Innanzi tutto il titolo. Il Libro di Eli, questo sconosciuto.
Perché chiamarlo semplicemente Il Libro di Eli?
Non saprei, visto che il film è costruito sul valore simbolico di un libro, in che altra maniera vorreste intitolarlo ‘sto film?
Ci sono! Lo chiameremo Codice Genesi, in modo da attirare lo spettatore con la promessa sì di un film apocalittico, ma in salsa biogenetica alternativa, che fa tanto segreta speranza per la rinascita dell’umanità.
Il Codice Genesi sembra tanto la Chimera di Mission: Impossible. Denzel Washington diventa Tom Cruise e un film di possibile desolazione diventa tutt’a un tratto, un action/sci-fi/thriller.
Ma il film resta, purtroppo, quello che è: Il Libro di Eli.
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L’Intreccio. Una specie, diciamo
Eli (Denzel Washington) è il Viaggiatore, un guerriero misticheggiante diretto verso una terra straniera che egli riconoscerà non appena la vedrà. Eli porta con sé un libro importante per l’anima dell’uomo. In esso non vi sono, infatti, segreti di fisica o chimica per ricostruire il mondo distrutto dalle esplosioni nucleari, ma la Parola, dalla quale, secondo una certa tradizione, tutto ha avuto origine.
Carnegie (Gary Oldman) sa benissimo che con il potere della Parola egli può, molto ipoteticamente, costruire un impero fatto di uomini e, allo stesso tempo, il suo futuro da Leader dei rimasugli di umanità perduta, e così sguinzaglia i suoi cani da guerra (analfabeti) per cercare proprio quel Libro.
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Riflessioni
Un giorno o l’altro dovrò scriverlo un certo articolo. Sul motivo per il quale i cineasti si ostinano a trattare gli spettatori come fossero degli imbecilli. Un po’ come il princeps faceva con la plebe all’anfiteatro Flavio: diamo loro belve (cattivi da operetta) da guardare e pane da mangiare. E ce li terremo buoni.
Qua l’unica differenza è che il pane (popcorn) ce lo dobbiamo comprare noi. E che costa anche caro. Te lo fanno pagare a peso d’oro, quegli stronzi.
Per il resto, si assiste a La Storia. Sempre quella. Inframmezzata da scene non solo già viste, ma ormai ridicole per chiunque abbia un po’ di sale in zucca, anche per coloro i quali la conoscenza cinematografica non vada al di là di Cento Vetrine. Lì, anzi, stanno costruendo stereotipi meno palesi.
Guardate, non ne faccio una colpa neppure al quindicenne di turno se, dopo averlo visto, si è gasato ed è uscito dal cinema con la consapevolezza (ingannevole) di aver assistito ad un ottimo spettacolo. Persino il quindicenne ha i suoi punti di riferimento, ma manca di profondità critica. Il suo richiamo è Fallout 3, magari anche ignorando i primi due. Io che di anni ne ho più del doppio dico Mad Max e Ken il Guerriero. Più il secondo del primo, a dire il vero. Se si considera l’idiozia intrinseca di alcuni passaggi del tutto assente in Mad Max, ma tipica di Kenshiro.
Alcuni critici, persino alcuni blogger tendono a soprassedere di fronte a certe sequenze scontate. La scusa è: bisogna considerare il target di riferimento del film.
Ma perché? Ma chi l’ha detto che gli adolescenti sono così coglioni da non apprezzare scene più profonde? Chi l’ha detto che il cattivo al cinema deve essere una iena ridens? Che ride, per l’appunto, e spara stronzate, mentre gli converrebbe uccidere il protagonista?
E il protagonista, poi, che lo sa benissimo di avere a che fare con un nemico idiota, conta proprio su questo per portare a casa la sporca pellaccia.
Qua non è questione di target di riferimento. È questione di essere trattati alla stregua di idioti, da cineasti che credono di possedere virtù artistiche e morali e si prendono il diritto di spappolarci le palle con retorica stantìa. È proprio questo il punto.
Denzel Washington è un attore che stimo. Ma, per carità, perché prestarsi a tutto questo?
Già il primo scontro è oltraggioso per l’intelligenza di chiunque. Abbiamo una donna malmessa e sudicia che chiede aiuto in un luogo adatto per un agguato. Arriva Eli. Chissà che succederà?
Un agguato. E via con le scene alla Kenshiro, dove i cattivi anziché attaccare come belve feroci, cazzeggiano, ovvero ridacchiano come imbecilli e fanno proclami da duri del Roadhouse per poi finire squartati da Eli.
Da Oscar.
E poi Eli è un duro. È tutto d’un pezzo. Uno che può andare a puttane gratis e non lo fa. Perché è un frate senza saio. Anzi, di più. Dovunque passi, ricresce l’erba.
Gary Oldman. Ovvero Carnegie, l’ultimo uomo istruito. Boss del quartiere. Non sia mai che il boss sia una persona seria e responsabile, no! Deve essere il solito cretino, appena un gradino più su rispetto alla feccia di cui ha il comando, non si sa bene il perché. Il solito cattivo che compie una scelta sbagliata dopo l’altra, fino alla fine. E che, come tutti i cattivi perdenti, quando ha la possibilità di uccidere l’eroe, si fotte il cervello e non lo fa, perché altrimenti finisce il film.
Mila Kunis. Ecco, Mila Kunis è un personaggio interessante. Perché interessante? Perché effettivamente non si capisce che ci sta a fare in questo film. Non tanto l’attrice, che, per quanto bella, non è che brilli per bravura, ma il suo personaggio, Solara. Chi é? Che fa? È una barista, una prostituta in erba? Una ribelle? Boh. Resta il fatto che, non appena il virtuoso Eli la rifiuta sessualmente, Solara si ringalluzzisce subito, trasformandosi in un’antipatica e impicciona compagna di viaggio.
E via di combattimenti in combattimenti, tra violenze edulcorate che fanno ridere i polli, tentati stupri, tanto per suggerire l’idea che il futuro è bestiale, risse da bar (non ci credo) e vecchietti cannibali con annesso divano dal doppio fondo che cela il paradiso delle armi.
Ultima chicca. Dove è diretto Eli?
E dove può mai essere diretto se non a Ovest?
Il selvaggio West. La frontiera. Il Mito. Il clichè.
Basta, adesso.