Ormai non mi stupisco più della strana sorte di alcuni film, variegata e casuale come il destino degli esseri umani.
Noi italiani ci piacciamo. E tanto. Ma ci umiliamo, anche.
Specie quando siamo all’estero, là dove ci piace, invece, sparare merda sui nostri connazionali rimasti sul suolo natìo.
Non sto a citarvi casi illustri e piuttosto recenti, ma, a titolo illustrativo, questo film in esame può essere un ottimo esempio.
Uno se ne ricorda per caso, veleggiando su siti esteri, americani e inglesi, cercando tutt’altro, ma imbattendosi in una foto, uno screenshot per l’esattezza, macabro in sé, ma che ti è da stimolo per la memoria: Gnaghi che si appresta a baciare la testa di Valentina Scanarotti, che lo stesso ha appena riesumato per coronare il proprio sogno d’amore dopo averle dedicato una sviolinata… ahahahahahah! Sembrerebbe quasi il testo di una lirica de i Gufi:
Oggi son tanto contento
profonda scavata ho una fossa
dissotterravo le ossa
di un morto dieci anni fa
E, dopo essersi fatto cullare dai ricordi, è ancora più piacevole e sorprendente scoprire che, all’estero, Dellamorte Dellamore (1994) di Michele Soavi, conosciuto col riduttivo e disprezzato dai cinefili oltrefrontiera, titolo di The Cemetery Man, è considerato un capolavoro, un fulgido esempio di alta cinematografia italiana, in barba a quella spappolapalle e d’autore, depressiva, edulcorata e, diciamocelo, piena di stronzate psychological-chic di denuncia sociale che fanno tanto società -psicotica- moderna, che fa, ahimé, letteralmente fibrillare i cuoricini di vergine dei nostri critici, le Armate di Jonathan Prichard del Cinema.
Tutti a dire stronzate, canticchierebbe in questo caso Frank Drebin, sgrullandoselo in un cesso pubblico. Tutti a tessere inutili lodi autoreferenziali, spocchiosi e alteri, carichi di genuino disprezzo e altezzosità, e a non vedere ciò che di buono ci sta davanti agli occhi, proprio in casa nostra o dietro quel fottutissimo angolo.
Vi dirò, a suo tempo, nel ’94, nonostante le pesanti critiche dettate da quell’italianità di cui sopra, Dellamorte Dellamore doveva piacermi per forza, per poche ragioni:
1) ero strafatto di Dylan Dog; sapevo tutto sul quel fumetto, avevo mitizzato i suoi autori e idolatravo Tiziano Sclavi, un vero cantamacabro della paraletteratura (o non-letteratura); ragion per cui, dopo aver visto citato Francesco Dellamorte in alcuni numeri del fumetto, non avrei mai potuto perdermi la versione cinematografica dell’alter-ego italiano del londinese investigatore dell’incubo Dylan Dog.
2) è un film di zombi o zombesco e, allora come oggi, andavo matto per quel genere.
3) c’era Anna Falchi, nuda per giunta, che prometteva scene di sesso in un cimitero, e io, da adolescente con gli ormoni in subbuglio, non avrei potuto, in nessun caso, resistere al richiamo della foresta – AUUUUUUUUUUU!!! –
Questi tre motivi sono validi ancora adesso che sono fresco di una quarta o quinta visione, ma se ne sono aggiunti anche altri.
Cavolo, è davvero un bel film! Fumettoso, ricco di humour nero e di situazioni paradossali, nonché di citazioni artistiche, sia pittoriche che cinematografiche.
Così, non mi stupisce scoprire che la bellissima scenografia di Antonello Geleng abbia vinto, caso più unico che raro, il David.
Il film è ambientato in una immaginaria cittadina della provincia di Milano, il comune di Buffalora. Il protagonista, Francesco Dellamorte (Rupert Everett), è il custode del cimitero locale, aiutato dall’amico Gnaghi (François Hadji-Lazaro), un tipo particolare, così come singolare è il luogo in cui lavorano, dove, per oscuri motivi, alcuni morti, entro sette giorni dal decesso, si risvegliano, affamati della carne e del sangue dei vivi…
Il solito film di zombi, ma non solo. E’ pieno zeppo di trovate geniali; un film in cui la protagonista femminile, Lei (Anna Falchi), una e trina, muore o tradisce, vittima sempre dello stesso amore impossibile; in cui quello stesso amore assume sembianze alternative, superando le barriere della morte, sublimando nel feticismo più estremo, dove una ragazzina giunge a farsi divorare dal proprio amato defunto, come estremo atto di devozione; dove la testa di Valentina chiede al proprio padre, il sindaco di Buffalora, il permesso di sposarsi con Gnaghi, ricevendone un netto rifiuto; dove il commissario non riesce a vedere il colpevole che è sempre sotto i suoi occhi; dove, per esistere, si è costretti a rubare i delitti altrui; dove il mondo finisce letteralmente dopo la galleria di un’autostrada, come fosse dentro una sfera di cristallo…
Il tutto, caso strano, sorretto da buone interpretazioni, Lazaro sopra tutti che con i suoi “gna!” riesce ad essere espressivo all’inverosimile, dove non sfigurano Rupert Everett, non precisamente un attore dedito all’horror e neppure Anna Falchi che sembra essere a suo agio, dotata di una tranquillità che forse, dopo, le è mancata.
Arricchito da dialoghi eccezionali, divenuti memorabili, almeno all’estero. Un film da riscoprire e da conoscere, folle e surreale, ridicolo in alcuni casi, ma sempre ricercato e curato, realizzato, forse, in un momento di ribellione, da una corrente rivoluzionaria del nostro cinema, l’ultimo sussulto, l’ultima eco di una sperimentazione senza limiti iniziata un ventennio prima e oggi sepolta.
Soavi, in un’intervista dell’epoca, spiegò -dettaglio non svelato nel film- che i morti del cimitero di Buffalora risorgevano a causa della presenza nel terreno di una pianta particolare, la mandragora, che infondeva forza vitale nei cadaveri che, di conseguenza, apparivano infestati di vegetazione… Chissà se la mandragora non possa guarire o addirittura resuscitare l’arida e seriosa cinematografia italiana…
approfondimenti:
Dellamorte Dellamore (wikipedia)
Dellamorte Dellamore (IMDb – dialoghi memorabili)
Dellamorte Dellamore (IMDb – gli entusiasti pareri degli utenti)