John Carpenter ha, per sua stessa ammissione, sempre sognato di girare un western. Molti suoi film, tra tutti Grosso Guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China) sono nati come dei western, poi rimaneggiati e attualizzati. Riciclati in altri progetti che, via via, si sono trasformati in cult istantanei.
L’arrivo di Nada (Roddy Piper) in città (alla periferia della città), è l’arrivo di Snake Plissken (Kurt Russell) a New York, è quello di Jack Burton (sempre Kurt Russell) a San Francisco. È l’arrivo in città del pistolero. Così come era solito arrivare Clint Eastwood: dalla polvere del deserto.
Senza passato, probabilmente con un futuro ancora da scrivere, l’eroe che può contare solo sul presente e sulle proprie forze.
E, in effetti, Nada è costretto a restare saldamente ancorato al suo presente, visto che la crisi economico-sociale del mondo in cui si muove l’ha privato di una reale capacità di progettazione, che giace come residuo nella speranza romantica di un futuro migliore, quel sogno americano che la Reaganomics aveva inglobato e commercializzato, privandolo in sostanza di rale possibilità che non fosse, a priori, pianificazione stabilita da altri: i potenti. Quelli che ci hanno trasformato in pecore.
Esattamente come in un western, Nada resta ai margini della società: è figura ambigua, costantemente sull’orlo dell’illegalità, che per il solo fatto di esistere, genera un contrasto con l’ambiente aberrante che suo malgrado si trova a occupare.
È una scoria: a mala pena accettato dai suoi simili. Incapace di integrarsi. Fino a quando non accade l’inevitabile: lo scontro.
A pensarci bene, è anche la trama di Rambo (1982). Non c’entra Carpenter, stavolta, ma l’archetipo della narrazione universale: l’eroe (o antieroe) che arriva, la società distopica, il contrasto, lo scontro, la risoluzione.
E, per rafforzare l’idea che l’eroe carpenteriano sia ancorato al proprio presente, pur avendo in sé la potenza iconografica, la forza del simbolo, pensiamo al conto alla rovescia.
Quel precipitare degli eventi che costringe Nada (ma anche Jena e Jack Burton) a correre contro il tempo, a modificare, istante dopo istante, la propria vita, a giocarsi tutto in una manciata di secondi, dopo aver affrontato il Nemico.
Carpenter suggerisce che la vita, la nostra realtà, sia come un domino. Ogni azione concatenata alla reazione, in una sequenza infinita disturbata da altrettante variabili. La capacità di controllo è illusoria.
L’eroe può operare scelte, è vero, ma sulla base di una sequenza di eventi dai quali spesso è sovrastato.
Nada ha visto la sua vita cambiare radicalmente nel giro di 72 ore circa, ha deciso di combattere per la nuova realtà che ha visto dopo aver inforcato gli occhiali. Subito, la necessità di svegliare il resto del mondo (un resto del mondo a cui lui è affezionato, nonostante sia stato masticato e risputato da esso), che giace in una condizione aberrante perché ingannato dagli alieni. A questo punto, non ci sono colpevoli, tra i suoi simili, o, se ci sono, costituiscono solo una piccola parte, la maggioranza, proprio com’è stato lui, è vittima inconsapevole.
E quindi, arrivare a dare la vita, o accettare la morte come inevitabile pur di sostenere la coerenza della propria azione, la sua virtù, è, come direbbe Nada stesso, pareggiare il conto.
Distruggere la menzogna degli invasori.
Risvegliare la coscienza dell’umanità.
E lui che ci riesce è un uomo qualunque, un disoccupato, uno che non riesce a farsi una vita perché il mondo stesso glielo impedisce, a furia di imposizioni e compromessi disonorevoli.
Un cambiamento di coscienza sociale che sarebbe potuto scaturire anche da un semplice regista, per quanto talentuoso, e da un suo film.
Ma noi sappiamo che la storia è andata diversamente, che il messaggio di Carpenter e prima ancora di Ray Nelson nel suo Alle otto del mattino (8 O’Clock in the Morning) è fallito.
Perché non basta volere una cosa per ottenerla. Subentrano, come abbiamo detto, le infinite variabili, la volontà di chi non vuole essere svegliato, che è altrettanto se non ancora più forte.
«Credo che se un secolo fa la gente avesse preso delle decisioni giuste, oggi… oggi il mondo sarebbe tutto diverso. Ma non è stato così e comunque, ormai è troppo tardi. Abbiamo esaurito tutto! Siamo un cumulo di rifiuti tossici e sono loro la nostra alternativa!»
Esattamente come in un western, l’eroe (o antieroe), termina il suo conflitto. Può uscirne ancora vivo, o morire, ma si allontana sempre, così com’è arrivato. La città in cui ha vissuto per il suo breve soggiorno è soltanto un posto lungo il cammino, ce ne saranno altri, ci saranno altre avventure. Forse.
O forse no.
Fuck it (cit.).