Cinema

Qui c’è un finale a sorpresa

Ho adorato Unbreakable, fin dalla prima ora.
Mentre il resto del mondo, poi ravvedutosi, bestemmiava perché, pur essendoci Bruce Willis, in Unbreakable mancavano fantasmi e altri orrori, io ho amato subito l’eroe minimalista, che per mantello aveva un poncho della Security e che iniziava la sua carriera spedendo in galera un maniaco sessuale.
Ho amato anche la sua controparte, Elijah Price, l’Uomo di Vetro, Mr. Glass.
E ho avuto i brividi in sala, quando, quindici anni dopo, il minuto finale di Split rivelava l’appartenenza di quest’ultimo al medesimo universo narrativo.

Per maggiori dettagli sui tre film, vi spedisco su Melange. Li trovere analizzati tutti e tre.
Qui volevo solo mostrare, ancora una volta, la minuziosa costruzione di questo universo supereroistico che porta la firma di M. Night Shyamalan.

I colori sono una cifra stilistica di Shyamalan. In quasi tutti i suoin film hanno un ruolo importante.
In The Village, il rosso attira i mostri della foresta, al contrario assopiti dal giallo.
In Unbreakable, le “percezioni” di David Dunn assumono la forma di visioni, e nelle visioni le persone oggetto di “esplorazione” vestono colori sgargianti: giallo, rosso, arancione, etc… Tra esse compare persino il futuro Kevin Wendell Crumb, ancora bambino, mano nella mano con sua mamma che indossa un cappotto rosso sangue.

In Glass, lo schema di colori è ancora più evidente e intenzionalmente associato ai protagonisti.
Shyamalan sceglie, ma a questo punto bisognerebbe dire conferma:

– il verde per David Dunn. Il verde è un colore positivo, spesso associato alla rinascita e alla rigenerazione. Ovvio il richiamo con le particolari doti del “sorvegliante”.

– il giallo per Kevin Wendell Crumb, alias L’Orda. Un colore associato al caos, alla ferocia, alla ferinità.

– il viola per Elijah Price, la Mente. Il colore nobiliare, che si addice al tessitore di trame. E ancora più che tessitore, al creatore di esseri superiori. In quanto Elijah si vanta di aver “creato” sia Dunn che Crumb.

Ho scritto “conferma” perché non solo quei colori sono presenti fin dal primo episodio, ma in verità forniscono una sorta di “spoiler” per quel che sarà il finale della trilogia.

Nelle mani del piccolo Elijah, accuratamente confezionato in carta viola, figura in Unbreakable (nella scena della panchina), il primo numero a fumetti regalatogli dalla mamma.
In copertina troviamo l’eroe (dai tratti volutamente esagerati, come mandibola e spalle), vestito di verde, che affronta un umanoide dalle fattezze animalesche, che guardacaso veste tinte giallognole, come La Bestia.

Stessa tavola, stavolta disegnata, che Elijah espone con orgoglio nel suo negozio, la Limited Edition, e che lui considera arte e, in particolare, in nuce, ciò che il fenomeno sociale dei fumetti per lui rappresenta: ovvero la commercializzazione, l’assorbimento, da parte della cultura pop, di verità storiche anomale, che per mezzo di questa mascherata, sono non solo sopravvissute, ma sono state in qualche modo assorbite e accettate dalla coscienza popolare che, in caso contrario, le rigetta a prescindere bollandole come fandonie, o le respinge con violenza.

Ricordando ancora meglio quella scena, quella della panchina, sentiamo la madre di Elijah dire a suo figlio: “Il tizio che me l’ha venduto [il fumetto, ndr], dice che questo ha un finale a sorpresa”.

Se avete visto Glass, che vi sia piaciuto o meno, non potrete non far correre la mente al colpo di scena finale.
Ed ecco che, partiti da una singola inquadratura, tutto, tutto ciò che in essa era sottinteso, si è trovato materializzato diciannove anni dopo.
Questo è il modo di narrare che adoro. Giù il cappello.

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