Anni fa… sarà stato il duemila o giù di lì… sì, insomma, ero a casa di un amico, c’eravamo tutti, il Gruppo…
C’era la TV accesa e uno di noi, non ricordo di preciso chi, faceva zapping sui canali in chiaro del satellite.
Capitammo su un film degli Anni Settanta, italiano, credo un poliziottesco. Ci soffermammo a guardarlo perché le immagini ritraevano un’autoambulanza con la scritta sulla fiancata che recitava: Regione Puglia.
C’era qualcosa che stonava, però: tutti gli attori erano doppiati da una voce femminile squillante. Straniera.
A orecchio dell’Europa dell’Est.
E il doppiaggio non era proprio di prim’ordine. Consisteva, per lo più, nella giustapposizione della voce straniera alle voci originali degli attori, italiane.
All’epoca non stemmo a domandarci le motivazioni più del dovuto e passammo oltre, andammo a sbronzarci chissà dove. Chi se lo ricorda più…
Sedici anni dopo m’imbatto in Chuck Norris VS Communism, un affresco, più che un documentario, da parte di Ilinca Calugareanu, e scopro che quella voce femminile squillante apparteneva a Irina Nistor.
Irina Nistor doppiava film.
In Romania.
Durante il regime di Nicolae Ceaușescu. Il regime Comunista.
Un brutto affare.
Perché doppiare film capitalisti e imperialisti, durante il regime di Ceaușescu, poteva voler dire un sacco di guai.
Nella Romania del 1985, nell’era pre-internet e pre-comunicazione globale, in piena Guerra Fredda, accadeva ciò che sempre succede quando la libertà è vietata, si scatena la curiosità per un mondo altro. Mondo che, sebbene popolato, così diceva la propaganda, da criminali, e nella cui decadente società serpeggiavano idee malsane, per il semplice fatto che esisteva, questo mondo, valeva la pena darci un’occhiata.
Fuori, in strada, attorno ai blocchi abitativi, palazzoni di cemento armato tutta praticità e niente orpelli artistici, c’era solo la grigia quotidianità: un luogo del pensiero, il regime, dove la filosofia di un’illusione s’era attaccata al tessuto del reale, abbattendone i colori, i sogni, l’autonomia di pensiero.
Molti cittadini rumeni si rivolsero al cinema occidentale compiendo coscientemente un illecito, procurandosi un videoregistratore allo stesso modo in cui ci si procurava una pistola: tramite il mercato nero. Addolcendo, magari, le capienti e affamate tasche della polizia di frontiera con delle mazzette. Questo quando si era fortunati, e si conoscevano i canali giusti. Altrimenti, un videoregistratore costava più di un’automobile. Ed era venduto da individui senza scrupoli.
Eppure, diversamente da un’auto, il VCR aveva in sé il seme del proibito, della dipendenza per le informazioni.
Erano film di propaganda, è vero.
Chuck Norris, Sylvester Stallone, persino le commedie di quegli anni, per la maggior parte, erano al servizio della politica di Reagan, erano un concentrato di esaltazione corale e ultra-nazionalista, per dimostrare che la libertà e la democrazia occidentale erano l’unico e il solo way of life, a dispetto di ciò che di nebuloso e orribile accadeva oltre frontiera.
Insomma, le ali della libertà non dovevano mai perdere le piume… (cit.)
Guardando quei film, i cittadini rumeni erano coscienti di andare contro il regime e ciò che la sua propaganda sosteneva e, in più, avevano il piacere di violare le leggi ammirando, quasi fosse un contrappasso, altra propaganda, dell’altro lato, sicuramente meglio costruita, o almeno decorata con esplosioni e arti marziali.
Era propaganda più divertente.
Erano i film di Chuck Norris.
E… quasi a dimostrare l’essenza dell’illusione umana, che attribuisce arbitrariamente valori e disvalori a oggetti che, per la loro stessa natura, ne sono privi, il contrabbando di VHS di decadenti film imperialisti divenne un business non meno redditizio del narcotraffico.
In un gioco di spie che riecheggia di climi freddi e piovosi e di agenti segreti avvolti in costosi cappotti, un tale, Zamfir, fece ciò che fanno i più scaltri imprenditori, andò a coprire una nicchia di mercato sguarnita, assumendone il controllo e, di conseguenza, il monopolio.
Partì da tre videoregistratori e finì per possederne più di 360.
Un VCR costava 3000 lei, in quegli anni. Uno stipendio medio di un operaio rumeno consisteva in 1500 lei.
Ogni singola cassetta importata ne costava 300.
Ogni copia pirata di queste cassette veniva a costare 500 lei.
I VCR del signor Zamfir erano costantemente in funzione.
Irina Nistor era una donna del partito. Era la migliore nel suo lavoro: doppiare film.
Li doppiava per il partito, ben attenta alle direttive del Comitato di Censura.
Perché i velenosi film occidentali non erano vietati, no. Ma pesantemente manipolati, in modo tale che suggerissero che, fuori dai confini, il mondo non era poi così appetibile come si credeva: nei negozi non c’era tutto quel ben di dio che si vedeva nei film americani. Perché, di solito, scene come quelle venivano sapientemente tagliate.
Venivano censurati persino i film sovietici.
Sembra una battuta, di quelle che fanno ridere, ma era ritenuto sconveniente, dalle autorità rumene, che una tartaruga, in un cartone animato, che portava tre palloncini casualmente corrispondenti ai colori della bandiera, rosso, giallo e blu, transitasse davanti a un lupacchiotto recante il rosso del Soviet. Ciò indicava sottomissione.
Inaccettabile.
Per cui si procedeva al taglio.
E Irina se ne stava lì, annoiata, mentre il Comitato decideva come tagliare il film e modificare le battute, perché fossero irreprensibili.
La TV di stato aveva un solo canale che non faceva altro che trasmettere dirette dal Parlamento circa le grandi e spettacolari riforme messe in atto dal Partito…
Irina Nistor faceva la doppiatrice e le venne chiesto di violare le leggi e di continuare il suo lavoro, per duecento lei a cassetta, doppiando, stavolta, tutti i film del malvagio occidente capitalista.
Senza censure.
Una proposta che non si poteva rifiutare.
E che lei non rifiutò, persino quando, ormai mangiata la foglia, gli ispettori del partito la pedinavano o le davano a intendere, essendo lei l’unica voce di tutti i film vietati, di averla ascoltata e riconosciuta. E che gliel’avrebbero fatta pagare…
Siamo di fronte al potere dei sogni. Per anni, l’unico svago per molti rumeni sono state le serate a casa di amici, parenti, vicini, stretti su panche di fortuna o seduti per terra, a guardare film che mostravano un mondo libero, colmo di cibo, musica e vestiti provocanti.
Immorale e pericoloso.
E per questo irresistibile.
Era reale? Di là del confine la gente era davvero così fortunata?
Poco importava. La realtà, lì fuori, era monocorde come una TV in bianco e nero, s’aggrappava a valori morali che non portavano felicità, ma muto grigiore, proprio e soprattutto nell’impossibilità di confrontarsi con altre culture.
E quel carico dirompente e ribelle che quelle VHS sovrascritte dalla voce di Irina Nistor portavano con sé è finito, decenni più tardi, per riapprodare in TV, su una TV satellitare in chiaro, senza cornice storica, senza uno straccio di spiegazione, osservata da giovani ventenni italiani che non hanno mai conosciuto il malessere dei vecchi regimi totalitari e che, all’epoca, non hanno capito quanto desiderio insopprimibile di libertà ci fosse dietro quella squillante voce di donna.
E di questo quasi sentiamo il bisogno di domandare scusa.
Ma questa è un’altra storia…
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