Questo film è la degna conclusione di una pessima settimana. Senza ironie. Magari avete notato la mia assenza. Magari no. Più probabilmente non ve ne è fregato nulla, come è giusto che sia. Siamo soli, sulla terra… Cercherò, per quanto possibile e per quanto difficile, di tornare ai ritmi consueti propri di questo blog, a cominciare da adesso.
Tornando al film, è davvero un film degno. Un buon film che assolve in pieno al suo scopo, rendere nera e disperata la Notte di Natale. Magari state pensando che il 25 Dicembre sarebbe stato un giorno più adatto per parlarne, ma… ricordate “Notte Horror”? Quei filmetti estivi, senza importanza, da vedere al buio, sdraiati sul letto nelle vostre camere, lasciandosi piacevolmente coinvolgere da rumori improvvisi, lo sbattere di una finestra, il cigolìo di una porta? Se avete dimenticato cosa sia quel tipo di tensione complice e divertente, a causa del pattume che costantemente ci viene propinato in luogo di buon cinema, allora potreste decidere di procurarvelo, magari in edizione blu-ray, magari restaurata e di godere, di conseguenza, di alcuni attimi di sublime angoscia.
Per gli appassionati di horror Black Christmas (1974) è senz’altro una delle pietre miliari.
Per gli altri è da riscoprire e vedere. Subito.
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Conosciuto anche come “Silent Night, Evil Night” e “Stranger in the House”, per la regia di Bob Clarke, “Black Christmas” descrive gli eventi sanguinosi che occorrono in una casa di una confraternita universitaria femminile, durante le vacanze di Natale.
Intreccio semplice e lineare, con momenti particolarmente brillanti in quegli artifici narrativi poi divenuti di uso comune, vedasi le telefonate del maniaco alle sue vittime designate, e che tuttavia non hanno più conosciuto una tale resa.
L’idea alla base anche del titolo era quella di trasformare la percezione comune delle festività natalizie, associate al tepore del focolare, ai buoni sentimenti, al colore rosso e ai dolciumi da consumare nell’allegria familiare, di accostare ad esse il colore nero della cupa disperazione che trova magnifico veicolo di espressione nello scatenarsi di una follia omicida rappresentata in modo magistrale, anche se indiretto.
L’assassino, afflitto da personalità multiple, lo si vede nel suo agire, nei suoi orridi e morbosi tentativi di oggettivazione delle sue vittime e nel suo occhio che scruta dal buio, celato dietro una porta, ma soprattutto si sente attraverso i suoi sproloqui telefonici, per una volta tanto, non banali e men che mai ridicoli. Il difetto, se così si può definire, che è anche il merito di questo film, è che ha 36 anni. Non proprio l’altro ieri, dal punto di vista cinematografico e, allo stesso tempo, una costante, questa dell’elevata età dei film, che continuo a determinare con allarmante frequenza. Senza scadere nel becero stereotipo ribadisco soltanto che l’anno era il 1974 e che, a quel tempo, sapevano cosa stavano facendo. A voi le altrettanto ovvie conclusioni.
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Curiosità
# Il film fu girato in 40 giorni.
# Lo sceneggiatore Roy Moore si ispirò, nello scrivere la storia, ad una serie di delitti avvenuti a Montreal durante il periodo delle festività natalizie.
# Keir Dullea (“2001: Odissea nello Spazio”, 1968) girò la sua parte (Peter) in una sola settimana non incontrando mai gli altri attori, Margot Kidder e John Saxon, coi quali, grazie ad un sapiente montaggio, sembra interagire.
# Il ruolo di Mrs. Mac fu originariamente offerto a Bette Davis, mentre quello di Peter a Malcolm MacDowell.
# Il film fu ritirato dalla messa in onda televisiva dalla NBC perché giudicato troppo spaventoso.
# Secondo il regista Bob Clark le telefonate dell’assassino furono recitate da cinque attori differenti.
# Carl Zittrer dichiarò in un’intervista che riuscì ad ottenere quel suono così aspro che caratterizza lo score del film ponendo cucchiai, forchette e coltelli di metallo sulle corde del pianoforte e suonando di conseguenza. Il suono venne ulteriormente distorto in fase di registrazione facendo pressione con le dita sui nastri magnetici perché ruotassero più lentamente.
# L’audio delle telefonate fu aggiunto in fase di post-produzione. Sul set, gli attori reagivano alle frasi direttamente rivolte loro dal regista Bob Clark.
# Nonostante venne girato in pieno inverno, con temperature prossime ai -10°, la neve visibile nel film è artificiale, perché durante le riprese nevicò pochissimo.
# Fu lo stesso Albert J. Dunk, uno dei cameramen, a montarsi sulla spalla la telecamera e a interpretare le riprese in soggettiva dell’assassino ed anche, in effetti, le sequenze degli omicidi. Non è mai stato confermato, invece, che l’occhio di Billy, visibile in una delle sequenze finali, appartenga a lui.
# La volgarità delle telefonate fu incrementata in post-produzione. Originariamente, lo script prevedeva conversazioni minacciose, ma più sobrie. A queste ultime, recitate, come abbiamo visto, sul set direttamente dal regista, gli attori furono chiamati a reagire.
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Con sincerità ammetto che non sono un patito dell’horror. Mi piace, ma allo stesso modo mi piacciono tutti i film validi. Io vado pazzo per le storie. Più sono coerenti, ben sviluppate, insomma belle, più guadagnano la mia stima. Pochi difetti ho ravvisato in “Black Christmas”, sorretto com’è sia dalla regia di Bob Clark che dalla fotografia, dalla musica e, non ultima, dall’interpretazione della protagonista, Olivia Hussey (Jess). Messa da parte l’illusorietà dell’intreccio, del tutto assente perché la trama si basa su due soli motivi, morte e follia, c’è un’eccessiva, ma non intollerabile lentezza nella prima parte del film con dialoghi e intermezzi superflui al contesto e, infine, una scelta narrativa inverosimile che caratterizza la sequenza finale.
Nel primo caso la lieve noia derivante dal ritardo nello svolgersi dell’azione è ampiamente ripagata dai momenti crudi che si susseguono a ritmo vertiginoso nella seconda parte; mentre l’inverosimiglianza del finale, che vede la protagonista lasciata sola contro ogni logica terrena, è anche il punto di forza dello stesso perché ha consentito la messa in opera di uno splendido scenario aperto che non libera l’angoscia accumulata, ma la incanala verso una ideale catarsi che mai avverrà.
Non so quanto rivoluzionaria sia stata all’epoca la scelta di riprendere in soggettiva le scene dell’assassino, resta il fatto che il risultato è tutt’altro che scontato come siamo abituati a pensare dopo tre decenni di horror servitoci in tutte le salse.
Particolarmente azzeccate altre due scelte registiche: a) la volgarità delle telefonate del maniaco, del tutto assente nel remake girato a trentadue anni di distanza, aspetto che ci fa notare quanto siamo diventati bacchettoni e moralisti nel frattempo e b) la sequenza molto forte in cui l’assassino si sfoga lamentandosi, urlando e devastando ciò che lo circonda; quest’ultima anche se poco credibile per ciò che concerne il perdurare dell’anonimato del mostro, che resta nascosto e indisturbato, conferisce a questi un lato selvaggio e incontrollabile, ineluttabile quasi, evitando così il necessario ricorrere, come si fa di solito, allo scempio di una giustificazione morale per il suo agire oscuro. Il mostro è, per una volta tanto, cattivo, senza eccezioni o dubbi di sorta, senza pentimento, soprattutto, senza alcuna spiegazione. In una parola: perfetto.
“Black Christmas” è tutto il fascino horror d’altri tempi: una definizione che spero di non ripetere così spesso.
Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
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