Seconda parte dello spazio dedicato alla seconda stagione di Black Mirror, con gli ultimi due episodi: White Bear e The Waldo Moment.
Mi ripeto dicendo che questa è la migliore serie televisiva degli ultimi dieci anni. L’unica, credo, che attualmente si occupa di applicare la narrativa di genere, nella fattispecie la fantascienza, a un’analisi profonda della società attuale, ipotizzando scenari di vita futura, compromessa sempre più dal costante utilizzo della comunicazione digitale.
Mai come in questi ultimi cinque anni s’è avvertito netto il distacco che la digitalizzazione ha prodotto nelle nostre vite, rispetto a solo un quindicennio indietro.
I nostri rapporti sociali sono mutati: è possibile, con pochi clic, raggiungere il nostro attore preferito, anche quella Hayley Atwell che ha interpretato il primo episodio, Be Right Back, su twitter o facebook, e lasciargli segno tangibile dell’apprezzamento per il lavoro svolto, tramite un messaggio.
Negli anni Novanta, impossibile fare la stessa cosa che so, con Quentin Tarantino per Pulp Fiction.
E questo è solo l’esempio più banale che possa fare. Black Mirror però è tutto fuorché banale, siamo di fronte a un autore, Charlie Brooker, attentissimo all’attualità, che scrive di temi profondi e contemporanei, li distorce quel poco che basta perché, pur essendo lontani per possibilità attuale (ma non molto), risultino più che verosimili. E spaventosi.
Perché si è lì a guardare il Reality Show che sublima nel giustizialismo pubblico, o l’ascesa di un pupazzo a leader politico… e ci si rende conto che la realtà che sta fuori delle nostre finestre non è poi così diversa.
Tanto di cappello, poi, alla Endemol, che ha prodotto questo telefilm, ancor più perché Black Mirror contiene una satira ferocissima proprio verso quei format televisivi che sono per la casa produttrice il pane quotidiano. Questa è classe, o lungimiranza, o furbizia. Chiamatela come volete, ma l’effetto da noi sarebbe quello della Rai che si mette a prendere in giro, con cattiveria inusitata, lo Stato Italiano. Per voi sarebbe possibile?
Mai.
Ma torniamo a Black Mirror.
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White Bear
[contiene anticipazioni]
Immaginate di svegliarvi e non ricordare più nulla. Vi trovate in una casa, presumibilmente vostra, e il televisore acceso trasmette una singola immagine, questa:
accompagnata da un suono costante e fastidioso.
Uscite in strada, ancora confusi, e vedete gente affacciata alla finestra, disinteressata alla vostra sorte, ma impegnata a riprendervi ossessivamente col proprio cellulare, è l’unica cosa che fanno.
Immaginate poi di veder sopraggiungere un’auto e da essa uscire un tizio in giaccone rosso e passamontagna nero, sul quale è stampigliato lo stesso simbolo visto in tv; l’uomo prende un fucile da caccia e inizia a spararvi addosso, seguito dalla folla che si limita a riprendere la scena.
A questo si aggiungono un paio di cacciatori mascherati da gatto e da coniglio, armati di seghetto elettrico e ascia. Tutti vogliono farvi la pelle.
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Mentre, insieme a altri sopravvissuti, apprendete la verità: tramite un segnale trasmesso attraverso televisori, computer e cellulari, il 99% della popolazione è stata trasformata in “spettatori”, ebeti che guardano tutto attraverso lo schermo del proprio smartphone, come fosse uno spettacolo. Il restante 1% è risultato immune, e siccome non esiste più nessuno che abbia la volontà per fermarli, si è trasformato in una banda di ferocissimi predatori che fanno tutto ciò che vogliono: arrivano a organizzare crocifissioni di massa nei boschi.
Immaginate però che tutto questo sia finzione, e che la verità dietro quel simbolo sia molto più complessa e… attuale, in un senso a noi molto familiare.
Ancora una volta, Black Mirror, come nel precedente Fifteen Million Merits, che puntava il dito sulla massificazione da Reality e sulla speranza distribuita da tre giudici a chi “possiede talento”, ironizza contro i Reality Show, portati all’eccesso: trasformati non in tribunali, ma in “parchi della giustizia”, dove la pena inflitta ai criminali viene commutata in spettacolo televisivo, secondo modi da girone dantesco, il tutto sotto una folla di spettatori, accalcati dietro le transenne a scattare foto digitali, in perfetto stile Grande Fratello. Un futuro in cui la società civile mostrerà (lo sta già facendo, se avete mai sentito parlare di Lockup) la vita dietro le sbarre, sottraendo, dopo la condanna, al carnefice qualsiasi possibilità di redenzione, togliendogli persino l’identità.
Violenza inaudita (per portata e conseguenze) che si risolve nella risatina del pubblico: perché tanto, sotto i riflettori c’è solo un criminale.
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The Waldo Moment
Tempo di elezioni in Inghilterra. I vecchi partiti, Conservatore e Laburista, eleggono i soliti candidati, che applicano nei loro comizi, la solita ricetta a base di promesse, demagogia, interesse ipocrita per i problemi che affliggono il tessuto sociale. In più, pur sapendo di non avere chance di vittoria, mandano alla carneficina, ufficialmente per fare esperienza, giovani candidati: è il caso Gwendolyn Harris (Chloe Pirrie), anche lei impegnata a dispensare false promesse e strette di mano.
Ma quest’anno c’è una novità: Waldo.
Waldo è un personaggio di fantasia, un orsetto blu, digitale, animato da un giovane comico che gli presta voce e movenze in tempo reale, tramite uno strumento che consente di trasferire i movimenti sullo schermo. Waldo sta attraversando un momento di calo del gradimento.
Nella stanza delle idee si pensa che, magari, prendendo di mira i politici e riempiendoli di insulti, il pupazzo potrbbe conoscere nuova gloria.
E così, si comincia a seguire su un furgone dotato di schermo laterale attraverso il quale Waldo possa manifestarsi, i candidati alle elezioni, a sfotterli, a insultarli.
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Fino a quando non si arriva al punto di convincere gli elettori a votare per Waldo, personaggio di fantasia, comico, irreale, ma più reale dei soliti fantocci della politica, impegnati a fare il loro solito, arcinoto teatrino.
Ebbene, sono convinto che a voi italiani la storia di Waldo, di un comico che viene eletto in Parlamento non è nuova. Sono convinto che sappiate bene quale possa essere da una parte la forza di internet, che abbattendo le distanze, mette i personaggi politici, prima ritenuti intoccabili, alla portata di tutti, soprattutto per quanto concerne le critiche accese. Sono anche convinto che conosciate troppo bene quanto tali fenomeni di internet possano influenzare la gente comune, che si ribella alle istituzioni prendendosi gioco di esse, rappresentando non tanto il cambiamento, ma la frustrazione generale del periodo di crisi.
Ebbene, questo è The Waldo Moment. Dove un personaggio fantastico diviene strumento della politica futura. Perché la gente (l’abbiamo visto anche da noi) viene indottrinata dai pupazzi, credendoli più reali di certi manichini che ormai rappresentano un mondo in estinzione, che ancora guarda a internet come a uno strumento poco utile, quando esso rappresenta ormai il veicolo più potente alla diffusione di qualsiasi messaggio. Talmente potente, da essere pericoloso.
Infatti le conseguenze di questo gioco al massacro che porta alla vittoria di un pupazzo potrebbero non essere gradevoli.
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Signori e signore, non perdete Black Mirror, mi raccomando.
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