Cinema

Pace Artificiale (Essi Vivono 1 di 4)

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Gli Stati Uniti d’America, il 4 Novembre 1988, erano in piena Reaganomics, che durava già dal 1981.
I principi fondanti della dottrina politica di Ronald Reagan erano i seguenti:

  • Riduzione della crescita del debito pubblico
    Riduzione delle tasse sul lavoro e sui redditi di capitale
    Riduzione della regolamentazione dell’attività economica
    Controllo dell’offerta monetaria e riduzione dell’inflazione

La disoccupazione era salita al 20%, e i sobborghi delle metropoli americane s’andavano riempiendo di senzatetto e ex-operai sbattuti fuori dalle fabbriche, e ogni altro reietto che un decennio tanto aureo come quello che va dal 1981 al 1990 avesse contribuito a creare.
Parliamo di nuove categorie di alienazioni mentali causate dal way of life coevo: un sistema che dovrebbe andare bene per tutti, che instupidisce la maggioranza e piega la minoranza, soverchiandola e impedendole di fuggire, anche con la fantasia.

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Lo fanno tutte le dittature. Quelle annunciate e celebrate da vessilli e fanfare e parate militari, e quelle sottili, ufficiose, la cui esistenza è sempre negata e la cui prospettiva e probabilità sono minimizzate.
In questo scenario arriva John Nada (Roddy Piper): disoccupato, una delle tante sagome di cartone sbrindellate dai colpi della crisi economica.
Arriva in città come un pistolero nel Vecchio West. Non è la prima città che visita, non sarà nemmeno l’ultima, almeno in teoria. Porta in spalla tutti i suoi averi, dentro uno zaino, dorme per terra, in un sacco a pelo.
Cerca lavoro. E lo fa attraverso i canali ufficiali che quella società gli mette a disposizione: il collocamento.
Oggi, è tutto uguale. C’è soltanto una sensazione di sconforto globale, dettata dalla comunicazione digitale.
Se all’epoca avevano la Reaganomics, oggi non so cosa sia esattamente, probabilmente una serie di teorie figlie di quella e di quelle della parte avversa: una distorsione, un’aberrazione della logica umana, quella che ha spinto a vendere i debiti, la povertà, a esportarla in altri continenti, dove trovare acquirenti della disperazione, e che ha causato la congiuntura economica che ci affligge.

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Contro questo sistema, in effetti, la percezione dell’unica reazione possibile ha la forma di un pistolero. Un antieroe senza legami e senza dimora che, disposto a vedere, non trattiene più lo sdegno, dà immediato sfogo alla collera, prende la decisione di sfidare quel sistema, che egli percepisce come profondamente ingiusto, in un secondo. Di giudicarlo inadatto e di dispensare a esso una morte violenta.
Roba da B-Movie, certo.
Roba che poteva mettere in scena un idealista come John Carpenter, e affidarne l’anima a un wrestler, Roddy Piper, un uomo robusto, un combattente, uno che comunicava con la propria mimica, col proprio fisico, più che con le parole.
Le spalle e la camicia a quadri di Roddy Piper sono le nostre spalle e la nostra camicia.
La Reaganomics e gli slum, le baraccopoli losangeline che essa contribuì a creare, sono la nostra politica, la nostra società, le nostre baraccopoli, fatte di quartieri abbandonati, abitazioni in disuso, case popolari occupate, generate da un sistema che fa dell’inefficienza la propria caratteristica peculiare.
Ci presentiamo a cercare lavoro proprio come si presenta John Nada, varchiamo le soglie delle istituzioni pubbliche e private con la stessa, caparbia disillusione che, appollaiata sulla nostra schiena, gli artigli confitti nelle spalle, ci sussurra: “È tutto inutile”.
Eppure ci crediamo, testardi, che le cose possano cambiare. Che potremo un domani avere le stesse possibilità che hanno avuto i nostri nonni, i nostri padri, prima che il mondo costruito da loro stessi non ci franasse addosso, soffocandoci di detriti. I frammenti delle nostre speranze illuse.
Per giustificare questa lucida follia, ciò che fa di Nada un dormiente, pur avendo gli occhi spalancati, si ipotizza l’invasione aliena.
Siamo dominati da una razza aliena, che ci ha sottomesso e ci sfrutta, in spregio alla nostra arroganza di specie senziente. E ci mantiene, come viene dichiarato in Essi Vivono, in “uno stato di banalità elevata”, che ottunde i nostri sensi, e sopisce la domanda che tutti, prima o poi, ci poniamo: “Com’è possibile?”.

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Essi Vivono esordì nelle sale il 4 Novembre 1988. Campione d’incassi nel primo weekend di programmazione. Scomparve dalle classifiche una settimana dopo.
Carpenter non si scompose più di tanto, e dichiarò: “Di questi tempi, quelli che vanno al cinema non vogliono che gli siano aperti gli occhi”.
Perché essi vedano bisognerebbe prenderli a pugni, come fa Nada con Frank (Keith David), nella rissa per gli occhiali.
I ciechi sono talmente assuefatti alla loro condizione, da rifiutare di vedere.
Questo il messaggio, tra i tanti, di Essi Vivono.
Pur avvertendo questo mondo come profondamente ingiusto e irrazionale, persino aberrante, ci hanno addormentato, hanno piegato il nostro spirito. Da noi, una ribellione non se l’aspettano più.
Occupiamo i nostri sobborghi assolati e derelitti, che tanto ricordano quelli losangelini ritratti da John Carpenter.
Nella pace artificiale e arresa, e nel calore, per paradosso ci sembrano persino belli. Meglio del nulla e della desolazione.
Forse.
O forse no.

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