balle lame boomerang a noi spettatori. Quindi, mettetevi comodi che è successo un tot di roba e ve la vado a elencare.
Al solito, spoilers!
Partiamo da Roma, dove Papa Sisto IV complotta con Francesco Pazzi, avversario dei Medici, offrendo alla sua banca la gestione dei beni vaticani se gli darà una mano a mettere Firenze nelle sue mani. Fatto questo, rispedisce Riario a Firenze – il poveretto è diventato un pendolare, ‘manco ci fossero i treni – per dichiarare guerra, visto che ormai sanno di cosa dispongono i fiorentini e di quali forze hanno bisogno per sottometterli. Paura, eh?
Leonardo nel frattempo è ossessionato dalla statuetta in possesso di Lorenzo, tanto che si perde le profferte amorose di Lucrezia, che ansima come un mantice in calore ma è destinata a rimanere insoddisfatta (beh, non per molto, più tardi trombano e ci sono nudità come al solito).
«Quale legame unisce i Medici e i Figli di Mitra?»
No, davvero, si fa di queste domande.
Per fortuna, in soccorso del “genio” viene Clarissa, che – bontà sua – gli rivela che la statua apparteneva a Cosimo, il nonno di Lorenzo, di cui gli mostra un ritratto. Leonardo si strugge tutta la puntata sul mistero del vecchio – che per facilitargli le cose viene anche soprannominato “Il Mago” – ma non ne viene a capo.
Davvero, è un genio di coccio.
Alla fine nota sul ritratto un aratro aggiogato a due buoi, un cielo stellato, un bicchiere rovesciato e un mazzolino di nontiscordardime, tutte cose che ricordano la preghiera dei Figli di Mitra: «Sono figlio della terra e del cielo stellato, di sete son arso; vi prego fate che io mi disseti alla fontana della memoria» (vedi nota a fondo pagina), e a quel punto – deo gratias – ha la sua illuminazione alla Signora in Giallo: Cosimo doveva essere uno di loro!
Ma dai? Sorprendente! Il fatto che la statua girasse in casa dai tempi di nonno non era sufficiente? No? Va beh, restiamo in contemplazione del genio.
Altro fil rouge della puntata è la solita questione della spia, ma tanto hanno preso il vecchio Becchi, e Lorenzo si ritiene soddisfatto, ignaro del fatto che la bella Lucrezia snocciola i suoi segreti al Papa e gli fa le corna con Da Vinci. Cornuto e mazziato, da manuale.
Riario intanto, per mostrare che fa sul serio, fa strage di minatori al servizio dei Medici e manda un messaggero a Lorenzo, ma un servitore giovane e ingenuo rompe il sigillo per comunicare il contenuto al suo padrone, che immediatamente lo accusa di essere spia e traditore, quindi lo manda a legare alla ruota, dove gli vengono spezzate tutte le ossa finché morte non sopraggiunga.
Questa volta, nonostante la palese ingiustizia, Leonardo non alza un dito – perché la vittima non è un’amica gnocca, un’assistente tontolone o perché la trama voleva così. Tanto, Leo è distratto a tirare melagrane per tutta la puntata, cercando non so quale illuminazione come per il Segreto di Nonno (quello che farebbe le scarpe a Pulcinella, sì), ma alla fine l’osservazione della frutta spappolata gli vale bene l’idea per delle bombe a grappolo. E menomale! Perché, in un impeto di follia, fa esplodere il laboratorio nel quale si fondevano le spingarde, lasciando Firenze in un mare di concime organico. Cosa che gli vale un pugno di Lorenzo, che a me pareva glielo avesse tirato di sinistro, ma poi si massaggia la mano destra. Eh va beh, abbiamo i bloopers omaggio.
Ehi, ma torniamo a Becchi!
Nella sua cella, il vecchio viene raggiunto da un’incappucciato che si rivela essere Lucrezia, armata di misericordia – la lama, non il sentimento – avvelenata con la cicuta (appunto). Un’arma proveniente dall’arsenale vaticano, dice lei. Becchi fa in tempo a dirle che qualunque cosa le abbiano promesso non manterranno mai la parola, ma lei gli dice che lui non sa nulla, perché quello per cui combatte lei vale più di Firenze, di Roma e delle loro vite, così – tra le solite lacrime di coccodrilla – lo pugnala, ma gli dice che non troveranno mai la ferita.
E quindi? Dovremmo crederle?
Ora, io non sono un medico legale, però se mi punti una lama dicendo che non resta il segno, io non ti credo. Neanche se me lo dice Madonna Gnocca tra le lacrime.
Dulcis in fundo et genio tra i geni, Lucrezia lascia una boccetta di cicuta tra le mani di Becchi, così – dice lei – crederanno che si è avvelenato da solo ingerendola. Eh già, solo che gli mette in mano la boccetta piena e fugge, ma deve sapere che tutti a Firenze sono cretini per contratto, almeno per questo episodio, e quindi nessuno se ne accorge, infatti ipotizzano che qualcuno abbia portato la cicuta a Becchi, che si è poi suicidato ingerendola. Proprio come diceva Madonna Astuzia.
Devastante. Un’epidemia di stupidità implacabile!
Gli unici a esserne immuni sembrano essere Clarissa – il mio personaggio preferito di tutta la serie, ormai – e Giulio, il fratello testa calda di Lorenzo, che nella puntata scorsa abbiamo saputo essere di buon cuore e che per tutto l’episodio ha cercato di salvare la vita a Becchi facendo ragionare il fratello, purtroppo con gli esiti che avete letto.
Beh, ma che questa storia fosse volutamente assurda lo sapevamo già, e ce lo conferma anche Riario sul campo di battaglia, al momento della resa di fronte alle bombe di Leonardo (che in realtà sono un bluff perché non ancora ultimate), quando cita il Turco: «La storia è una menzogna!», perciò non ci resta che vedere dove andranno a parare e che s’inventeranno.
Ah già, la puntata si conclude con Francesco Pazzi che fa arrestare Leonardo accusandolo di sodomia e condannandolo al rogo. L’accusa naturalmente è anonima perché parte dallo stesso Pazzi, ma come la proveranno? Va bene, ci rileggiamo tra una settimana per l’ispezione corporale di Leo in Da Vinci’s Jail Gang-bang, alla prossima!
Passaggio che poi – nella mia ignoranza – ho scoperto venire da qui: «Quando andrai alle case ben costrutte di Ades: […] troverai l’acqua fresca che scorre dal lago della Memoria. Vi stanno innanzi i custodi, ed essi ti chiederanno, in sicuro discernimento, perché mai esplori la tenebra dell’Ade caliginoso. Dí: “Sono figlio della Terra e del Cielo stellato; di sete sono arso e vengo meno: ma datemi presto da bere l’ acqua fresca che viene da lago della Memoria”». – Lâmina de Hipponion. Museu de Vibo Valentia. Apud Apud Giovanni Pugliese Carratelli. Le lamine d’oro orfiche. Milano, Adelphi, 2001, p. 41.