Cinema

Gravity [recensione]

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In questi giorni mi sono fatto una ulteriore cultura sociale: sulla macerazione dell’attesa che circonda un blockbuster, e sul gioco al massacro che prevede ogni sforzo per delegittimarne l’efficacia, pure la bellezza, alla caccia del difetto.
Questi sono i film che vi piace odiare. Dimenticando che sono, appunto, dei film. Cosa che pare una differenza da niente, ma è sostanziale, al contrario. Perché Gravity non vuole essere un corso per astronauti, vuole meravigliare e intrattenere, persino sfiorare i sentimenti, in un certo momento, sussurrando simbologie discrete, ma assolute. E vuole farlo segnando la storia del cinema, regalandoci uno spettacolo che non rivedremo per altri dieci anni, credo.
Più o meno quanto ha dovuto aspettare il regista per girarlo, perché, nonostante avesse avuto l’idea ai tempi del (sempre bellissimo) I Figli degli Uomini, la tecnologia (e parliamo del 2006) ancora non c’era. O non era all’altezza della visione avuta dall’uomo.
Nella fattispecie, Gravity di Alfonso Cuarón è stupefacente.
E potrei chiudere la recensione qui.

Ma fa tanto discutere, abbiamo detto. E allora discutiamone.
C’è una cosa che colpisce, all’inizio. Un piano sequenza di circa tredici minuti (Lucy sostiene siano diciotto, ma a me pare di aver notato uno stacco prima), ovvero una scena che prevede un’unica sequenza di ripresa, senza stacchi, senza cambi di inquadratura o primi piani. Si danza intorno al modulo in compagnia di George Clooney e Sandra Bullock, impegnati a effettuare riparazioni all’Hubble.
E la Terra e lo spazio sono meravigliosi.

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E lo spettatore fanciullino che è in me avrebbe tanto voluto leggerlo da qualche parte che, magari in un eccesso di realismo, l’intera troupe fosse stata portata davvero in orbita a passeggiare nello spazio. Ma no, non è così, tutta la meraviglia cosmica è frutto della tecnologia digitale, quella che Cuarón è stato capace di aspettare per lunghi anni, prima di dare vita a Gravity.
Quindi CGI. E non parlo solo di Terra, spazio, navette e detriti orbitali, parlo anche degli astronauti.
Mi spiego: le scene all’esterno, quando vediamo Clooney che passeggia allegro raccontando aneddoti da splendido a Houston, o la Bullock che vuole vomitare la cena (sempre nella tuta), quella è CGI, i volti degli attori, illuminati dentro i caschi, pure quella è CGI, sono stati scansionati e incollati nei caschi in un secondo momento.
Bullock e Clooney in realtà stavano dentro un cubo, il volto illuminato da un LED che avrebbe simulato sul loro volto (poi renderizzato al computer) la corretta illuminazione, relativamente alla posizione degli astronauti rispetto al Sole.
L’effetto è strabiliante. Lascia senza fiato.
Non sono un astrofisico, ma qualcosina in materia di missioni spaziali l’ho letta. Tenendo presente, quindi, che l’idea dell’intrattenimento spettacolare propria del cinema deve necessariamente essere prioritaria, i miei dubbi si concentrano su una scena soprattutto, quella dei due astronauti tenuti a una corda, con l’astronauta situato alla fine che, nonostante sia fermo, continua a essere sospinto verso il vuoto.
So che il moto rettilineo uniforme cessa non appena viene contrastato da una forza opposta. In teoria l’astronauta, una volta fissato alla corda, non avrebbe dovuto più essere sospinto verso l’esterno, e invece…

***

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La storia alla base è un incidente. Tutto qua.
Tutto qua?
Sembra poco. Ma, a parte lo spettacolo incredibile delle miriadi di detriti che cozzano tra loro a velocità letali, in coreografie assurde, serve a dare l’idea che è alla base dell’intera operazione: l’emozione.
Gravity ci fa sentire piccoli piccoli di fronte allo spazio infinito. Piccoli in quanto specie, pur orgogliosa, che ha varcato i confini del proprio pianeta.
La ricerca dell’emotività, del resto, si cela dietro i sei mesi dedicati da Sandra Bullock alla preparazione del personaggio, Ryan che, più che attraverso i racconti, comunica tramite la gestualità e il respiro. Fateci caso, richiamando a mente le sequenze, o ascoltate bene, quando lo guarderete: sentirete il respiro di Sandra Bullock che varia a seconda dello stato emotivo del personaggio, della situazione che sta affrontando. Non è mai uguale, si avverte il passaggio dal panico generalizzato, all’angoscia, al terrore, all’estasi di trovarsi, pur nel pericolo, di fronte a spettacoli magnifici, quali le albe e i tramonti visti dall’alto.

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***

E quest’idea dello spazio come frontiera, come salto, come rinascita è ciò che Cuarón ci vuole trasmettere, al di là della padronanza tecnica colossale, che stabilisce un nuovo limite invalicabile (almeno per un po’), per tutti coloro che si vorranno cimentare, d’ora in avanti, nelle riprese di un film spaziale.
Il simbolo che sugella la rinascita è anche fin troppo evidente: Sandra Bullock che rientra nel modulo di salvataggio (ventre materno) e si riposa a gravità zero, arricciandosi in posizione fetale, con la luce che penetra dall’oblò esterno, quella che tutti noi vediamo quando veniamo in questo postaccio. Immagine poetica che fa il cinema, oltre che l’intrattenimento.
E chiudo con una considerazione personale: si dice che l’effetto più spiazzante, per quei pochi che hanno avuto la fortuna e il coraggio di viaggiare nello spazio, sia l’assenza di gravità, l’abituarsi alla mancanza di peso, di un sopra e di un sotto, guadagnare l’istinto a passare sopra gli ostacoli, con un salto, piuttosto che aggirarli.
Invece io credo che sia l’opposto, sia la gravità stessa, quella sfumatura che ci rende umani. La sua assenza ci logora, atrofizza i muscoli e indebolisce il sangue. Quando rientriamo, la presenza della gravità ci inchioda alla fatica, ai limiti del nostro fisico e del nostro peso, ci costringe a desiderare, ancora una volta, di liberarcene. Sul finale, qualcuno tocca la sabbia del greto di un fiume, fa per alzarsi eppure rimane a terra, in quel momento capisce che è di nuovo a casa.

NB: tutte le immagini sono state trovate su tumblr.

Rece su Minuetto Express

Indice delle recensioni QUI

In aggiunta, un’ottima analisi sulla “semplicità” di Gravity.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • […] sindrome di Kessler è stata affrontata dal film Gravity, di recente. Ma essa è anche alla base di un bellissimo manga, poi divenuto animato, Planetes, in […]

  • Ho aggiunto un link in fondo all’articolo, dove viene analizzato il concetto di “semplicità” attribuito a Gravity da una piccola parte del pubblico.

    • Analisi molto interessante.
      Mi ha fatto pensare che molta gente semplicemente non riesce ad afferrare la differenza con l’ “adrenalina” di questo film e con quella che ti può dare un Transformers. E parlo sia di chi Transformers lo apprezza che di chi schifa violentemente quel cinema.

      • Che è una cosa strana.
        Comunque in Italia la percentuale di non entusiasti mi sembra molto superiore al 5% a cui si fa riferimento nel pezzo.

  • Non dirlo a me… Io sono ancora basito da Inception, descritto come film complicato. È una linea retta quel film!
    Anche se il mio collega credo che per semplice intendesse… Boh, non lo so. Domani lo picchio.

    E venerdì torno a vedere Avatar (speriamo nel doppiaggio italiano…)!

    • Domani lo picchio.

      ahahahahahha XD
      Tra l’altro, Cameron e Cuaron sono amici, ho scoperto.
      Ah, adesso mi hai messo la pulce nell’orecchio per quell’altro, Locke.
      E di che ti scusi? Ogni tanto si riesce anche a scambiare una conversazione interessante. Ti ringrazio, anzi. 😉

      • Neanche a dirlo, viva la lingua originale. 😉

      • Da IMDB da come unica uscita quella italiana del festival di Venezia, mah… E comunque temo che al cinema (se e quando uscirà) resterà poco, ma forse è meglio così che questo un film che va visto in lingua originale (soprattutto se penso ai soliti doppiatori del buon Tom).

      • Locke è un film molto particolare (c’è solo Tom Hardy in macchina che parla al telefono) e molto bello. 90 minuti (ah che belli questi che durano il giusto!) a mio modo di vedere perfetti e ricchi di emozioni e di “umanità”.

        Ci sono però due problemi: non so quando esce e ho terrore del doppiaggio!

      • Tom Hardy è molto apprezzato da queste parti, quindi darò la caccia a questo Locke. 😉

    • Ops, era una risposta all’altro… Sigh 🙁

  • Adesso che è uscito Gravity, sono diventati tutti astronauti e astrofisici.
    Sono cose che fanno riflettere, quasi si volesse a tutti i costi sminuire lo sforzo creativo ed espressivo di un regista che ha lavorato dieci anni a un progetto e sbeffeggiarlo perché è stato così bravo da realizzarlo.

    • Tanto più atteso il film, tanto più accanimento. È un’equazione esatta.
      E che film… ^^

      • Sinceramente non capisco le obiezioni alla sceneggiatura. Da quando semplice equivale a brutto?
        Rimango ancora più perplesso.
        Anche perché poi, quando si ha di fronte un film un poco più complesso, tipo The Ward di Carpenter (e non perché sia complesso, ma perché la gente non l’ha capito, chissà come) fioccano le chiavi di ricerca “The Ward spiegazione” e annesse bestemmie
        Allora non c’è mai una reale soddisfazione da parte del pubblico, qualsiasi cosa si faccia.

        Comunque, io ribadisco che è spettacolare. Non ero così soddisfatto di un film da molto tempo, e mi ha soddisfatto soprattuto per la sceneggiatura.
        A questo punto io, voi e parte del pubblico parliamo lingue diverse. 😀

      • Che poi ***SPOILER*** la scena di Clooney era quella – volutamente! – con più cose strane e inverosimili (soprattutto la bottiglia di Vodka 🙂 ).

        E un’altra cosa invece sul come tanta (troppa, ma perché poi?) gente si approccia ai film di “genere”… Parlavo stamattina con un mio collega che nel weekend l’ha visto e mi diceva che ovviamente gli era piaciuto tantissimo, super tensione, grandissimi effetti speciali, nessun commento sulla Bullock (bah!), ma la sceneggiatura… la sceneggiatura carina ma semplice eh… Uffa.
        E ancora, io Gravity (per merito di una mia amica) sono riuscito a vederlo nella settimana delle anteprime dalla Mostra del cinema di Venezia che hanno fatto qua a Milano, e qualche giorno dopo sono andato a vedere Locke (il film di Steven Knight con Tom Hardy, molto molto bello) e di fianco avevo questi due tizi un po’ della Milano bene e intellettuale (sigh…) con lui che cercava di spiegare a lei (lei che avrei preso a ginocchiate per la faccia e il tono annoiatissimo che faceva…) che Gravity gli era piaciuto, nonostante la sceneggiatura commerciale (sic.). Il tutto, ovviamente, usando dei paroloni pazzeschi… Meno male che poi è iniziato il film.

        Scusa lo sfogo. ^^

      • La sceneggiatura prevede, come un testo teatrale, le battute, e riferimenti alle azioni che si compiono e agli ambienti, talvolta anche il tipo di inquadrature da adottare. Accanto c’è lo storyboard che è la rappresentazione grafica, tramite disegni.
        Quindi, in teoria, a meno che registi e attori non improvvisino, ogni cosa che avviene nel film è stata prevista nella sceneggiatura. Ma quasi mai è così.

        Visto il film si può parlare di reparto tecnico, fotografia, montaggio, colonna sonora, recitazione, coerenza narrativa, etc…

        Io ho avuto un solo dubbio circa la scena citata, però vista la cura che ci hanno messo, mi son detto, magari sta accadendo qualcos’altro che non so, avranno avuto dei consulenti in merito. Non ho astrofisici a cui domandare, purtroppo. 😀
        Per il resto il film m’è sembrato accurato. Persino quando…

        ***spoiler***

        lei sogna Clooney che rientra nel modulo aprendo la porta. In teoria è possibile sopravvivere, anche non avendo il casco, se si è esposti a atmosfera zero per pochi secondi e si resiste allo shock termico.

        E per quanto riguarda la storia in sé, non mi sembra di aver notato sbavature.

        Ma se qualcuno la pensa diversamente, è benvenuto e invitato a dire la propria.

      • D’accordissimo sia col discorso sugli attori che con quello sulla sceneggiatura. Anche se devo ammettere che io su Sandra Bullock, ma dopo Gravity ho chiesto scusa “pubblicamente” (ehm… Facebook).

        Poi sulla sceneggiatura ci sarebbe prima di tutto da dire “di cosa stiamo parlando?”, troppo spesso viene confusa con soggetto e storia… Ma qui siete sicuramente più ferrati voi due. ^^

      • Io non vorrei fare il sociologo da quattro soldi, anche perché la Sociologia, con tutto il rispetto per chi la pratica e ci crede, non è tra i campi di studio che mi interessano, però…
        Però parte del problema relativo a Clooney e Bullock deriva proprio dal modo in cui ci hanno educato a pensare. Legano un attore a un certo genere di film (vedasi Jason Statham, ad esempio), magari mediocri e prevedibili, ma dal successo economico stratosferico. Li legano talmente tanto a questi prodotti che, quando questi attori si concedono un film bello, il pubblico parte già prevenuto, con una specie di antipatia gratuita.
        E i risultati sono questi.

        Altra cosa poi la sceneggiatura. Anche lì ci hanno educato a schemi: un buon film deve avere un tot di elementi fissi mescolati a piacere. Tanto che, nel momento in cui qualcuno osa tradire questi percorsi, lo schema mentale del pubblico salta, e quindi viene tacciato di incompetenza, inconcludenza, etc…

        E poi invece c’è la gente che va al cinema e si gode lo spettacolo.

        Questione di atteggiamento, secondo me. ^^

        Filmone. Pietra miliare.
        Gli altri registi si mangeranno le mani per anni, oltre che la polvere.

      • Ho provato a leggere alcuni commenti sotto ad uno di questi articoli e… Sigh, non bisogna fare queste cose. Ti rovinano la giornata!

        Che vabbè è tutto un: «ma io ci avevo le aspettative», «eh 2001 è un’altra cosa», «sì bella la fotografia e gli effetti speciali», «eh la sceneggiatura», «ma Sandra e George si sa che film fanno», …

        Comunque volevo solo dire anche qui che invece questo è un film gigantesco, per me la più intensa esperienza cinematografica di sempre! 🙂