La Stanza Bianca

[Di incipit si muore]: I duellanti

Parliamo ancora di incipit, vi va?
Usiamo un medium diverso dal solito: il cinema.
Perché sì, si tratta sempre di narrazione.
I Duellanti di Ridley Scott. 1977.
Facile reperire il frammento che ci interessa, ovvero il prologo, perché il film gode di una certa fama, in internet, tra gli appassionati di duelli “autentici”. Ovvero messi in scena con criteri di realismo.
Ma ovviamente, l’incipit dei Duellanti non è solo un duello: è un’epoca.



Per coloro che, stranamente e colpevolmente, non avessero familiarità con l’opera di Scott: essa è incentrata sui ripetuti duelli tra Gabriel Feraud (Harvey Keitel) e Armand D’Hubert (Keith Carradine), ufficiali francesi, portati avanti di pari passo con la mira espansionistica di Napoleone Bonaparte e anche oltre, dopo la caduta dell’imperatore.
Il film è basato sul Duello di Joseph Conrad, a sua volta ispirato a due figure storiche realmente vissute: François Fournier-Sarlovèze e Pierre Dupont de l’Étang.
Il primo dei quali, talmente offeso dal contenuto di un messaggio da parte di terzi recapitatogli però da Dupont, da arrivare a sfidare quest’ultimo a duello, e a sfogare su di lui la rabbia per l’offesa arrecatagli.
La cosa si trascinò ben oltre il buon senso, con Fournier che sfidò ripetutamente Dupont a duello per i diciannove anni successivi, per un totale di circa trenta combattimenti portati avanti con spadini, spade, sciabole, a cavallo e a piedi, con le pistole.
Fino a quando Dupont non riuscì, nell’ultimo confronto, dopo aver battuto Fournier, a imporgli di non disturbarlo ancora per presunte questioni d’onore.
Pessima cosa, l’onore.
Ma veniamo a noi:



I Duellanti inizia con una bambina che conduce un gruppo di anatre. Un’apertura bucolica, che già suggerisce, tramite gli abiti antichi indossati dalla bambina, in particolare la cuffietta, un’altra epoca, un altro tempo. Impressione confermata dall’assenza di asfalto o altra pavimentazione sul fondo stradale. È un sentiero campestre.
E subito, ci si imbatte in un ufficiale in alta uniforme, con un complicato cappello. Anche questa apparizione ci indica dettagli ben precisi. L’espressione dell’ufficiale è nervosa, e si rilassa solo dopo essersi reso conto che a disturbare qualunque cosa stia accadendo alle sue spalle, e a cui lui fa la guardia, è solo una bambina, e che il motivo del rendez-vous è illegale. Niente di cui preoccuparsi, dunque.



Un’inquadratura ampia ci dona una visione artistica, una veduta come erano immortalate dai pittori. Sotto un cielo plumbeo, che non ci rivela, per sua stessa natura, l’ora del giorno. Ma non importa. Il paesaggio campestre, con tanto di costruzione dalla intrigante linea asimmetrica posta a lato della cornice, è occupato da vacche, sullo sfondo, vegetazione, e figuri stretti in mantelli scuri. Sono testimoni e secondi di un duello.
I contendenti sono in posa. Si studiano.
In camicie svolazzanti e pantaloni. Armati di spadini francesi.
Gli abiti dei contendenti, specie i pantaloni, ci dicono subito che uno dei due è un ufficiale dell’esercito, l’altro un civile. L’ufficiale è giovane, e alla moda, data l’acconciatura. L’altro sembra – e probabilmente lo è – un burocrate, o qualcosa del genere.
L’offesa deve essere occorsa al di fuori dell’ambito militare.
Inizia lo scambio con gli spadini. Spadino francese, capace di colpire sia di punta che di taglio, come suggerisce la ferita che il civile si procura al palmo afferrando incautamente la lama dell’avversario.
E ancora, la postura dell’ufficiale e la freddezza rapportate alla palese agitazione del civile ci dicono molto sulle rispettive abilità.
E anche il ritmo dimesso e frammentario dei primi scambi.
Il duello è il punto d’arrivo. Le parole, gli scambi coloriti che hanno generato l’offesa sono stati pronunciati fuori schermo, prima che il film iniziasse. Ora non resta che scambiarsi colpi di spada.
E che siano spade vere per una volta ci è indicato senza possibilità di dubbio dall’audio, dal clangore.
Non solo l’ufficiale, ma anche il civile: entrambi hanno paura di battersi. Com’è naturale che sia.
Entrambi vorrebbero essere altrove, perché duellare è sciocco e pericoloso.
Ma, come si diceva all’inizio, è una questione d’onore. E il film, come scopriremo, è governato dall’ossessione, che fa dimenticare persino le ragioni per cui due uomini hanno deciso di lottare.
L’ufficiale – che scopriremo essere Feraud – è lì per lavare l’onta.
Il civile è lì perché non può sottrarsi a un rituale antico e sciocco, perché altrimenti verrebbe accusato di vigliaccheria e perderebbe il rispetto di chiunque.
La ferita al palmo rende il civile imprudente, lo porta ad attaccare e a trascurare la difesa. Finisce infilzato.
Perché Feraud non è uno che si ferma. Procede spedito, fino alle estreme conseguenze. L’onore è più importante di tutto. È, per certi uomini, l’unica ragione di vita, fa vibrare le corde del loro animo.

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** e sì, avete ragione, su Fournier e Dupont ci dobbiamo ritornare

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