Fumetti

Brivido e altre storie – Junji Ito

Sarò sincero: pur conoscendolo bene, mi sono ricordato dell’esistenza di Junji Ito solo da poco. Da quando Netflix ha iniziato a pubblicizzare la versione animata di alcuni tra i suoi racconti.
Colpa delle faccende mondane che mi hanno assorbito completamente negli ultimi anni.

Junji Ito se ne stava lì, sullo sfondo, alcune delle sue immagini iconiche, tipo quella del “millepiedi” parentale mi avevano colpito da anni – impossibile restarne indifferenti – eppure non avevo mai pensato di comprare qualche suo volumetto, nemmeno quando, giorni fa, ho letto e scritto di PTSD Radio (contenuti simili, ispirazioni molto diverse).
Ci ha pensato la mia fidanzata a colmare la lacuna: comprandone due. Solo due. Per ora. Perché la tentazione di prenderne altri – tutti – è fortissima.

Abbiamo anche visto una manciata di episodi della serie Netflix, Maniac. Per cui le impressioni sono freschissime.
E m’è tornata voglia di scrivere cosa strampalate. Il gusto per la narrazione dell’orrido, senza stare troppo a pensare alla coerenza, quanto alla suggestione.
Io sono uno che viene spesso ritenuto insensibile di fronte ai prodotti della creatività umana. In realtà è un errore, c’è qualcosa che mi emoziona, ma il cinema e la narrativa quasi mai. Non nel senso comune, almeno. Perché non riesco a non vederli per ciò che sono: artefatti.
Posso ammirarne la perizia della costruzione e la cura della confezione, l’arte, posso venerarli per questo, ma è difficile che possano smuovermi qualcosa dentro.

Nelle sue storie – che spesso, a quanto lui stesso scrive – derivano da suggestioni potenti, o sogni, l’incubo è ben annidato sotto la coltre del reale, ma non è ignoto a esso.

Junji Ito – o meglio le sue storie – non mi fanno paura, anzi, mi rilassano. E la ragione è che, in qualche modo, il suo modo di narrare, oltre che i soggetti surreali di cui tratta, è anarchico, e di conseguenza liberatorio.
C’è un’estrema disciplina dietro le sue tavole, è vero, ma le storie sono ribelli e catartiche, anche se mancano quasi sempre di lieto fine. C’è un finale, ma non è mai un finale che mette a proprio agio. È compiuto, però, e intanto nel portarti fino a esso Junji Ito ti ha trascinato attraverso reami che nemmeno hai mai pensato di poter solo sfiorare.

Nelle sue storie – che spesso, a quanto lui stesso scrive – derivano da suggestioni potenti, o sogni, l’incubo è ben annidato sotto la coltre del reale, ma non è ignoto a esso. Irrompe, è vero, ma non squarcia i lumi della ragione, piuttosto conferma quel senso d’angoscia perenne che tutti i suoi protagonisti provano, quella consapevolezza che, sotto sotto, c’è un intero mondo di orrori che ci fa solo il piacere di starsene quieto e nascosto, di far poco rumore per non disturbarci, ma che ogni tanto ha il bisogno di mostrarsi e sconvolgerci.

Brivido e altre storie è un’antologia di nove storie dell’orrore, scelte personalmente dall’autore che ha inserito, alla fine di ogni racconto, una sua nota personale in merito all’ispirazione che di volta in volta ha contribuito alla sua invenzione, e impreziosito da appunti e schizzi preparatori dello stesso Ito.
Bellissimi tutti.
Ma i miei preferiti sono decisamente tre, che Ito ha voluto concentrare alla fine del volumetto (edito da BD srl): Lunghi Sogni, Gli Avi e Gliceridi. Il primo perché è basato sullo spunto che ritengo di gran lunga più affascinante di tutti: la natura del sogno. Gli Avi contiene la famigerata tavola che ho citato all’inizio dell’articolo, mentre Gliceridi fa leva sul senso del disgusto in maniera tale che alla fine della lettura si sentirà l’impulso di andare a farsi una doccia bollente.
Menzione speciale, in ogni caso, per la signorina Fuchi.

Junji Ito continua a fare agopuntura col nostro subconscio, instillandovi sentimenti primordiali, come fa la musica. Quasi che i suoi racconti fossero note.

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Il volumetto lo potete acquistare qui,

*(questo articolo contiene link commerciali)

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