Cinema

Contracted e l’appagamento della decadenza

contracted2 (Mobile)Contracted di Eric England inizia da una similitudine palese: l’orchidea – di cui si occupa la protagonista – è estensione e copia, quasi una bambolina voodoo della protagonista stessa.
Bella.
Delicata.
Morbida.
Dalle labbra lucide e piene.
Femminile.
Il fiore segue il destino di Samantha (Najarra Townsend), il suo costante e improvviso decadimento fisico.
Ma questa non è una similitudine pregnante, resta in secondo piano, sul fondo, tanto che, allo scoppiare del focolaio di una malattia ben più nota, e icona della cultura pop, la questione di Sam e delle sue orchidee, che lei coltiva per partecipare a una mostra, viene quasi dimenticata.

contracted1Come un po’ il film stesso.
Pensate che, durante il weekend d’esordio nelle sale, ha racimolato qualcosa come tremila dollari.
Produrre un film, spenderci dei soldi, almeno dieci volte tanto, se non cinquanta, e avere in cambio così poco.
È la frustrazione e l’esaltazione insieme del maledetto esordio.
Esordio che s’affida a una giovane attrice talentuosa che asservisce il proprio florido aspetto, accentuato da trucco e luci, alla decadenza, lenta e progressiva.

Non è il facile accostamento Sam-orchidea, che rende il film interessante, quanto il suo contorno di fobie e manie. Superati (più o meno) i pregiudizi sessuali, in una società che in ogni caso, ad averceli davanti, si barrica dietro facili battute e dichiarazioni non richieste di tolleranza ipocrita, quel che si respira in questa messinscena è la fobia delle malattie, della sessualità in sé, del contatto fisico quale fonte e destino (infausto) della specie umana.
La distruzione è insita nella spinta riproduttiva, nella vita stessa.
Dalla sessualità, seppur deviata (si tratta evidentemente, al principio, di necrofilia), parte l’infezione, e si propaga più che attraverso il morso, che è atto predatorio e distruttivo per antonomasia, dove si arriva a cibarsi della vittima sottraendole, di fatto, l’identità, attraverso la spinta riproduttiva.

Desiderio che s’infrange nell’infestazione degli organi sessuali, colmi di vermi. È altra vita quella che viene prodotta, che suscita disgusto nella vecchia.
Siamo di fronte a un’evoluzione, quindi.
Sam è esemplare, dal momento in cui diviene termine di paragone e metafora della specie. È probabile che attraverso la parabola del personaggio, che s’ammala e si degrada di pari passo con il suo stato emotivo, possa ravvisarsi quel decadimento e alienazione che ci sono propri: dei rapporti umani, delle relazioni. L’incapacità di vivere nell’accettazione dei propri limiti. Il corteggiatore di Sam, che è uno stalker potenziale, la sua amante cinica, la pretendente che agisce nell’ombra, lo stesso desiderio di Sam di primeggiare e cercare rivalsa sociale laddove, una mostra di fiori delicati, è palese che non ricaverà altro che una soddisfazione effimera, ogni cosa riecheggia di frustrazione. Di speranze e desideri tanto vani quanto illusi.

contracted3 (Mobile)E poi, ci siamo, è il temuto virus che crea i morti viventi. Vecchie metafore stra-abusate: siamo noi, quegli zombie che si recano, dementi, al centro commerciale.
Sì, siamo d’accordo.
Ma a essere interessante, in questa circostanza, è proprio il contrasto tra l’inconscia consapevolezza che la società, così com’è, è fallita, e la costante pretesa di portarla avanti.
Arriverei quasi a dire che il vero morto vivente è lo scenario, oltre che la stolida indole dei protagonisti, scenario che cade a pezzi pur presentandosi attraverso una patina d’ordine, efficienza e estrema pulizia.

Interessante, in tal senso, è la pretesa, da parte di una già degradata Sam, che a tre quarti del film mostra ecchimosi, calvizie, congiiuntivite e colorito grigiastro, di iscrivere comunque al concorso di piante rare i suoi fiori, appassiti tanto quanto lei.
Richiesta rifiutata, naturalmente.
Le sue orchidee moribonde vengono evitate esattamente come lei, eccetto che da coloro, stalker, spasimante, che la desiderano così tanto da non vedere, o scegliere di ignorare, la sua condizione morbosa e potenzialmente letale.
Ancor più interessante è la scena del trucco, nella quale Samantha, che ormai ha già ucciso e non è più umana, persiste nell’acconciarsi metodicamente, nel farsi bella, secondo una cultura che ormai non c’è più.

contracted4 (Mobile)Parabola su morte e malattia davvero gradevole, che mostra quanto i temi della pop culture, che vengono allegramente (e stupidamente) definiti mero intrattenimento, possano imbastire considerazioni molto più intricate e, stavolta sì, socialmente rilevanti, soprattutto stratificate a più livelli, in modo da accontentare sia gli amanti della metafora sociale, sia coloro che al contrario amano, negli stessi, tracce di concretezza, come ad esempio l’attenzione da prestare alle malattie sessualmente trasmissibili.

Simbolico, inoltre, diviene il battito cardiaco rallentato di Samantha, così come evidenziato dal medico. Il cuore, e la vita, di conseguenza, cede il passo pian piano. E dalla forgia della stessa, la sua vagina, esce soltanto sangue.
Ma il sangue è, in realtà, simbolo di vita stessa, che muta la proria forma.
Morte e rinascita, secondo il simbolo dell’albero.

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Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 9 anni ago

    Ho un rapporto molto strano con questo film: da un lato ne ho apprezzato i risvolti simbolici, dall’altro non mi sembra che funzioni granché, da un punto di vista cinematografico.
    Sì, certo, si capisce che il regista è giovane, esordiente, e che ha anche un’idea potenzialmente esplosiva in testa. Però non mi è sembrato che sia stato capace di sfruttarla appieno, a volte è inciampato in un meccanismo punitivo che fa tanto slasher anni ’80.
    Sono curiosa di vedere il secondo capitolo, che è stato scritto e diretto da un altro. Voglio vedere come è stata sviluppata la faccenda del virus, se hanno scelto di scatenare la pandemia o meno.
    Sarà divertente.

      • 9 anni ago

      Mannò, io non ci vedo nessuna punizione, è più che altro ipocrisia della vita stessa. Menzogna. 🙂