Scrivo quest’articolo dopo aver appreso che questa notizia, una delle imprese più importanti mai compiute, è ancora sconosciuta ai più e soprattutto perché essa viene accolta con scetticismo.
Perché, a raggiungere, durante un’immersione subacquea, il punto più profondo del nostro pianeta, la Fossa delle Marianne (circa 11.000 metri), è stato James Cameron, a bordo di un batiscafo a forma di siluro, lungo circa sette metri, che lui stesso ha contribuito a progettare. C’è riuscito il 26 Marzo del 2012.
Sì, proprio quel James Cameron. Il regista di Terminator, Titanic e Avatar.
Colui che ha diretto anche The Abyss, dove un essere umano, Ed Harris, raggiungeva l’abisso respirando una soluzione acquosa anziché ossigeno, e veniva salvato dagli alieni che, anziché giungere dallo spazio profondo, avevano dimorato per millenni nelle profondità irraggiungibili dell’oceano terrestre, sviluppando la propria civiltà prima della nostra.
Solo che James Cameron non ha respirato acqua, ma aria, se n’è stato rannicchiato in una sfera, all’interno del batiscafo, per ben nove ore, tanto è durato il viaggio, sotto la pressione di milioni di tonnellate d’acqua, raccogliendo campioni di terra, acqua e piccole creature e, una volta riemerso, impossibilitato a stendere braccia e gambe per diverse ore, problema causatogli dall’essere rimasto per così tanto tempo nella medesima posizione.
Pensate solo a cosa voglia dire essere laggiù, nel buio assoluto, in una zona del nostro pianeta che ci è più sconosciuta di Marte.
Non ci riuscite, vero? Nemmeno io. E per quei pochi istanti in cui riesco a sfiorare con l’immaginazione tale scenario, mi si mozza il fiato.
James Cameron è un regista. Ripetetelo con me, se ancora vi fa strano.
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Ma James Cameron, che di persona, dopo aver fantasticato con The Abyss, era sceso per esplorare e filmare il relitto del Titanic, è anche un collaboratore di National Geographic, appassionato di immersioni e ossessionato, come tutti quelli che contribuiscono alla scoperta di nuovi orizzonti, dagli abissi marini.
Dalle sue parole:
I’ve always dreamed of diving to the deepest place in the oceans. For me it went from a boyhood fantasy to a real quest, like climbing Everest, as I learned more about deep-ocean exploration and became an explorer myself in real life. This quest was not driven by the need to set records, but by the same force that drives all science and exploration … curiosity. So little is known about these deep places that I knew I would see things no human has ever seen. There is currently no submersible on Earth capable of diving to the ‘full ocean depth’ of 36,000 feet. The only way to make my dream a reality was to build a new vehicle unlike any in current existence. Our success during seven prior expeditions building and operating our own deep-ocean vehicles, cameras, and lighting systems gave me confidence that such a vehicle could be built, and not just with the vast resources of government programs, but also with a small entrepreneurial team. It took more than seven years to design and build the vehicle, and it is still a work in progress. Every dive teaches us more, and we are continuing to improve the sub and its systems daily, as we move through our sea trials.
Come scalare l’Everest, quindi. Ma al contrario.
Prima di lui, il 23 Gennaio 1960, Walsh e Piccard, assistiti da un ingegnere italiano, l’allora trentasettenne Giuseppe Buono, a bordo del Trieste, raggiunsero, dentro una sfera, la profondità di -36.000 piedi, circa dieci chilometri, a largo di Guam. Il batiscafo era sprovvisto della necessaria strumentazione per collezionare reperti, campioni e per effettuare riprese. Quel viaggio rimase un salto nel buio, affidato alla memoria di due soli individui, quelli che discesero, uno dei due, Walsh, purtroppo deceduto nel frattempo. Ai due s’è aggiunto ora James Cameron.
Una sfera, del diametro di 109 centimetri (spazio angusto, eh?), composta di acciaio spesso 6.4 cm, per resistere a una pressione di circa 16500 pound-force/inch² = 113.763495337 newton/millimeter², inconcepibile. Forma sferica che, d’altronde, ha permesso uno spessore tutto sommato esiguo. Forme diverse per il batiscafo avrebbero comportato uno spessore del guscio tre volte maggiore.
Abitacolo concepito così piccolo proprio dallo stesso Cameron, che ricordo s’è occupato di persona della progettazione, con la collaborazione di Ron Allum, per limitare al massimo il peso dell’intero batiscafo, già considerevole. Peso di cui si doveva tener conto, soprattutto considerato in rapporto alla pressione intensa che avrebbe dovuto affrontare per risalire in superficie.
Tutta la strumentazione, ovviamente, è stata posta nella sfera, intorno al pilota. Il batiscafo aveva una riserva d’ossigeno pari a 56 ore, ben oltre le dieci ore previste per la missione, dotato di filtri per l’anidride carbonica, riscaldato a una temperatura di 27.4° contro una temperatura esterna pari a 2.4°.
Cameron ha sostenuto intensissimi mesi di allenamento, ampliando al massimo la propria capacità polmonare.
L’immersione, fino a 11 chilometri sotto la superficie, è durata circa due ore e mezza, seguite da altre cinque ore, tempo di stazionamento e raccolta campioni, e tempo di gestire, a parer mio, la coscienza dell’accaduto, e infine settanta minuti circa per la risalita.
A sottolineare l’eccezionalità dell’impresa, il fatto che Cameron abbia cinquantasette anni.
La Deepsea Challenge, nome dato al progetto, ora è in fase 2, ovvero l’analisi dei reperti collezionati dal batiscafo.
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In chiusura, mi permetto un paio di riflessioni. Non foss’altro sottolineare, ancora una volta, lo tsunami psicologico che deve rappresentare la consapevolezza di essere lì sotto, nel nulla, così distante da tutto: il tipico salto evolutivo, compiuto da pochi coraggiosi.
Perché sì, facile ironizzare di fronte a questo avvenimento. Facile e stupido. Perché tanto improbabile può apparire l’idea di questo viaggio per gli scettici, quanto e ancor di più quella che sia stato un regista famoso a realizzarlo.
Eppure, certi fatti stanno lì a negare le scorciatoie mentali di comodo.
Impresa fatta per la gloria personale, quella di chi da solo, per interesse proprio, per una sua ossessione, corre il rischio più grande, supera i limiti, segna una nuova tacca nel nostro percorso evolutivo.
Articolo dedicato a Lucia
Link utili:
Sito ufficiale della spedizione (in continuo aggiornamento) – deepseachallenge.com