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Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 12: La Mente

Riprendo la Blog novel Cavour Cacciatore di Vampiri, scusandomi per il ritardo. D’ora in avanti, ogni post verrà duplicato su questo tumblr dove, eventualmente, saranno ospitate storie parallele, sempre ambientate nel mondo del Risorgimento di Tenebra.

Buona lettura.

Attenzione! La seguente è un’opera di fantasia dai contenuti violenti, inadatta ai minori di spirito.

7 Dicembre 1844

Col dito indice messo come Giuda all’Ultima Cena, Pietro fa un cerchietto alludendo al circondario. Poi passa l’unghia del pollice sulla gola, da parte a parte. Quasi ripercorre il vecchio taglio.
«No, amico mio. Non possiamo scannare tutta Torino.»
Scaraventa la spada di lato, poi s’appresta alle corde.
«Lascia tutto com’è. Nel caso ci stiano seguendo, vedranno.»
Alza l’angolo destro della bocca.
«Anche se questo non basterà a farli desistere.»
Scuote la testa.
«Come ci si sente a essere messi in mezzo?»
Grugnisce, raccoglie il catarro schiarendosi la gola e sputa un grumo per terra.
Le coltri di nubi si mettono a viaggiare veloci.
«Andiamo a trovare la Dama.»
Mi fissa.
«Mai detto che non c’entra con quello che è successo a Germaine.»
Continua a guardarmi, perplesso.
Gli busso sulla testa con le nocche. «Pensa, caro Pietro, pensa!»
Scosta la mia mano con la sua, brusco. Mi lancia un’occhiataccia che mi fa sbellicare. Rido.
«Il Papa è interessato alla Banca di Torino. A che essa non nasca mai, non grazie al Re, almeno. L’immortalità? C’è il caso che la possegga già. Ma c’è una bellissima donna, straniera, che ha solo un sarcofago vuoto. Che dev’essere riempito.»
Stavolta è Pietro che mugugna dalle risate, poi tossisce, il pugno davanti alle labbra.
«Lo so. È una metafora che va bene per ogni donna…»
Ridiamo insieme.
«Quanto, secondo te, da qui alla città, a passo svelto?»
Due dita, due ore.
«Muoviamoci, allora.»

La nebbia ingombra i vicoli e avviluppa i suoni, appiccicosa. Dona alle luci dei lampioni l’alone del limbo. Attutisce i rumori, quella puttana. Vantaggio e insieme svantaggio, per chiunque abbia deciso di muoversi stanotte.
Sporto al riparo di un angolo, osservo il Museo, il pluviale di rame che s’arrampica sulla parete e scorre accanto a alla balconata a primo piano, sopra gli archi del portico.
«Secondo te mantiene?»
Pietro mi dà un colpo sul ventre col dorso della mano e s’avvia guardingo. Lo seguo, serbando il turpiloquio per un momento più sereno.
Ci addossiamo al muro. Osservo le finestre dei palazzi intorno. Chiuse, con gli scuri.
Mette le mani a staffa. Ci piazzo lo stivale. Mi isso lungo il tubo, afferrando con entrambe le mani e con le ginocchia strette, i piedi incrociati. Scricchiola, ma resiste. M’attacco alla balaustra e salto nel balcone. Picchio il ginocchio sul bordo di pietra. Finisco per terra soffocando una bestemmia.
Pietro arriva dopo qualche attimo. Si toglie la giacca e la piazza contro il vetro, all’altezza del pomello. Avvicina l’indice all’occhio. Guardo in strada, sporgendomi dalla balaustra, distratto dal vapore del respiro. Stringo i denti quando sento il fracasso del vetro che si rompe.
Neppure un cane che abbaia.
Appena aperta, entra. Lo seguo restando accovacciato.
Nella camera c’è odore di spezie bruciate. Un odore inconsueto. E una litania antica, prodotta da voci diverse che s’animano all’unisono.

***

27 Dicembre 1835

Il viso è quello di una bambola di porcellana. Bianco, immobile, disabituato al mutare delle emozioni. Le labbra livide e strette, una boccuccia che non ha mai sorriso. Gli occhi neri, percorsi da vene rosse, insondabili e carichi d’indifferenza.
Appare davanti al letto, circondata di piccole fate. Una giocherella coi riccioli biondi. L’altra s’arrampica sul vestitino rosso, scivolando sui lembi del tessuto coi piedini. Un’altra le strattona il fiocco sulla treccia, tentando di slegarglielo. L’ultima, dorme accoccolata sulla piccola spalla, come un neonato. Si sveglia. Tutte s’arrestano a guardarmi, con occhi d’insetto. Le ali zittiscono.
Germaine mozza un sospiro.
La bambina solleva il dito indice nella mia direzione, poi lo sposta come stesse scostando una tenda.
La stanza fugge verso sinistra, senza rumore. Finisco con spalla e grugno sulla parete alla mia destra. Puntini rossi affollano lo sguardo, il dolore si concentra sulle ossa del braccio e sulla tempia, dove pulsa impazzito.
Ruzzolo per terra, cadendo sulla mano. Una fitta risale dal polso fino all’orecchio. Urlo, ma la voce resta nella gola.
Sento Germaine che s’affanna e squittisce. Dev’essere lei, anche se quel verso non ha niente di umano. Trambusto e rumore di legno spezzato. Sta piangendo.
Piccoli passi, s’avvicinano, insieme al frusciare dell’abito.

«Alzati» fa la vocina. Che pare inflessibile come dev’essere quella del Pantocratore.
Apro gli occhi, la scorgo che s’allontana e s’accomoda a un tavolo di legno. C’è una sedia vuota. Sul ripiano, un cofanetto d’oro istoriato, su cui si riflette luce arancione.
Mi metto in piedi a denti stretti, mantenendo la spalla.
Dalla terrazza col bordo merlato si può vedere il mare, per miglia. Tranquillo. Grigio e viola, orlato da un tramonto arancione e rosso. Un disco di brace che cala sull’orizzonte che è solo una piega, il limite è confuso.
Il biascicare mi distoglie, lento e acquoso. Arriva forte una scoreggia, e il tanfo misto all’alito pesante. Una mole immensa, tra pieghe di lardo ributtanti, con pus e cerume e lordure marroni a colmare i vuoti. Pelle unta, faccia larga occhi cisposi. Mangia pezzi di sé, il gigante calvo, strappando pezzi della sua mammella. Ingombra un angolo della terrazza, incurante di chi l’osserva. Qualche fatina gli svolazza intorno, come le mosche sulla merda. Quand’ecco che scorgo una piega purulenta, tra le gambe. Soffoco un conato.
«È la mia mente, Cavour. Non fare caso a lei» dice la bambina.
«La tua…»
«Cavour… che strano nome. Che cosa vuol dire?»
«È il n-nome della mia famiglia…»
«Credevo fosse il tuo.» Ogni parola ch’ella pronuncia riverbera nella testa, come un’eco.
La Mente si fa sfuggire un pezzo di carne, che rotola giù per il ventre gonfio. Due fatine litigano per acciuffarlo, tirandosi le ali.
«Ho guardato nei tuoi occhi» fa lei, «e ho visto me stessa.»
«Cosa…»
«E così, adesso sai…»

Mi sveglio intorpidito, la spalla a pezzi. Scorgo Pietro. Impugna una scopa, puntandola in alto, manovrando come per schiacciare un insetto. Una pistola giace in terra in due tronconi, spezzata al centro. Sangue ricopre la mano del mio amico.
La vista s’annebbia subito, il petto e il braccio formicolano. Guardo in alto. Accucciata, tremante, attaccata al soffitto c’è Germaine.
«Scendi, cazzo» riesco a pronunciare. Poi più nulla.

Pagina del Risorgimento di Tenebra e Capitoli precedenti QUI

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    • 12 anni ago

    Punti di pregio: la conversazione Cavour-Pietro della prima sezione; la Mente; la bambina; l’immagine di Pietro che con la scopa cerca di far scendere Germaine dal soffitto, come fosse un gatto da far scendere da un albero.
    Adoro! ^_^

      • 12 anni ago

      ahahahahha XD
      Ieri avevo la vena comica inserita. 😀

    • 12 anni ago

    Devo ammettere che la divisione su due piani sta iniziando a confondermi. Urge un ripasso delle parti precedenti… (Però migliora man mano che va avanti !)

      • 12 anni ago

      Be’, anche perché forse è passato un mese dall’ultima puntata. Ho fatto il tumblr apposta. 😉

    • 12 anni ago

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    • 12 anni ago

    Ohibò, che figo! Il 1835 è veramente: O__O

    E ora cerca di non farci attendere troppo per il seguito. *O* Si scherza, eh, fai con i tuoi tempi, as usual. 😉

    Ciao,
    Gianluca

      • 12 anni ago

      Cercherò di postare ogni dieci quindici giorni, promesso. Vi avevo detto che ci sarebbe stata una svolta. 😀

    • 12 anni ago

    Come mai :”«Secondo te mantiene?»”

    Bello bello!

      • 12 anni ago

      Si riferisce alla resistenza del pluviale. Ho usato un gergo confidenziale, nel senso di “reggere”. 😉