Forse è il caldo. O forse no. Magari è la sensazione di decadenza opprimente.
Resta il fatto che ho appena recuperato questo film.
Se c’è una cosa che non guardo, infatti, sono le segnalazioni. I film preferisco vederli quando è il momento, ovvero quando decido io. Alcuni me li perdo, e diventano niente (cit.), altri li scopro a scoppio ritrardato.
Comunque, anche nel caso di Carriers è bene dirlo subito: non ha avuto alcun ruolo nella stesura di un certo eBook.
Tornando subito in carreggiata, non mi sono piaciute due cose, andando a spulciare la relativa scheda su IMDb:
1) il punteggio di 6.1 su 10
e
2) Il commento di un utente giù, a fondo pagina, che pur avendogli assegnato un 8 su 10 ha accompagnato la sua recensione definendolo un “decent thriller”.
6.1 è basso come voto. Il film vale di più.
E in secondo luogo, non so se vale 8 ma definirlo solo decente mi pare contraddittorio.
Esaurita la vena polemica sterile, passo a dire che Carriers ha proprio tutto quello che occorre per piacermi. Ovvero niente, e con “niente” intendo città svuotate dalla presenza umana.
Datemi un film o un libro senza (tutti questi) esseri umani e da me avrete solo baci e languide carezze (cit.). Il ché, mi rendo conto, potrebbe non piacere a tutti, come prospettiva.
***
È il caldo, ve l’ho già detto. Ma è anche altro. Ovvero ripiombare, fin dalla prima inquadratura, sempre nella stessa atmosfera, l’apocalisse, e per di più trovarla ancora una volta, dopo tutto questo tempo, tutti i film visti e tutto quello che è successo, allettante.
Non che si veda molto, in questo film, cosa che, conoscendo gli ammericani mi fa capire il voto appena sufficiente. Sarà un luogo comune, ma quelli sbavano per i mostri. E allora è una bella sfida fare un film sui mostri (infetti) e mostrarne pochi, per di più morti o moribondi. E, tornando al discorso di ieri sui nomi, guardare tra i titoli di testa un attore che di cognome fa Pucci, no so, pucci pucci, comincia a essere un duro colpo alla sospensione dell’incredulità.
Poi c’è Chris Pine che, caso strano, mi riesce simpatico, l’ho apprezzato molto in Star Trek, quasi quasi all’altezza del vero Kirk (se ho bestemmiato, non me ne sono accorto) e due attrici che parlano poco e nonostante la stupidità di alcune scene, ho trovato in parte, Piper Perabo e Emily VanCamp.
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Insomma c’è tutto, compreso il virus letale incurabile. Film perfetto? No. Ma che importa?
È divertente e credibile e il risultato finale ci sta tutto.
Il meccanismo è sempre quello, l’immedesimazione. Peccato per Pucci, il fratello stereotipato, colto, ironico e colmo, nonostante i milioni di morti, di buoni sentimenti. Quel che è peggio, trattasi di buoni sentimenti neppure caratterizzati da una qualche convinzione religiosa, ma è un buono di natura, ovvero il tipo che, in caso di fine del mondo, è bene sopprimere.
Altrettanto stereotipato il fratello maggiore di Pucci, Chris Pine, più alto, più forte e più scemo, ma non troppo. Comunque, è il tipo che prende le decisioni difficili, che ha trascorso mesi a seppellire cadaveri, più o meno, nelle fosse comuni, sempre a rischio contagio, e che è riuscito a sfangarla: il prescelto. Quello che non muore, o che se ne frega.
Piper è la ragazza a cui piace essere morsa, ma che si lamenta che i ragazzi mordano e Emily è quella che ce l’ha solo lei, guarda Pucci sapendo che non gliela darà mai, però lo stuzzica lo stesso, fin dallo sguardo.
E voi vi starete domandando, che c’è di bello in questo film?
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Tanto per cominciare i rapporti (in)umani. Quelli che ti portano a sbarrare la strada e tendere agguati alle macchine di passaggio per il cibo e un goccio di benzina; la vita si riduce tutt’a un tratto, a una tanica di carburante, modello Mad Max.
E allora abbiamo diverse scene di cinismo, una in particolare riesce persino a toccare, quella della bambina che non riesce a camminare da sola; assenza di sentimentalismo esagerato, più un finale asettico, direi ottimo. Altre scene meno efficaci, perché troppo prevedibili, anche se preferibili rispetto a stupide situazioni politically correct, per fortuna assenti.
Due cristiani (di non so quale confessione) trucidati più che da colpi di pistola, dalla legge del contrappasso, dato che si dimostrano per nulla caritatevoli e compassionevoli.
E la pallina da golf.
E la pallina, credetemi, la sa lunga. Arriva a conclusione di una scena particolare, la scena immancabile in questi film. Quella dei superstiti che, arrivati in un luogo dove, prima, vigevano certe norme comportamentali ben precise, lo utilizzano, divertendosi, violando i tabù sociali in vigore fino a quel momento.
I nostri giungono in un golf club, lo esplorano un pochino e, infine, si mettono a giocare prendendo di mira le vetrate del complesso alberghiero.
E la pallina vola, sfonda e rimbalza all’interno, in stanze vuote, rotolando per un po’. Quel che resta è solo silenzio.
***
La pallina da golf è la pallina da tennis di romeriana memoria. Quella di Peter. Solo che la prospettiva è ribaltata, invertita.
Il mondo, all’esterno, è sempre devastato, dal silenzio portato dal virus o da una marea di zombi.
E gli sciocchi passatempi dell’uomo, rotolano via, silenziosi e inutili.
Stolidi.
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