Cybernetic life-form node, il cui acronimo è Cylon.
Lo ammetto, ho trascorso gli ultimi quattro anni dietro alle vicende di Battlestar Galactica, ma non ho mai voluto in verità affrontare l’argomento. Troppo contrastanti, infatti, i sentimenti che mi legano a BSG. Le prime tre stagioni e mezza assolutamente brillanti, mentre l’ultima parte sembra il frutto dell’assunzione di un fungo allucinogeno da parte degli sceneggiatori.
Così, stanotte, che non fa né caldo né freddo e la salsedine si fa sentire appena, giungendo alle narici quasi impercettibile, anonima come anonime e ignote paiono essere le mie sensazioni, vi parlerò del pilota di questa serie che è anche un prequel, Caprica, che, stando a quanto avevo già letto, narrerà, a partire dal 2010, le vicende che hanno portato l’umanità delle Dodici Colonie di Kobol a creare quei figli, i Cyloni, che, circa sessanta anni dopo avrebbero quasi annientato la razza umana, rivoltandosi, come ogni buon figlio, contro il proprio padre.
Non potete sapere quanto diffidi dei prequel, che considero, tutto sommato, un esperimento fallimentare in partenza.
Se si ha la fortuna di reinventare una serie fantascientifica degli anni ’70 e di farla diventare uno dei telefilm più apprezzati al mondo, e non si riesce a spiegare tutto quello che si vuole, per bene nei quattro anni che si sono avuti a disposizione giocoforza si è incompetenti, si è gettata via la più grande occasione avuta nella vita. Che senso ha, riparare alle mancanze, ai buchi nella sceneggiatura inventandosi un prequel? Che gusto c’è nel guardare una storia della quale già si conosce l’esito?
E’ una moda tragica del cinema e delle serie televisive, di questi tempi. Il riavvio della storia che, per un motivo o per l’altro, viene considerata imperfetta, fallace, incompleta. Quindi si riparte da zero, per farla migliore e, si spera, stavolta in via definitiva.
Ho odiato la seconda trilogia di Guerre Stellari proprio per questo motivo. Tutta questa megaproduzione per far vedere come Anakin Skywalker diventa Darth Vader… Ma chi se ne frega di come lo è diventato? Probabilmente odierò il film su Battlestar Galactica di Bryan Singer, ambientato nello stesso universo, ma parallelo e, de facto, completamente avulso dalla serie omonima di Ronald D. Moore.
Insomma, avevo la mia buona valigia di dubbi e pregiudizi.
Eppure, devo dire che è un buon pilota. Visivamente sobrio nel presentare una civiltà più progredita della nostra, ad un passo dal creare quello che è anche il nostro sogno più grande, l’intelligenza artificiale, perfetta, unica, autonoma, autocosciente, creare, in breve, la vita dalla sterile materia.
La società del pianeta Caprica, il più importante e progredito delle Dodici Colonie, è al suo apice ed al culmine della decadenza morale e religiosa. Correnti destabilizzanti percorrono i più diversi strati della popolazione, insinuando il dubbio nella fede di una civiltà così profondamente politeista, affidandosi al culto dell’Unico Vero Dio, Creatore e Giudice di tutte le cose e ponendo in atto anche attentati terroristici per scuotere una società ormai morente.
La vicenda principale è incentrata su due famiglie, i Graystone e gli Adama, legate da una serie di eventi che hanno fatto sì che entrambe fossero colpite da tragici lutti nella medesima circostanza. E così, per superare la perdita, per far sì che l’inaccettabile realtà della morte fosse negata una volta per tutte, Daniel Graystone (Eric Stoltz) mette a frutto l’eredità lasciatagli dalla giovane figlia Zoe (l’ottima Alessandra Torresani), un genio del computer, per scoprire, di fatto, la via dell’immortalità, attraverso il silicio dei processori per computer. Egli crea, così, il primo essere artificiale, un moderno golem: il Cylon.
La filosofia, la religione si uniscono in un riuscito connubio alla migliore fantascienza, classica, che ama dibattere su temi assoluti. Questo è solo l’inizio. Un buon inizio che, spero, non tradisca sé stesso.