D’accordo, si continua ad arrancare. Le festività, invece di mettere il turbo-boost al mio blog, gli hanno aperto a tradimento il paracadute. Cose che capitano a chi si ritrova con una valanga di tempo libero a disposizione.
Sta di fatto che ieri sera, anziché mettermi a guardare un film nuovo su cui poi distribuire tuoni e fulmini il giorno dopo, ho guardato Commando (1985), di Mark L. Lester.
Di Lester che ha fatto il regista non me ne può fregare di meno.
Uno ‘sto film lo vede perché c’è lui. E basta.
A voler essere precisi, e in questo caso si deve, si può dire che c’è lui, e tutta una serie di comprimari da favola. Caratteristi di classe suprema, già di per sé memorabili, con o senza battute d’antologia.
Così, a mente fredda, me ne viene in mente una: “Hai paura, figlio di puttana! E fai bene! Perché questo berretto verde ti farà a pezzi!”.
Siate onesti, avete capito subito di chi sto parlando, vero?
È lo stesso tipo che si mimetizzava perfettamente nella giungla centro-americana, avendone il medesimo colore, e sussurrava: “Ti vedo… Sì, ti vedooo…”
Ora, invece, chi abbiamo?
Il fighetto di TRON: Legacy, tra i tanti. Che ciula il suo stesso sistema informatico, scappa sul tetto inseguito dalla guardia di sicurezza panzona e nera [ovvio, ma ci poteva stare anche il solito messicano rinco, ndr], e si getta dal tetto del grattacielo come Batman. Ma non fa ridere, né sognare. Neanche un po’. E, quel che è peggio, il suo ricordo svanisce alla velocità della luce.
Arnold, invece, è storia.
La domanda è: Arnold e i suoi scagnozzi facevano le stesse mega-stronzate? E, se sì, perché a loro io perdòno ogni cosa e ai fighetti moderni no?
***
Matrix, John.
Commando, trasmesso ieri in prima serata. È evidente che nei meandri polverosi degli studi televisivi c’è una sacca di resistenza, composta da miei coetanei, che è cresciuta sognando di avere dei bicipiti d’acciaio come lo Zio, che per questo intorno ai quindici anni s’è iscritta in palestra e ha cominciato a fare pesi, e che poi, visto che i bicipiti non si gonfiavano ha lasciato perdere per lasciar gonfiare la panza, e, soprattutto, che rema contro; una lotta sotterranea che li vuole impegnati a difendere il cinema coi controcazzi di un tempo, da quello per cazzoni di adesso.
E io? Io sono con loro. Perché solo la lotta, che più è difficile meglio è, rende onore alla vittoria.
Ragazzi, chiunque voi siate, sono con voi.
Arnold, dicevo. In questo film se ne sta tra le montagne, giovane colonnello dell’esercito statunitense in pre-pensionamento, che risponde al nome figherrimo di John Matrix, insieme alla figlioletta tredicenne, Jenny, la futura Alyssa Milano. Eh, Alyssa… All’epoca io ne avevo nove, lei tredici. Sogni di bambino…
Pochi attimi di vita familiare in un quadro bucolico, con lui che spacca la legna a torso nudo, ma sembra ancora impegnato a fare le pose per Mister Olympia.
Da bravo paparino, insegna alla figlia a spezzare il collo a un ignoto aggressore, con una gomitata da assestare in pieno volto. A rifletterci, una scena degna di Leslie Nielsen, perché poi si conclude tutto con un sorriso e un abbraccio.
Ma arriva un elicottero, il vecchio istruttore di John atterra, fesso come il Trautman del rivale, e gli dice che, a uno a uno, stanno sterminando tutti i suoi ex-commilitoni, a cominciare da quello che lavorava nei Village People…
Pochi attimi ancora, per lasciare di guardia due mastini, in divisa e M16, di rinforzo e si scatena il pandemonio.
I cattivi gli rapiscono Jenny, e il colonnello Matrix s’incazza talmente tanto che si getta lungo il pendio della montagna dove abita con un fuoristrada al quale hanno tagliato i freni. Spara in testa, spezza le ossa, ma alla fine riescono a bloccarlo. Credo fossero solo in sei.
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Vola come Tarzan
Dopo di ché, Matrix volerà attaccato al soffitto come Tarzan, sradicherà una cabina telefonica con dentro un uomo, staccherà sedili d’automobile con le sole mani, ribalterà Porsche giallo canarino e lascerà andare in un dirupo uno dei suoi amichetti. Per non citare lo scontro con il Berretto Verde, che lui se li mangia a colazione [e in questo momento ha molta fame!, ndr], nella stanza di motel dove una coppia [lei tettona, ndr] è impegnata in un focoso amplesso. Coito interrotto…
Credo che il verbo giusto sia esagerare. Nessun altro può pronunciare frasi del tipo: “Vedrai saltare in aria la terra!” e passarla liscia, o meglio ancora, risultare credibile. In agguato, in circostanze come questa, c’è l’effetto comico involontario.
Ma lui no. Lui si permette di fare lo scalpo a un tizio lanciandogli contro una lama circolare. E di prendersela col dittatore di Val Verde, stato fittizio del centro-america che ricorda una ditta di calzature.
Sfatiamo un mito, quello che riguarda la scena più astrusa del film. Vi ricordate di Matrix quando va a fare la spesa?
Da bambino, il mio sogno era svaligiare un qualsiasi Shopping Mall americano, perché dentro ci avrei trovato armi pesanti, mitra, persino un lanciarazzi! Ebbene, trattasi del Surplus City, sito in Sun Valley, California.
Ovvio che la stanza segreta dell’armeria sia un’aggiunta alla vera struttura del negozio. Si scopre, però, che non troppi anni indietro rispetto alla data di produzione del film, nei ’60, quella catena fosse specializzata proprio nella vendita di “equipaggiamento militare”. Una follia, non troppo lontana dalla verità, quindi.
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Il Presidente
Rae Dawn Chong, la spassosa hostess Cindy, che accetta di seguire Matrix nella folle impresa. David Patrick Kelly, il nano molestatore Sully, che Matrix lascia andare in un burrone. Bill Duke, supremo, il Berretto Verde Cooke. E infine, Vernon Wells, Bennett, panzetta, maglia di ferro, pantaloni in pelle e baffetti da sparviero, come ho già detto altrove, un Freddie Mercury sotto l’effetto di anfetamine. Un vero incubo.
Matrix, per salvare Alyssa, lungimirante e dall’occhio lungo, ne ammazza 81, stando ai calcoli. E si becca un unico colpo di pistola [di striscio…] al braccio da Bennett che, tuttavia, non lo disturba più di tanto. Gli rimane sempre l’altro braccio…
Non so cosa ci sia dietro a un film come Commando.
L’impressione è che fosse tutto più diretto, senza comunicazione globale. Un paradosso. Con indagini di mercato più localizzate. Quel che contava era il nome. Un film con Schwarzenegger i cinema li riempiva davvero. Non importava il soggetto, la trama. Nessuno se ne fregava un cazzo del 3D. C’era lui che doveva ammazzare quanti più cattivi possibile, sparando battute al vetriolo condite di humour nerissimo.
E funzionava.
E non importava che gli young-adult volessero il romance neo-gotico, ammesso che ce ne fossero. Per quello c’era Patrick Swayze, ma non a tempo pieno, visto che si permetteva di fare anche il fighissimo rapinatore di banche mascherato da Ronald Reagan.
L’idea è che i film non fossero studiati a tavolino, ma pensati.
Pensati pochissimo, come in questo caso, ma ragionati quel tanto che bastava per sorprendere lo spettatore almeno un pochino. Spiazzarlo, divertirlo e al limite persino disturbarlo. Non erano film per intellettuali. Erano intrattenimento. E davanti si aveva una macchina muscolare unica nel suo genere: Arnold.
Gli stuntmen avevano ancora un senso. Le scene erano faticose e pericolose. Ma non è il ritorno al pericolo e alla fatica che farebbe di nuovo il cinema avvincente. Bensì, ritengo, la semplice volontà di raccontare una storia non avendo come obiettivo unico il ritorno di cassa.
Ma tanto, non mi ascolta più nessuno.
O forse è lui ad essere stato unico? Possibile che non ci sia nessuno là fuori in grado di fare altrettanto?
Io aspetto che divenga Presidente. Poi si vede…
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