infinitamente più preoccupata del pane in tavola che delle astronavi. Dimenticando, una cosa fra tutte, la più sciocca e elementare, che quegli smartphone che così tanto ama dipendono soprattutto dai satelliti, che orbitano nello spazio. E che s’è dovuto studiare molto, per realizzarli.
Tutto lo scibile è collegato.
Perché dovremmo agire e pensare in quanto specie.
Non in quanto singoli. Per di più stupidi.
L’ignoranza, nell’era della comunicazione globale, è una scelta.
Proprio vero.
Dovremmo scandalizzarci della violenza caparbia che ancora mostriamo.
Dovremmo scandalizzarci che non vengano destinati più fondi alla ricerca scientifica. Al progresso. Al miglioramento della nostra esistenza.
Dovremmo scandalizzarci che ancora, nonostante il palese fallimento delle istituzioni religiose e sociali (incapaci di adeguarsi ai tempi), ci venga imposto un modello di vita coercitivo, che vuole inquadrarci in quanto ingranaggi di un sistema morente.
E di tante altre cose, che escludono le nudità di un attrice e le aspirazioni spaziali di una donna.