Sarò sincero. Mi sono messo a vedere District 9 senza aver letto le innumerevoli recensioni a riguardo e avendo visto solo il trailer. Ero carico di pregiudizio e tutto incazzato e non sapevo neppure io perché. Avrei voluto distruggerlo scrivendo che è solo l’ennesima immondizia, ma non posso farlo.
Contrariamente a tutto lo pseudo-razzismo col quale l’ho affrontato, devo ammettere che è un bel film che, silenziosamente, ci ricorda quanto possiamo fare schifo noi esseri umani.
Non è un capolavoro. Ed ha i suoi punti deboli anche se pochi. Certamente District 9 è uno spiraglio nel buio medioevo che è questo 2009 cinematografico.
Per la regia di Neill Blomkamp, nato nel 1979 a Johannesburg in Sud Africa, città dov’è ambientata l’azione, prodotto (uffa!) da Peter Jackson, per il quale non nutro davvero molta simpatia – ma questa è un’altra storia -, District 9 è la storia di anni di difficile convivenza tra umani e alieni dopo il primo contatto. Una gigantesca astronave madre in panne è costretta a scendere sulla Terra. Dopo gli immediati momenti di panico e incertezza, le autorità terrestri decidono, non avendo avuto segnali dal velivolo alieno, di fare irruzione per scoprire una congrua popolazione di esseri extraterrestri (più di un milione) simili a crostacei (sono detti, appunto, Gamberoni) denutriti e ormai allo sbando.
Nonostante tutta la nostra vantata diplomazia e le consuete retoriche sparate sull’integrazione tra i popoli, la paura del diverso, in questo caso proveniente addirittura da un altro mondo e per di più brutto, si scatena e non viene ipotizzata nessun’altra soluzione che trasferire tutti gli alieni in un terreno ai margini di Johannesburg, in quella che, nel corso degli anni diverrà una baraccopoli denominata Distretto 9.
Qui gli alieni vivono, al pari di molti nostri simili in altre periferie del mondo, ai margini della “civiltà”, oziando tra rifiuti di ogni genere, nutrendosi di cibo per gatti, per il quale vanno matti, e sottoposti ad ogni genere di inganno e truffa da parte degli spietati umani che li ingannano dando loro merci di poco valore in cambio delle loro futuristiche – e potentissime – armi che, tuttavia, non si riesce ad utilizzare. I nigeriani, poi, sono i peggiori perché dediti al contrabbando di cibo per gatti, quando non decidono di ammazzare gli alieni e di mangiarli perché convinti di ottenere così la loro innata capacità di utilizzare i suddetti armamenti.
Sia come sia, l’insofferenza degli umani cresce e, dopo anni, viene assegnato ad una società privata il compito di evacuare il Distretto 9 e di deportare tutti gli alieni in un campo di concentram militarizzato più confacente ai loro bisogni.
E qui, è il caso di dire, inizia un piacevole e spietato teatro dell’assurdo. Al pari dei nazisti a Varsavia, gli esseri umani ben armati entrano nel distretto e cominciano a notificare casa per casa ordinanze di sfratto che, nella maggioranza dei casi, non vengono neppure comprese da chi le riceve, che viene convinto ad andare via con le maniere forti. I Gamberoni sono sottoposti ad una politica di ferreo controllo delle nascite la quale fa sì che si possa disporre la distruzione immediata di una covata di piccoli in un secondo o due, senza starci troppo a pensare, tanto sono solo fottuti alieni.
Ma non è tutto sotto il controllo degli umani. Alcuni gamberoni stanno recuperando materiale di scarto che consentirà loro di riprendere il volo.
Da funzionario-persecutore incaricato di deportare gli alieni, Wikus Van De Merwe (Sharlto Copley) diventa, dopo essersi infettato con un marchingegno extraterrestre, l’anello di congiunzione tra le due specie e, soprattutto, l’unico essere umano che sia in grado di utilizzare le vagheggiate armi di distruzione di massa. Si scatena così una caccia all’uomo senza precedenti e Wikus sperimenta sulla propria pellaccia le nefandezze a cui i gamberoni sono stati sottoposti nel corso degli anni. Inutile dirlo, troverà degli alleati proprio in quelle creature che fino al giorno prima considerava alla stregua di cavie da laboratorio.
Il messaggio sociale di cui il film è pregno non è mai scadente e dà un inconsueto quarto d’ora di piacevole riflessione.
Gli esseri umani, la loro insulsa morale e il loro finto liberalismo ne escono demoliti e anche giustamente, aggiungerei.
Pochi difetti in questo bel film. Uno senza dubbio è quello di aver umanizzato persino troppo questi alieni-gamberi che sono vessati, maltrattati, vittime di ingiustizie che ti fanno venire voglia di gridare e di prendertela contro i mali del mondo, quasi fossero creature innocenti, definizione che, ahimé, mal si sposa con una civiltà così evoluta. Difficile se non impossibile non fare il tifo per loro, infatti.
L’altro punto debole è il cliché del soldato sadico, uno dei protagonisti, che richiama la cieca violenza delle SS e di cui, a mio parere, si poteva fare a meno.
Spettacolari le scene di combattimento, con effetti specialissimi che fanno gridare al miracolo se si considera il budget contenuto della produzione.
E, se proprio si vuole ridere, da notare è la vaga somiglianza del protagonista Wikus con Giacomo del ben noto trio comico… per gli appassionati della sit-com My Name is Earl, poi, è impossibile non pensare a Gamberone (Crabman nella versione inglese) alias Darnell Turner, ogni qual volta si fa riferimento agli alieni…
Film di fantascienza, d’evasione, di riscatto e anche di denuncia sociale, alla faccia di chi rompe sui giusti e invalicabili confini dei genere…
Blomkamp già nel 2005 aveva prodotto un cortometraggio, di fatto un prequel di questo film, intitolato Alive in Joburg che inserisco qui di seguito: