Cinema

La metamorfosi dell’ultimo turno – Last Shift

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Last Shift di Anthony DiBlasi può essere considerato sotto un molteplice livello di lettura: una vera e propria stratificazione narrativa che si rifà alla tradizione e all’archetipo.
È una fiaba.
È una storia di formazione.
È una metamorfosi.

Soprattutto quest’ultimo livello mi interessa, perché sto analizzando (forse ne avrete avuto sentore leggendo i più recenti articoli del lunedì) una serie di film dove alle protagoniste femminili è associato un percorso di trasformazione/trasfigurazione che occupa l’intero arco narrativo e segna, di solito, il finale dello stesso, come apertura verso un nuovo arco o possibile sequel.
In realtà non obbligatorio, perché il cosiddetto finale aperto lo considero, in generale, assolutamente compiuto. Ma un possibile futuro di storie compiute è un richiamo commerciale irresistibile.

Ma torniamo a Last Shift.

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Una fiaba.
Delle più classiche e, nella fattispecie, archetipiche.
La protagonista, Jessica Loren (Juliana Harkavy) è una recluta appena entrata in polizia. Primo giorno di lavoro, ultimo turno in una stazione in chiusura. Sembra quasi una riedizione, in chiave horror/spiritica di Distretto 13.
In auto, davanti al posto di lavoro, sostiene una telefonata con la madre, che serve a costruire le fondamenta del personaggio: Jessica ha perso il papà, ne persegue le orme in polizia, scelta altamente criticata dalla restante parte della famiglia. E cagione del suo fallimento.
Jessica può essere considerata un’estensione della fanciullezza, la bambina nelle fiabe che entra nell’età adulta perdendosi nel bosco.
Il Bosco è la Stazione abbandonata. Non labirintica, in verità, un paio di corridoi, ma diverse entrate, la struttura cela molte ombre, esattamente come un bosco.
Il Nemico, ovvero Satana (che era chiamato dal popolino il “Nemico”), o la Sua Progenie, impregna il luogo con nefaste presenze ed esercita la propria influenza, come d’obbligo, sulla protagonista, che è doppiamente innocente, in quanto simbolo di purezza e recluta, ovvero infarcita di idealismo, in questo caso idealismo relativo al suo lavoro nelle forze dell’ordine.
Jessica fa ripetutamente ricorso al Credo dell’Ufficiale di Polizia mentre si trova ad attraversare il “bosco/stazione” verso un’uscita (o una riuscita) spirituale.

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Last Shift è romanzo di formazione. La giovane recluta si forma durante una notte terribile, in una situazione estrema che, associata alla solitudine, la costringe a evolvere. Ogni senso di Jessica è messo alla prova. Il suo coraggio, la conoscenza del codice, la prontezza, la capacità di reazione di fronte all’imprevedibile.

È una metamorfosi.
Sembra, questo della metamorfosi, un leit motiv molto apprezzato. Non a caso associato al femminino, ché la donna rappresenta la forgia e il cambiamento, essendo quest’ultimo facente parte della propria natura intrinseca.
A un livello meramente narrativo, la donna è universo capace di stupire e cambiare, a livello psicologico, certo, ma soprattutto fisico.
Nel caso di Last Shift, la mutazione appartiene al primo caso, quello psichico.
Le forze sovrannaturali al lavoro nella stazione di polizia erodono, dal momento successivo all’ingresso di Jessica nella struttura la volontà di quest’ultima. Si tratta di un bombardamento psichico, un assalto senza tregua atto a piegare l’innocenza e trasformarla nel veicolo attraverso cui il male ottiene un tornaconto ben preciso: altre anime.

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Jessica, in questo senso, non è la classica eroina delle fiabe, il cui ruolo tipico, al contrario, ne risulta ribaltato. Il bosco buio e malvagio sfrutta l’unica debolezza nell’armatura/scudo della protagonista, ovvero il legame paterno. Quest’ultimo, sebbene tranciato in vita (dato che il genitore è defunto), è ancora presente nella coscienza della protagonista, in modo disfunzionale. Ne ha influenzato, infatti, lo sviluppo in maniera negativa (Jessica s’è arruolata per soddisfare un malcelato complesso di inferiorità che la spinge, attraverso un’immaginaria voce paterna, a voler primeggiare e insistere sulla strada di un lavoro che, semplicemente, si limita a vivere) e ne costituisce il difetto che la porta a cedere all’influenza di forze esterne e, per l’appunto, a tramutarsi in strumento di morte di vittime innocenti.

(seguono spoiler)

Il fatto che Jessica non sia pienamente cosciente di ciò che fa, nella fattispecie lei è convinta di stare giustiziando i membri sopravvissuti di una famiglia di satanisti quando in realtà sta sacrificando ignari dipendenti di una ditta di pulizie mascherati da satanisti, è da interpretare non come estraneo a questo quadro interpretativo, ma al contrario, come perfettamente inquadrato, se vi si associa la natura satanica della storia. Satana è ingannatore, oltre che nemico, gode e prospera attraverso il ribaltamento della natura della liturgia. In questo senso, se nella Bibbia il Signore domanda sacrifici coscienti, a genitori che devono offrire scientemente i propri figli a Dio, salvo poi essere frenati sempre dalla Sua mano un attimo prima di compiere l’illecito, è lecito pensare, secondo quest’ottica, che il solo sacrificio gradito a Satana sia quello inconsapevole: uccidere innocenti travestiti da belve.

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  • Questo film mi stuzzica fin dalla recensione di Lucia, attendo di vederlo!

    • Uelà, bentornata da queste parti. ^_^