Qualsiasi affresco del futuro parla anche del presente, in uno spontaneo, per quanto arduo, sforzo di proiezione del nostro inconscio, delle nostre paure.
Cielo e Ferro è una raccolta di nove racconti, a cura di Italo Bonera e Paolo Frusca, ambientata in una distopia, un mondo diviso in Libere Città e Nazione di Avraham, dove una stanca democrazia che si finge tale e s’aggrappa alla libertà s’oppone alla fusione di tutti i Fondamentalismi.
Idea vincente, che pure giudico, con orrore, affatto distopica.
La raccolta reca il sottotitolo “Il Futuro è Cambiato”, ma…
…È sufficiente affacciarsi alla finestra, accendere la TV, collegarsi all’internet. Cielo e Ferro (edito da La Ponga), più che distopia, è ritratto coevo. Bisbiglia realismo.
Infedeli impalati, in pasto ai corvi, lasciati a monito in un sobborgo, Terranera, zona di nessuno, che finiscono per diventare uno scoop giornalistico, molto meglio del solito servizio sul soldato fanatico che opera “dall’altra parte”; mercenari in guerre sporche, nuove stirpi umane generate (non create) da orrori di guerre pseudo-nucleari che trasformano città in grado di evocare calde immagini esotiche in crateri…
Questa raccolta presenta delle istantanee, più che dei racconti: testi montati, quasi, come se si stesse preparando un documentario per qualche canale televisivo di una CyberCorporazione, in un connubio tra narrativa e media televisivi/cinematografici che io giudico inevitabile, oggi. Valore aggiunto, quindi, la volontà di unificazione mass-mediale.
Qualsiasi testo latore di un messaggio, infatti, deve prescindere dal mezzo che usa per veicolarsi. La narrazione di Cielo e Ferro trascende coerentemente il concetto di narrazione canonica, e lo fa in questo presente, con molto coraggio (visto le pretese del pubblico di rendere i testi “accessibili”, ovvero impoverendone la sintassi in luogo di un facile apprendimento), frammentando lo stile: mostrando (e raccontando) frammenti di esistenza, di tanti personaggi, che abitano in un mondo che ha il sapore di cenere e ruggine, anche quando viene acceso dai colori del tramonto.
Il senso di incompletezza che ne deriva è esattamente quello che ricaviamo dopo aver guardato un video non professionale su youtube, che riprende zone di guerra.
Per me, amante dei luoghi sporchi, delle vite difficili e oppresse da regimi assurdi, è oltremodo intrigante.
Figlio del suo tempo, dicevo all’inizio, parla del nostro presente di idiotismi e fondamentalismi, di debolezza culturale, di pervicacia e opportunismo, di uomini che si rassegnano a poteri immensi e che si fanno piccoli dall’egoismo che si portano sulle spalle: non ci sono eroi come siamo abituati a odiare, in questo affresco, ma piccole vite.
Lo stile varia da racconto a racconto, risultando, nonostante la collaborazione di due autori, omogeneo. E, nonostante l’io narrante vari al variare del ritmo – c’è addirittura un racconto narrato in seconda persona singolare, un uomo che risponde a un intervistatore – comune è il taglio videogiornalistico: si ha netta la sensazione di tante videocamere puntate negli occhi dell’osservatore che, di volta in volta, preme il grilletto, osserva nemici deformi arrivare da lontano, armati di machete, manda ragazzini al patibolo perché hanno commesso peccati contro l’unico, vero Dio (e il Suo Profeta), decide per la vita della sua famiglia contro quella di migliaia di persone.
Umanità, per l’appunto.
E nonostante Cielo e Ferro sussurri al nostro orecchio e ai nostri occhi un presente, per quanto proiettato nel futuro, fosco e stupido, in qualche modo ossessionato da irrazionalità e idealismo, la raccolta ci regala immagini forti, efficaci, maestose: la diga che separa l’Atlantico dal Mediterraneo, che protegge il Mare Nostrum dall’innalzamento delle acque; il già citato cratere di Mogadiscio, i figli deformi dei Bombardamenti, una specie para-umana; la stessa idea di un Fondamentalismo Unito che abbia raggruppato, in qualche modo e in un determinato momento storico, tutte le religioni monoteiste, generando un Moloch inarrestabile.
Essendo un amante delle apocalissi, ho apprezzato più che i personaggi, in qualche caso stereotipati, invero la visione d’insieme, nonché l’ultimo racconto in particolare, intitolato Meno di Tre, che sussurra di un superstite a un disastro, e sono rimasto piacevolmente colpito da quel (continua) scritto alla fine. Che promette una nuova immersione in questa realtà e rafforza l’idea di messaggio che viaggia su più media.
Probabilmente avrei voluto leggere più orrori, non soltanto evocati, ma descritti nei dettagli. E magari ragioni di odio puro, e non solo menti obnubilate di fanatici in pace con se stessi, ché Dio lo vuole.
Ma, come detto, la forza d’attrazione è il dipinto d’insieme e le sue sfumature insalubri.
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